30° Convegno nazionale Cidi
i resoconti di giovedi 21 marzo

 
ore 9.30/13.30

Apertura dei lavori
I lavori del convegno si sono aperti con un minuto di silenzio in omaggio al prof. Marco Biagi, ennesima vittima della violenza terrorista. Il silenzio è stato sollecitato dall'onorevole Alba Sasso, che presiede i lavori di questa prima mattina. Alba Sasso ha voluto sottolineare in apertura il disorientamento che questo ennesimo, doloroso attacco alla democrazia e alle forze del lavoro ha provocato in ognuno di noi.
E' inaccettabile - ha proseguito - l'idea che molte forze politiche cercano di diffondere su una presunta contiguità tra violenza e movimenti di dissenso, ignorando quanto il valore del lavoro abbia contribuito all'affermazione della democrazia nel nostro Paese. L'onorevole Sasso ha letto il telegramma del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi al prof. Domenico Chiesa, presidente nazionale del Cidi, in cui nell'augurare proficui lavori al convegno, si sottolinea l'importanza del lavoro della nostra associazione per la crescita civile della società e per la diffusione della cultura nel comune spazio europeo.

Ha poi preso la parola il presidente della Provincia di Pisa, Gino Nunes, che ha rivolto un "saluto di merito" (come egli stesso lo ha definito) ai convegnisti riconoscendo al Cidi l'impegno dispiegato in molti anni di attività per far crescere la percezione dell'importanza della scuola per lo sviluppo della società.
Con lo sguardo rivolto ad una realtà territoriale, come può essere la provincia di Pisa, in tutto simile a molte altre in Italia, Gino Nunes ha sottolineato quanto in tempi di alta competitività nel mondo del lavoro si richieda qualità e intelligenza: qualità della formazione e delle risorse umane. La scelta che si sta delineando di una formazione unitaria non corrisponde allo sviluppo dei territori con sviluppo avanzato, né alle esigenze della parte più moderna della società.
Pisa ha tentato una sperimentazione del processo di riforma della scuola delineato dal precedente governo; la Provincia di Pisa intende continuare a valorizzare il processo di comunicazione tra le offerte formative del territorio e la scuola, nonostante la "controriforma in atto". Fondamentale l'idea della riforma avviata dal Centro sinistra di riorientare la scuola dall'insegnamento all'apprendimento, mentre l'attuale atteggiamento del ministro Moratti apparentemente disponibile ad accettare le obiezioni, in realtà mantiene i punti fondamentali delle sue modifiche che politicamente significano più scuola privata e più sostegno alla Confindustria.

L'Assessore alla P.I. del Comune di Pisa, Bianca Storti, è intervenuta a nome del sindaco Paolo Fontanelli portando i suoi saluti ai convegnisti e ribadendo che pur nelle difficoltà del momento, la scuola resta e dovrà restare il luogo privilegiaro per affermare la convivenza, per abbattere i pregiudizi e luogo di crescita globale dei futuri cittadini.

Ha preso la parola Michele Paradisi direttore generale dell'ufficio scolastico della Regione Toscana sottolineando la positività del tema di fondo del convegno, vale a dire "il diritto di tutti alla cultura", primo dovere di ogni società democratica ed evoluta. La scuola è il luogo privilegiato per la diffusione di una cultura dell'accoglienza, dell'integrazione per tutti i soggetti a vario titolo "diversi", per il dispiegamento delle potenzialità di ognuno. In questo ruolo la collaborazione con gli EE.LL, pur nel rispetto dell'autonomia delle scuole, costruire collaborazione ed evitare diseconomie e sprechi, giungendo a creare progetti in comune in tutta la Toscana.

Federico Enriques, amministratore delegato della casa editrice Zanichelli, si è detto molto colpito dagli avvenimenti recenti ed ha sviluppato una critica costruttiva sulla precedente riforma presentata dal centro sinistra, soprattutto per la scarsa visibilità di un'idea portante della nuova scuola della Repubblica che, a suo avviso, ha avuto un ruolo negativo durante la scorsa campagna elettorale e relative elezioni. Anche se talvolta un lavoro silenzioso e costante può dare dei magnifici frutti, c'è un momento in cui il silenzio deve essere rotto e questo sembra proprio uno di quelli poiché assistiamo, quasi impotenti, non solo all'annebbiamento del disegno di riforma del centro sinistra, ma e soprattutto, a dei colpi decisivi contro la serietà della scuola e basti citare la riforma dell'esame di Stato e il nuovo organico di istituto per avere il segno di ciò che ci aspetta.

Prima di entrare nel merito delle relazioni previste per sviluppare il tema della prima mattinata di lavori " Il senso del nostro tempo", ha preso brevemente la parola Alba Sasso in qualità di ex presidente del Cidi per sottolineare quanto la scuola immaginata dall'attuale ministro Letizia Moratti sia lontana dalle parole che esprimono il tema del Convegno. "Il diritto di tutti alla cultura". Una scuola che non dà, lesina sui diritti dei cittadini, impoverisce l'economia del nostro Paese. Vi è un'ostinazione nel demolire ogni atto del precedente governo. Ne sono testimonianza la riduzione delle risorse per il sostegno all'autonomia, la riduzione degli insegnanti, la stessa trasformazione degli organi collegiali che cancella il governo democratico della scuola. Ci troviamo di fronte ad un modello di scuola avara e arretrata con una canalizzazione precoce che fa crescere le distanze tra i cittadini. Si tratta, però, di un disegno miope che si situa tra il familismo, il privatistico e l'aziendale. Se c'è meno cultura per tutti, che idea di futuro c'è dentro questa scuola? (Maria Pinzani Tanini)

Il senso del nostro tempo

Il diritto di tutti alla cultura - Domenico Chiesa
Infine Alba Sasso dà la parola, per la relazione introduttiva, a Domenico Chiesa, da alcuni mesi presidente nazionale del Cidi: il gesto assume anche il valore di un simbolico passaggio di consegne da parte di chi, in qualità di presidente, ha guidato il Cidi negli anni passati (il testo della relazione di Domenico Chiesa).

La cultura per la cittadinanza, la produttività, la democrazia - Tullio De Mauro
Gli atti del nuovo governo in materia di scuola si caratterizzano per un attacco a ciò che il centro-sinistra nei precedenti governi aveva avviato; ricordiamo, per esempio, la creazione dei centri territoriali per l'educazione degli adulti e la riforma dei cicli: tutto questo viene dal nuovo ministro ignorato o cancellato. A ciò si aggiunge un sottinteso - e qualche volta esplicito - attacco all'articolo 3 della Costituzione: la scelta precoce del percorso scolastico va infatti nella direzione opposta al dettato costituzionale.
Che fare? Innanzitutto cercare argomenti che facciano presa sull'opinione pubblica, portare all'esterno le ragioni a sostegno di una profonda riforma della scuola e del suo miglioramento, e convincere anche quella parte della sinistra che è stata finora sorda nei confronti delle ragioni della scuola e che non ha saputo valorizzare abbastanza il lavoro degli insegnanti.
L'alfabetizzazione della società italiana è stato il risultato di un processo storico recente: il Paese usciva dal fascismo con il 66% di italiani che non parlava italiano e un 60% che non aveva alcun titolo di studio. La scuola della Repubblica ha fatto sì che oggi il 95% parli italiano e che i figli degli analfabeti abbiano - per il 75% - un diploma. Questo lo si deve quasi esclusivamente al lavoro degli insegnanti. L'Italia è però il Paese dove si leggono meno libri e meno giornali che in altri Paesi europei e dove quindi l'analfabetismo di ritorno è un fenomeno frequente. Un altro dato: il 78% delle famiglie non ha in casa nemmeno un libro.
Investire nella scuola, nella cultura appare ad alcuni una spesa necessaria ma non 'produttiva'. Di questa mentalità si fa portavoce il ministro dell'istruzione, che ha già ridotto di qualche migliaio il numero degli insegnanti e concorda i suoi atti con il ministro delle Finanze: si veda la riduzione progressiva del 3% degli stanziamenti per la ricerca. E invece è stato dimostrato che l'investimento nella scuola ha una ricaduta diretta nella produttività!
La scuola non può quindi che essere il centro di una attività continua di formazione, coordinandosi con le imprese, con gli enti locali, nella direzione dell'educazione permanente di tutta la popolazione adulta. (Rosalba Conserva)

L'informazione nella società della conoscenza - Giulietto Chiesa
"Cercherò di inquietarvi, il titolo della mia relazione dovrebbe essere trasformato in "La comunicazione nella fine della democrazia", perché è evidente a tutti noi, almeno in questa sala, che siamo sottoposti a un flusso informativo che ha lesionato tutti gli altri sistemi, la famiglia in primo luogo e poi la scuola. Tutto questo ha comportato un abbassamento del tenore etico di questo Paese e i governi di centro-sinistra non hanno fatto nulla per contrastare questo flusso, per migliorare il servizio pubblico della comunicazione, anzi le reti Rai hanno "scimmiottato" la TV privata, le reti Mediaset.
Non esiste differenza tra servizio d'informazione e di intrattenimento, ci troviamo di fronte a un pastone indifferenziato, a forte contenuto ideologico: passano più idee in una "Domenica in" che non in tanti Tg! E la gente, la maggior parte delle persone, non può difendersi perché non sa, non ha gli strumenti. Questa è una delle questioni centrali - a proposito della formazione al pensiero critico - la scuola deve dare competenza per decodificare il messaggio televisivo.
I messaggi della TV sono tutti subliminali, perché attraverso lo schermo televisivo passano non solo contenuti, ma anche una modalità di apprendimento totalizzante. Siamo immersi in una situazione orwelliana che colpisce in misura maggiore i più deboli: le bambine, i bambini, i giovani, coloro che non hanno strumenti culturali e, questo, ha a che fare con la democrazia: quanto più si abbassa il tenore etico di una società, tanto più è a rischio la democrazia.
L'85% del flusso informativo è nelle mani di sei grandi multinazionali, tra esse Berlusconi non è uno dei più forti. Ebbene senza questo sistema mediatico la globalizzazione non sarebbe stata possibile, arrivo a dire che non lo sarebbe stato nemmeno l'undici settembre, pensato anche come un grande evento mediatico e nemmeno la guerra in Kosovo, in Afghanistan : le guerre avvengono in televisione che le rende mondiali. Qualcuno dice che sono apocalittico, sì, ma non integrato!
Facciamo qualche esempio concreto: si dice che l'informazione è l'idea del mondo, l'informazione invece capovolge il mondo. Pensate a quanto ci hanno detto, tutti i giornali, tutte le televisioni, rispetto all'Afghanistan: che le donne gettavano il burka, che gli uomini si tagliavano le barbe… solo falsità! Non un errore, che è sempre possibile, non un ordine di scuderia, che non serve tanto lo sanno a memoria che cosa dire e che cosa no. Una congrega di non più di una trentina di persone che esercita una vera e propria azione di violenza, un lavaggio del cervello, rispetto al quale noi, noi sinistra, non abbiamo fatto niente e rispetto al quale dobbiamo invece cominciare ad "armarci". Come? Riappropriandoci e reinventando quei luoghi di vita collettiva - partiti, parrocchie, circoli ricreativi - che ci sono stati "scippati" e che hanno invece costituito la ricchezza, la grande rete di protezione di questo Paese, che ha costruito la sua democrazia attraverso la partecipazione di una grande società civile. Oggi invece c'è un unico centro: la TV e allora nostro compito è costruire la democrazia dentro la comunicazione, cominciando ad esercitare un controllo democratico di essa. Chi ha deciso per esempio che Bruno Vespa deve avere cinque sere di sevizio televisivo pubblico a sua disposizione?
Per costruire questo controllo dobbiamo però dotarci di strumenti che non abbiamo mai avuto e sapere per esempio che educare allo spirito critico significa anche aiutare a "smontare" il messaggio televisivo; e chi riesce a capire è libero per sempre. Un grande "esercito di insegnanti", dotato di questi strumenti, diviene un moltiplicatore potente; e questo vale anche per tanti genitori e tanti politici, perché questa è oggi l'esigenza prioritaria.
Ecco perché nel dibattito sulla riforma della scuola il tema della comunicazione deve entrare con tutta la sua valenza. Ci aspetta una battaglia politica molto difficile e il tempo che abbiamo è poco. In questo la scuola, gli insegnanti sono uno snodo decisivo, i protagonisti fondamentali. (Barbara Accetta)

ore 15.30/19.30

Presiede ed introduce la sessione pomeridiana Emanuela Coniglione, presidente del Cidi di Catania. L'elemento che è scaturito con più forza nella prima sessione dei lavori del trentesimo convegno del Cidi è l'importanza del ruolo della scuola come istituzione democratica nella nostra società;. proprio perché la scuola è il luogo dove si costruiscono pensiero - sapere - autonomia gli interventi che tentano di indebolire democrazia nella scuola sono preoccupanti.
Ma come contrastare questo disegno? Bisogna tenere presente che se la scuola è uno dei presidi della democrazia non può essere difeso solo da coloro che vi lavorano, ma questa battaglia deve essere sostenuta da tutta la società civile.
Gli ambiti della democrazia non sono definiti una volta per sempre ma sono influenzati dai differenti contesti. La nostra associazione cerca proprio di coniugare il concetto di cultura e democrazia nella ricerca del fare concreto nelle singole scuole ed è vero che i nuovi diritti di cittadinanza e i valori di uguaglianza e diversità nelle scuole devono trovare nuove e più corrette declinazioni. E' giusto anche riflettere su come imparare a controllare gli strumenti della comunicazione in modo che la nuova generazione non sia subalterna a modelli culturali sbagliati.
E' necessario dare un senso politico ai tanti progetti che si fanno nella scuola e a riflettere sulla procedura dell'apprendimento e dell'interazione.
(Velia Di Pietra)

Una istituzione chiamata scuola

Apprendere a scuola - Pietro Boscolo
Quale è il significato dell'apprendere a scuola? Tre sono gli aspetti da considerare: la dualità dell'apprendimento, ovvero il fatto che a scuola non si imparano soltanto "oggetti", ma anche "significati"; l'apprendimento motivato; la qualità dell'apprendimento. La seguente tabella, che non ha pretese di esaustività e prescrittività, consente di tenere sotto controllo le variabili in gioco.

Apprendere a scuola
OGGETTI
QUALITA'
VINCOLI
CONDIZIONI
FAVOREVOLI
RISPOSTA
Conoscenze
Integrazione
Discipline
Sostegno
Coinvolgimento
  
Flessibilità
Contesto
Condivisione
Consapevolezza
Regolazione
Adattività
Contesto
Autonomia
assistita
Strategie di
autoregolazione

L'esperienza di apprendimento scolastico non si misura soltanto con le conoscenze in senso lato, ma anche con un insieme di atteggiamenti, di comportamenti e di regole che interferiscono variamente con l'attività cognitiva. L'apprendimento avviene sempre in contesti di interazione, che sono portatori di significati. Riguardo alla qualità, va chiarito che il concetto di integrazione ha a che fare con la continuità tra ciò che si sa e ciò che si apprende di nuovo, mentre la flessibilità chiama in causa la capacità di riutilizzo del sapere in altri contesti. Le discipline rappresentano l'organizzazione concettuale del lavoro docente, ma anche il "contenitore" che consente agli studenti di costruire significati dentro il contesto di apprendimento. La didattica può creare condizioni favorevoli all'apprendimento non solo quando, attraverso il linguaggio, compie un'azione di sostegno ai processi cognitivi, ma anche quando sollecita negli studenti la convinzione che l'apprendimento è qualcosa di condiviso con i docenti e con i compagni.
La questione relativa alla risposta dello studente chiama in causa il problema della motivazione e con esso la possibilità di un insegnamento che non sia "senza storia", nel senso che riguardi cioè soltanto il futuro, ma che sappia intercettare già a scuola, quando ciò è possibile, l'interesse ed il desiderio di conoscere degli studenti. Un apprendimento nel lavoro, invece, è un apprendimento del presente, senza prospettiva. Sul piano regolativo, il percorso di crescita dell'allievo ha come obiettivo, attraverso varie fasi, il raggiungimento della capacità di autoregolazione. (Velia Di Pietra e Maurizio Muraglia)

L'esperienza conoscitiva dalla scuola dell'infanzia alla superiore - Giancarlo Cerini
L'indignazione di Giulietto Chiesa e l'analisi misurata di Boscolo fanno ribadire a Cerini che la cultura è uno strumento di incontro, di pace e di conoscenza delle diverse situazioni di vita. Gli insegnanti rappresentano nella società italiana quel "ceto medio di reattività costruttiva", capace di tradurre concretamente un'idea democratica di scuola. A questo scopo cultura e società sono strettamente connesse e anche se esiste uno stacco fra la scuola che gli insegnanti vogliono e le pratiche sociali e politiche che la realizzano, essi e, in particolare quelli che hanno animato finora il Cidi, hanno il diritto di impegnarsi nella sfida fra utopia e progetto. Nessuno schema di riforma scolastica, nessun capitolato legislativo è soddisfacente alla realizzazione del progetto se non si parte dai "sentimenti" professionali degli insegnanti. Le riforme non sono dei modelli di ingegneria strumentale ma sono collegate alla storia della scuola, al tempo del processo di apprendimento/insegnamento che la caratterizzano, alla qualità delle discipline e alle loro relazioni interne.
D'altra parte, il "lavoro culturale quotidiano ben fatto" è la bandiera degli insegnanti ed essi debbono pretendere un aiuto da parte della riforma a lavorare meglio. Nello stesso tempo, non ci si deve irrigidire accettando per compiuti quei processi che sono ancora in atto, come quello dell'autonomia, che rischia in questo momento di essere "ingessata da una routine burocratica e dalle esigenze di localismi strumentali e che, soprattutto, è largamente incompleta nella riforma dei curricoli didattici, interrotta e fraintesa dall'attuale governo. L'autonomia deve ancora rilevare la pertinenza e il contenuto dei vari percorsi pedagogici. Cerini cita due esempi di malessere legati alla fisionomia della scuola di base che viene subita per lo più come una struttura burocratico- amministrativa. Si dovrebbe ripartire dall'esperienza degli Istituti comprensivi per valorizzare il curricolo verticale e le competenze dei centottantamila insegnanti in esso impegnati. Andrebbero sensibilizzati i rapporti fra la scuola, i genitori e le comunità locali. Anche la difesa del diritto al successo formativo dovrebbe incentivare nell'intero arco della scuola secondaria inferiore e superiore la riflessione critica sulla centralità dello studente. C'è un processo di reciproca responsabilità che dovrebbe evitare scorciatoie metodologiche e far riflettere sui tempi difformi e specifici dell'apprendimento. Nella piattaforma culturale finora offerta ci sono impoverimenti e chiusure, in particolare nel rapporto tra la scuola primaria e secondaria, dove a volte si calca troppo la mano su una alfabetizzazione eccessivamente strumentale, più orientata verso il risultato che sensibilizzata al dinamismo del processo e del percorso. Anche riguardo al rapporto tra alfabetizzazione disciplinare e multimedialità, la scuola appare troppo rigida. Dovremmo sapere di più su come si attivano, trasmettono, conservano le conoscenze; dovrebbero svilupparsi di più le connessioni, lo smontaggio/montaggio delle azioni e dei mezzi cognitivi, dei percorsi di approdo metacognitivo. La scelta sul "core" curriculum, di per sé legittima, non può irrigidirsi sullo schema dell'insegnamento frontale: il curriculum non è "un osso spolpato", ma si deve arricchire del gioco e del dinamismo multidisciplinare, della vita di relazione e connessione tra i vari saperi. Anche la distinzione tra i vari saperi "interessati al gusto della conoscenza" e quelli pratici, atti ad operare nel mondo del lavoro, non può cristallizzare la società tra chi è "destinato a capire" e chi deve essere inquadrato in "ruoli solo esecutivi e passivi". I contenuti dell'apprendimento e della formazione devono avere una risonanza esistenziale e ci sono valori su cui dobbiamo essere intransigenti :lo sguardo sulla formazione deve essere "lungo". A questo proposito è necessario riprendere una riflessione critica sull'apprendimento perché "non c'è stato il coraggio di affrontare i nodi in cui tutti i settori scolastici dovrebbero mettersi in discussione su cosa c'è dentro la formazione e quali sono i suoi obiettivi. Proprio a causa di questa paura, l'attuale politica governativa è tornata furbescamente indietro, intervenendo su quella parte della scuola dell'infanzia che è "senza identità" per la plasticità dei bambini pre-scolarizzati. L'anticipo dell'accesso all'obbligo primario ai cinque anni fa partire da lì la discriminante del doppio canale. Si potrebbe certamente cominciare "prima" ma con che cosa, con quali incontri? Con i colori, le parole, lo spazio, la natura? Ci muoviamo su eventi percettivi, su schemi, su immagini, evocazioni che, se aprono nuove possibilità, devono però prevedere un'altrettanto ricca trasformazione delle nostre idee di adulti e di insegnanti verso i bambini, in un disegno legislativo che "deve diventare come una ballata popolare, cioè andare in mezzo alla gente. Solo che noi lo vogliamo, la riforma siamo noi". (Rosanna Angelelli)

Dopo l'obbligo di istruzione: l'integrazione dei sistemi - Giuseppe Bagni
La nuova economia globale non sembra perdere l'interesse per "forza-lavoro a bassa competenza tecnica, frutto d'un addestramento povero, parcellizzato, alienato"; solo lo allontana da sé, destinandolo a quei Paesi dove il lavoro non interpreta una necessità di cittadinanza ma è, molto più drammaticamente, condizione di sopravvivenza.
E' una visibilità negata, quindi, non un'assenza di "modernità" del lavoro umile, non riconoscerlo sarebbe aggiungere umiliazione a coloro, e sono tanti, che ad esso sono tuttora destinati.
Va anche detto, poi, che del valore della formazione scolastica non sembra nemmeno esserci tutta questa consapevolezza nel mondo economico.
Ecco allora che la peggior lettura che si può dare di due canali distinti e fortemente differenziati è tutt'altro che anacronistica. Corrisponde, infatti, ad una logica tutt'altro che obsoleta.
Due ruoli possibili nel mondo del lavoro: i gestori dei processi e delle macchine e i gestiti da queste. La mediazione politica, introducendo nella lunghezza dei percorsi un modello a "canne d'organo", ha contribuito a rafforzare il segnale, ma già nelle "raccomandazioni" della commissione Bertagna si recitava che "qualche giovane è più attirato dalle dimensioni grammaticali e teoretiche del sapere; altri da quelle pragmatiche ed operative del sapere di cui ha bisogno qualsiasi fare umano. Qualcuno più dalla scienza, altri più dalla tecnica…".
Si tratta di una vecchia e anacronistica separazione. Tutta la migliore pedagogia, da Dewey in poi, riconosce che il problema vero è "in che modo la teoria può criticizzare il contesto, aiutare la mente a liberarsi dalla "prigionia del concreto", in che modo la pratica può fornire quell'apporto di autenticità, di motivazione ed indurre la teoria a "riconfigurarsi" dando luogo a nuova conoscenza contestualizzata?" In conclusione la teoria dovrebbe criticizzare e virtualizzare la pratica, la pratica ancorare e riconfigurare la teoria stessa…(Calvani, 2002).
E gli insegnanti? Sia la legge delega che il documento "Bertagna" propongono l'immagine di un docente vuoto: per aggiornarsi deve tornare all'Università, confermando che il docente è l'unico professionista non abilitato a ricercare sulla propria professione. Anche l'autonomia viene di conseguenza svuotata. Infatti l'autonomia di ricerca si sposta dal terreno interno della definizione del curricolo a quello esterno, del collegamento in rete con le altre risorse del territorio.
In effetti, aprire in alto i percorsi della formazione professionale senza dare più solidità alle basi culturali di ciascuno, si riduce ad un gesto appariscente ma che nella sostanza non cambia chi è destinato a subire la. selezione.
Quando si vanno a vedere gli esempi che la commissione Bertagna ha esplicitato per le qualifiche di base del percorso dell'istruzione e formazione, si trovano i profili di sempre: laminatore, verniciatore, saldatore o tornitore, con in più la possibilità di frequenza in alternanza col lavoro; è difficile pensare che possa essere qualcosa di diverso dal vecchio addestramento che ha ben poco in comune con l'idea di un "sapere messo al lavoro". Aprire alla formazione professionale senza discuterne finalità e livello e senza domandarsi il perché della generalizzata assenza di qualità delle proposte di questi ultimi anni, è molto pericoloso, soprattutto alla luce dell'esplosione che si è registrata nel mercato della formazione sulla spinta del crescente interesse di agenzie private e consorzi misti, proliferati improvvisamente con l'accesso libero ai fondi europei.
E' possibile che tra i docenti chiamati a confrontarsi con un numero sempre crescente di allievi "difficili", dalle motivazioni ogni anno più pallide, si vada espandendo un atteggiamento favorevole all'ipotesi di canali separati: i bravi a scuola gli altri nella formazione.
E tuttavia, qual è la scuola italiana nella crisi? Quella della centralità dello studente, delle ciniche promozioni elargite a tutti? Sempre più facilitata e squalificata, caratterizzata dal dominio del saper fare sul sapere? Pura ipocrisia. La nostra è una scuola divenuta di massa conservando la struttura di scuola d'élite con cui era nata.
Il fallimento a cui può andare incontro riguarda ancora il modello gentiliano.
Ma un'altra scuola è possibile, anche se questa nuova-vecchia teoria della scuola ha il vantaggio di andare incontro alla pratica dominante nella scuola, da sempre, e al senso comune che non mette in discussione sapere scolastico ma vuole l'adeguamento degli studenti a questo.
Alunni che attraversano il tempo della scuola per aprire il proprio futuro, altri che vengono attraversati dalla scuola che li trascina all'unico futuro possibile.
Pericoloso occuparsi solo di formazione di base, ampia ma senza connotazioni in contesti d'esperienza: si rischia di creare una manodopera aperta a qualsiasi lavoro senza connotati. I ragazzi a scuola devono imparare, imparando a desiderare un futuro che la scuola si impegna a far diventare esperienza vissuta.
Non separare gli "ottimi" dai "sufficienti", senza la ricchezza del contesto culturale in certe classi si potrà fare solo terapia, non certo didattica,. Far sì che ogni scelta diventi un'esperienza vissuta e reversibile, come un ramo che si orienta liberamente. Se si stacca secca rapidamente. Quel tronco può essere costituito oggi solo da un livello d'istruzione più elevato. Saranno poi i percorsi intrecciati e alternati a dare applicazione e senso al sapere trasmesso nell'istruzione, perché sia generale senza essere generico, disinteressato senza essere inutile.
Domenico Chiesa ha illustrato quello che potrebbe essere una posizione su cui convogliare le energie della scuola: "Tra i percorsi di istruzione e di formazione professionale esistono differenze tali da renderli non alternativi; essi rappresentano esperienze formative complementari.
In questo senso va ribadita la centralità della scuola nella fascia del diritto/dovere all'istruzione, mentre il periodo appena successivo a tale età (16÷18 anni) costituisce il tempo del "confine", dell'intreccio e della contaminazione tra i sistemi formativi. Al percorso di formazione professionale va garantita, dalla scuola, una base adeguata di formazione culturale. (Giuseppe Bagni)

La funzione pubblica della scuola - Luigi Ferrajoli
Intorno alla scuola si scontrano concezioni diverse, individuabili in tre questioni:
a) La scuola deve essere un luogo di educazione a valori, credenze oppure alla libertà di pensiero e alla ragione critica?
b) Deve essere una sorta di apprendistato per l'inserimento nel mondo del lavoro oppure un momento primario per la formazione civile del cittadino?
c) Deve selezionare le classi dirigenti e quindi distinguersi in scuola di massa e scuola d'élite oppure deve essere un fattore di inclusione sociale, di rimozione degli ostacoli che producono disuguaglianza, come recita l'articolo 3 della Costituzione.

La Costituzione fornisce una risposta chiara a queste domande. Affermando che la scuola è aperta a tutti configura l'istruzione e la cultura come un diritto fondamentale della persona, universale e inalienabile. Per questo l'istruzione è obbligo dello Stato, rientra cioè nella sfera degli interessi di tutti.
La scuola è una funzione pubblica proprio perché soddisfa una esigenza di tutti e perché è affidata allo Stato: l'articolo 33 della Costituzione non parla genericamente di scuole pubbliche ma, appunto, di scuole statali.
La scuole esercita tre tipi di funzioni pubbliche riconducibili ai tre valori fondamentali della rivoluzione francese: libertà, uguaglianza, fratellanza o solidarietà. La prima funzione, quella della libertà, non può essere esercitata dalla scuola privata, perché in questo caso si tratta di libertà della scuola e non nella scuola. La seconda funzione, quella della uguaglianza, che significa tutelare uguali possibilità di accesso a ciascuno, non può essere esercitata dalla scuola privata che degrada il diritto all'istruzione di tutti a un diritto patrimoniale, sottoposto al mercato. La terza funzione, quella della solidarietà, è sempre stata esercitata dalla scuola statale che storicamente è stata il principale fattore di unificazione nazionale.
Con il documento Bertagna e la proposta di riforma Moratti si introducono invece tre tipi di disuguaglianza:
a) nella diversificazione del curricolo;
b) affidando alle famiglie la scelta di parte del percorso formativo;
c) affidando la scuola alla competenza regionale.
A questo proposito la proposta di Bossi prevede programmi scolastici nell'interesse specifico delle Regioni.
Insomma, attraverso tali proposte di riforma della scuola, è in atto un attacco non solo al diritto all'istruzione ma ai presupposti stessi della democrazia.
La battaglia per la salvaguardia della funzione pubblica della scuola non ha, dunque, carattere settoriale, ma è una battaglia per la democrazia stessa. (Luciana Scarcia)

la sessione termina alle ore 19.00