Apertura dei lavori - Sofia Toselli

Siamo nella seconda parte dei lavori del convegno intitolata: la cultura della scuola. Giornata divisa in due parti: stamattina vedremo gli aspetti più generali, alcuni temi importanti, non eludibili, secondo noi, che ci serviranno a capire qual è il cambiamento necessario, il cambiamento verso cui la scuola dovrebbe tendere.
Nel pomeriggio affronteremo invece, in sessioni parallele, temi ugualmente importanti ma più prossimi al fare scuola quotidiano.
Ieri abbiamo ragionato intorno al tempo presente: tempo di contraddizione e di transizione.
Certo, di ogni tempo si dice che è di "transizione" ma ciò che contraddistingue l'attuale fase dalle precedenti è l'accelerazione dei processi di cambiamento; la velocità con cui avvengono le trasformazioni, la velocità con cui si accumulano e si diffondono, per esempio, le conoscenze e le informazioni; la velocità con cui le innovazioni tecnologiche e scientifiche entrano nella società e nella vita delle persone.
Il cambiamento è velocissimo, mentre noi siamo lenti a metabolizzarlo.
L'etica, come categoria filosofica dell'agire umano, chiamata in causa da ciascuno di noi, fa fatica a rispondere. Così come fa fatica a rispondere la politica.
Da qui la contraddizione che caratterizza il tempo presente: a volte progresso, a volte declino e che, nella sua continua oscillazione, alimenta il dubbio, l'incertezza e le nostre tante paure.
Da qui la necessità di scavare meglio e di più in alcune parole per leggerne il senso e il significato in continuità e discontinuità con il passato.
Parole -democrazia, cultura, razionalità, contemporaneità- scelte non a caso ma perché, più di altre, forse, caratterizzano il tempo presente o perché più di altre sono esposte alla minaccia.
Per essere meglio introdotti nel tempo presente abbiamo voluto affrontare anche il delicato tema del governo delle scienze, ieri, nella tavola rotonda alla Protomoteca. "Le scienze per una educazione democratica" l'abbiamo chiamata, ovvero il rapporto tra scienza/società/democrazia, e implicitamente il rapporto tra scienza e scuola. E mentre Darwin viene tolto dai programmi scolastici del primo ciclo, e mentre si riducono le ore di scienze, gli illustri uomini di scienza, quali Berardini, Boncinelli, Sinigaglia, Corbellini, Donghi ieri sottolineavano la necessità di elevare il livello medio delle competenze scientifiche nel nostro Paese.
E' un fatto di democrazia partecipare più consapevolmente alle scelte, per esempio, nel campo della bioetica. E' un fatto di cittadinanza avere le competenze adeguate per essere in grado (come dice il l' ottimo amico Pino Donghi) di capire la differenza che passa tra l'analizzare un problema scientifico e l' abbracciare una causa.
È certo che le voci da noi scelte (democrazia, cultura, razionalità, contemporaneità) come in un gioco di assonanze e affinità, ne richiamano altre: laicità, pluralismo, partecipazione, solidarietà, inclusione, libertà, diritti.
E tutto ciò ha a che fare con la scuola perché il rapporto tra scuola e società non sfugge a nessuno, essendo il riflesso della società fortissimo sulla scuola:
perché un paese che voglia definirsi laico e pluralista, vuole che le sue scuole siano laiche e pluraliste. Un paese solidale e libero vuole che sue scuole siano solidali e libere (libere perché fondate sulla libertà di insegnamento). Un paese che voglia cittadini consapevoli e competenti, vuole che le sue scuole diano più istruzione, più sapere, più senso critico a tutti.
E ha a che fare con la scuola (il tempo presente e le sue trasformazioni) perché i cambiamenti in corso rendono necessaria, per dirla con E. Morin, una riforma del nostro modo di conoscere, una riforma del nostro modo di pensare, una riforma dell'insegnamento.
Tre riforme interdipendenti dalle quali non si può prescindere.
Cambiare dunque, per consentire alla scuola di dare più strumenti, più conoscenze, più pensiero e chiavi di interpretazioni a tutti.
Cambiare dunque, perché la scuola (la società e la scuola insieme) realizzino l'obbiettivo primario di istruire più che si può, il maggior numero di ragazzi possibile (non uno di meno), investendo forze/intelligenze/risorse/soldi, tanti soldi.
Il perché è nelle cose: è nella sfida dura e complessa che la modernità ci pone e che ci dice che perché gli individui non siano spazzati via dai prossimi mutamenti tecnologici e sociali la scuola deve dare più conoscenze, più sapere, più bussole per consentire ai giovani di navigare nei mari in tempesta, deve dare strumenti perché da soli continuino ad imparare, e deve darsi strategie per organizzare nuovi e vecchi saperi, deve darsi regole per costruire contesti comuni e solidali di apprendimento.
Il perché sta in questo che da Delors in poi ci dice l'Europa e cioè che "la risposta dalla qualità della vita di ognuno e alla qualità dello sviluppo produttivo di un paese sono più sapere e più conoscenze per tutti".
Il perché sta nella necessità di formare non più e non solo il cittadino nazionale, ma il cittadino europeo e planetario.
Il perché sta in quei 2 milioni di adulti italiani analfabeti completi, in quasi 15 milioni di persone semianalfabete, negli altri 15 milioni a rischio di ripiombare in tale condizione, come ci ricorda Tullio De Mauro nel suo bel libro "La cultura degli Italiani".
Il perché, infine, sta in una scelta ideale di campo, in una idea precisa di società che vede nel nesso istruzione-sviluppo-democrazia la scommessa più importante per il suo futuro.
Eppure la direzione intrapresa va in altra direzione. Conosciamo l'allarme lanciato da tante personalità del mondo dello spettacolo, delle scienze, da tanti intellettuali per quello che sta accadendo alla cultura di questo Paese. Anche dal Cidi è stato lanciato un appello al mondo della cultura per sottolineare gli effetti negativi che le Indicazioni nazionali del primo e secondo ciclo avranno sulla scuola e sul profilo culturale della popolazione.
Ecco perché abbiamo voluto chiedere al professor Vertecchi, di farci capire qual è il nesso tra cultura della scuola e profilo della popolazione; a Raffaele Simone, che cosa rappresentano oggi, nella tempesta globale, il linguaggio e la comunicazione; a Jerome Bruner l'importanza dell'istruzione primaria, delle competenze di base per la futura cittadinanza di bambini e bambine.



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