30° Convegno nazionale Cidi
i resoconti di venerdi 22 marzo



…C'ERA UNA VOLTA LA SCUOLA DELL'INFANZIA

La scuola dell'infanzia che si delinea e prende forma all'interno del disegno di legge di riforma della scuola approvato dal Governo, non è la scuola dell'infanzia che conosciamo. Chi opera in questa scuola ha l'impressione di essere, ancora una volta, destinatario di una proposta pensata altrove, per altri scopi, con altre logiche, che non considerano minimamente i bisogni, le aspirazioni, le speranze di un esplicito e definitivo riconoscimento del ruolo educativo della scuola per i bambini dai 3 ai 6 anni.
La proposta di anticipare di quattro mesi l'iscrizione dei bambini di 6 anni alla scuola elementare e, di conseguenza, di consentire l'ingresso ai bambini di 2 anni e pochi mesi alla scuola dell'infanzia, risponde forse a una domanda sociale delle famiglie (per carenze di servizi educativi adeguati per la fascia di età dei due anni) o a una presunta promozione delle competenze dei bambini di 5 anni (visibile nel fenomeno sommerso delle cosiddette "primine"), ma rappresenta un segnale del tutto negativo per la qualità attuale e futura del progetto pedagogico che è stato costruito in questi anni con passione e professionalità da tanti operatori scolastici.
Quando si rendono flessibili e aleatori i "confini" dell'identità istituzionale e organizzativa di un ordine scolastico, che possono essere gestiti a completa discrezione degli utenti (quasi si trattasse di un servizio sociale a domanda individuale e non della prima istituzione educativa rivolta a tutti i cittadini), si rende impossibile ogni seria progettazione e si disconosce l'autonomia culturale e professionale dei docenti.
Ben altro è il livello di consapevolezza maturato in questi anni tra gli operatori scolastici e gli stessi genitori, anche grazie agli Orientamenti educativi del 1991, che riconoscono la scuola dell'infanzia come un ambiente pedagogico caratterizzato da:

  • attenzione a tutte le dimensioni della personalità infantile (affettive, cognitive e sociali) senza inutili forzature scolasticistiche;
  • equilibrata successione di momenti educativi che garantiscono "serenità e distensione, ricorsività e progressività delle situazioni di apprendimento";
  • incontro dei bambini con i sistemi simbolici, la cultura, le forme di rappresentazione attraverso l'organizzazione di un contesto didattico regolato dalla regia "riflessiva" degli adulti.

Questo "ambiente di vita, di relazione e di apprendimento" permette di rispettare le esigenze ed i ritmi di sviluppo dei bambini, come sono oggi conosciuti grazie alla ricerca psicopedagogica convalidata nelle migliori esperienze della scuola dell'infanzia italiana. Tali esperienze invitano a non considerare preminente una dimensione alfabetica della conoscenza (l'imparare a leggere e scrivere "prima"…), ma piuttosto l'intreccio di esperienze ludiche, sociali, cognitive che consentono ai bambini di crescere, imparare, sviluppare abilità e competenze fondamentali per gli apprendimenti successivi.
In una "buona" scuola dell'infanzia si avvia la rielaborazione simbolica delle esperienze e dei vissuti, si sviluppano le prime forme di socializzazione e documentazione delle conoscenze, si potenziano linguaggi e modalità di comunicazione ed espressione. Il curricolo verticale (già largamente sperimentato negli Istituti comprensivi, che rappresentano oltre il 42 % delle scuole italiane) ha il suo punto di forza proprio nel lavoro didattico che viene svolto nella scuola dai 3 ai 6 anni.
La generalizzazione dell'Istituto comprensivo, con adeguati incentivi professionali, consentirebbe di affrontare correttamente il problema della continuità/discontinuità nell'esperienza di apprendimento, anche mediante soluzioni originali di raccordo tra i diversi livelli scolastici. Il problema dell'incontro con la lettura e la scrittura può diventare oggetto di ricerca e confronto tra gli insegnanti, impegnati a riflettere sulle modalità attraverso le quali si apprende a questa età, in quali ambienti, con quali tempi, con quali metodologie i bambini possano costruire consapevolmente competenze stabili e durature nel tempo.
L'anticipo, invece, rischia di diventare un incidente di percorso, una scelta strumentale dovuta all'incapacità di affrontare e risolvere i veri nodi della riforma nei livelli scolastici successivi (questione della scuola di base, durata degli studi secondari, estensione dell'obbligo scolastico).
L'anticipo non può essere visto solo con gli occhi degli adulti, siano essi genitori (con le loro aspettative, le loro attenzioni, ma anche i loro narcisismi) o insegnanti (con le loro competenze, le loro insicurezze, le loro delusioni). Al centro di ogni progetto educativo devono essere i bambini, con i loro bisogni, le loro esperienze, la loro concretezza. Il precocismo cognitivo non considera le esigenze profonde dei bambini: la ricerca di fiducia in se stessi, di equilibrio, di positività nelle relazioni con i compagni e con gli adulti, tutte conquiste che richiedono tempo, pazienza e serenità, non certamente fretta e improvvisazione.
Si possono anche immaginare soluzioni innovative ed alternative rispetto alla attuale struttura degli asili nido (da 0 a 3 anni) e delle scuole dell'infanzia (da 3 a 6 anni), ma tutto questo richiede l'apertura di uno spazio di ricerca pedagogica e di garanzia assoluta di indispensabili standard di qualità dell'ambiente educativo (strutture adeguate, spazi confortevoli, servizi funzionali, numero ridotto di bambini per ogni gruppo, preparazione degli insegnanti e del personale di supporto).
Esistono, invece, indizi certi (anzi, fatti concreti) che oggi, e ancor più domani, la gestione delle risorse sarà volta tutta al risparmio e alla riduzione dell'intervento pubblico (in materia di organici, finanziamenti, progetti ecc.).
Occorre allora ribadire, con serenità e fermezza, che la credibilità che la scuola dell'infanzia si è guadagnata in questi anni non può essere messa a repentaglio con una superficialità che fa pensare a un disegno deliberato di riduzione dell'intervento pubblico verso le famiglie e l'infanzia. Il nostro Paese ha elaborato, a tutti i livelli - sociali, istituzionali, culturali - una consapevolezza progettuale e pedagogica verso l'educazione dell'infanzia a cui non può rinunciare. C'è una domanda di generalizzazione e di qualificazione del servizio che non può essere ostacolata.
La scuola dell'infanzia è assai più "avanti" di quanto viene prospettato nel modello di riforma del ministro Moratti, tutto ripiegato su immagini assistenziali e familistiche del servizio educativo. Se esiste una domanda sociale "forte" per la fascia di età dai due ai tre anni, si abbia il coraggio di predisporre investimenti, risorse, progettualità, pari a quelle messe in campo fin dal 1971 (Legge 1044) per la qualità dei "nidi", senza intraprendere facili scorciatoie a tutto danno dei bambini stessi.
Le aspettative degli operatori della scuola dell'infanzia, emerse nelle numerose occasioni di formazione, consultazione e sperimentazione (Ascanio, Alice, e Linee di sviluppo, per citare alcuni grandi momenti di partecipazione allo sviluppo della scuola "reale") non possono essere aggirate. Gli insegnanti attendono ancora di conoscere le ragioni per cui è stato ritirato il Dm 91/2001 sulla sperimentazione "guidata" di standard di qualità del servizio, di approfondimento del progetto degli Orientamenti del 1991, di realizzazione di modelli organizzativi funzionali con risorse adeguate.
Occorre al più presto riavviare una stagione di ricerca, innovazione, sperimentazione, partendo dal "basso", dall'iniziativa progettuale delle scuole associate in rete, ricercando alleanze operative con il sistema degli Enti locali, l'Amministrazione scolastica, le sedi della ricerca educativa, i genitori e le comunità, anche le scuole "paritarie" che si impegnino a rispettare standard pubblicamente controllati.
Un processo di riforma della scuola rappresenta un'occasione decisiva per la valorizzazione e lo sviluppo della professionalità di chi in essa opera. Gli insegnanti della scuola dell'infanzia richiedono che questo processo non si interrompa, ma che sia potenziato e generalizzato attraverso scelte politiche, parlamentari e gestionali pari al riconoscimento che viene auspicato (temiamo, solo a parole, da parte di chi ci governa) per la scuola dell'infanzia del nostro Paese.

la Segreteria nazionale del Cidi