La scuola contro la guerra - comunicato della segreteria nazionale

      Chissà se Pasqua sarà una tregua per i kosovari e per gli abitanti di Belgrado e di tutta la Serbia. Lo sarà sicuramente per noi insegnanti, che in questi giorni potremo evitare imbarazzate risposte alle domande di bambine e bambini, ragazze e ragazzi sul come e perché accade quel che accade.
      Questa guerra non la si può raccontare, come siamo abituati a raccontare il passato alla luce di un presente che rende indubitabili le ragioni di una parte.

      Viviamo passo dopo passo l'esodo disperato di un popolo e a ciò si aggiunge l'immagine altrettanto crudele di ciò che non vediamo e che riusciamo a immaginare.

      Continueremo a dire, tra qualche giorno, che i rapporti tra culture diverse sono il terreno dove oggi, come nel passato, e forse più che nel passato, si misurano la civiltà di un popolo e le qualità personali di ciascun individuo.
      Ma come continuare a parlare di sovranità e autodeterminazione dei popoli?
      La nostra Costituzione recita: l'Italia ripudia la guerra, come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come strumento di risoluzione delle controversie internazionali.
      Come parlare allora di questa guerra?
      Come parlare delle astuzie, dei distinguo, delle "razionali" ragioni del mondo adulto?
      Come giustificare una guerra combattuta, si dice, per combattere l'orrore della guerra?
      Dobbiamo spiegare, dopo anni di educazione alla pace, all'intercultura, che le ragioni della politica possono essere difese solo dalla forza?

      E' difficile il nostro compito: educare attraverso l'esperienza - in questo caso l'esperienza di una virtualità vera, perché presente nello spazio e nel tempo - affinché nulla di simile debba nel futuro accadere, vicino o lontano da noi; e, contemporaneamente, porre al centro la domanda che fare, in quanto fare qualcosa adesso, subito, può salvare la vita di un bambino, di una donna, di un anziano, di un soldato...

      Chissà se qualche padre, qualche madre - in quell'esodo povero di mezzi e di strade, in quel rifugio antiaereo - racconta al figlio una visione felice della storia (del cammino che li porta lontani dalla patria, del fragore delle bombe nella vicina periferia).
      Noi qui, intanto, mentre ci auguriamo che a quei bambini vengano raccontate un sacco di bugie, dobbiamo avere la forza, la capacità e la passione di restituire precisione e spessore storico ai fatti di cui con i nostri ragioniamo.

      Roma, 1 aprile 1999 - CIDI (centro di iniziativa democratica degli insegnanti)