il Ministro Berlinguer conclude la sessione pomeridiana

diretta web del
28° Convegno Nazionale CIDI

da Sorrento - 10 marzo 2000

"Le culture e i saperi della scuola"

testi: Barbara Accetta, Giuseppe Baldassarre, Lorenza Colicigno,
Daniela de Scisciolo, Velia Di Pietra, Caterina Gammaldi,
Giovanna Miccichè, Lucia Presta, Luciana Scarcia, Ermanno Testa
web: Sergio Fredduzzi

diretta del giorno: 9/10/11
immagini del giorno: 9/10/11

      ore 9.30
      Si aprono i lavori della seconda giornata del convegno, riprendiamo la diretta.

      ore 9.45
      I lavori del convegno riprendono con due tavole rotonde. La prima si sofferma a pensare cosa significa oggi essere istruiti. Quali strumenti bisogna possedere: è infatti necessario saper leggere e saper scrivere, ma non basta più. La discussione serve ad approfondire alcuni aspetti e a capire quali sono le competenze che vanno aggiunte a quelle basilari oggi per completare il concetto di istruzione. La seconda tavola rotonda e' conseguente alla prima: soltanto dopo aver individuato le conoscenze e le competenze necessarie e' infatti possibile costruire i curricula. Cioè programmi su misura capaci di individuare i veri bisogni di chi apprende.

      ore 9.50
      Presiede i lavori della mattina Giovanna Domestico del Cidi Sorrentino, nella sua introduzione chiarisce come sia importante definire i saperi della scuola. Le riforme impongono in questo momento un ripensamento sui saperi, sui contenuti e sull'organizzazione. E' necessario alleggerire gli impianti disciplinari, creare un rapporto di circolarità tra conoscenze e competenze tenendo presente che i saperi non possono inseguire lo sviluppo tecnologico. Al primo confronto partecipano Tullio De Mauro, docente di filosofia del linguaggio, e Alberto Oliverio, docente di psicobiologia all'università La Sapienza di Roma.

      ore 10.00
      Il sindaco di Sorrento Fernando Pinto porge un saluto non formale ai partecipanti: mi piace che la mia città non sia soltanto nota per il mare. Grazie a voi qui si discute e si ragiona. Questo è un paese che ha molti gioielli naturali ma deve essere apprezzato anche per i cervelli. Voglio soltanto inviarvi un messaggio che è quello di non avere paura delle riforme. Anche l'amministrazione pubblica in questi anni è stata bombardata da avvenimenti nuovi ma questo è un fatto positivo. Le riforme fanno crescere il paese e gli investimenti per la scuola devono essere di lungo periodo, sbaglia chi pensa di ottenere tutto e subito perché, soprattutto nella scuola i processi devono essere elaborati e il sapere deve avere un'anima per farci crescere.

      ore 10.10
      Tullio De Mauro inizia dicendo che uno degli assi interpretativi per riflettere sui nuovi e vecchi saperi può essere quello di definire o evidenziare due coordinate una a livello nazionale europeo e una planetaria, infatti si pone in tante parti del mondo il problema di un ripensamento dei saperi dovuto a molti fattori socioeconomici e produttivi che sono ormai ineludibili. Le forme produttive infatti sono legate da una stretta interdipendenza che impone anche all'educazione di aprirsi a realtà economiche e culturali molto distanti dalle nostre. Il secondo fattore è l'impoverimento della base produttiva tradizionale che è sempre più sostituita da produzioni ad alta tecnologia, un esempio che tutti conosciamo è quello dell'editoria scolastica che sempre più cerca profitti a scapito della qualità. Quello che interessa oggi è acquisire informazioni e saperle usare e in questo contesto le esperienze del passato contano meno. Quindi questi spostamenti cambiano completamente l'asse e il ruolo della scuola. Gli sconvolgimenti sono tanto profondi e importanti che c'è un'esplosione di nuovi dati che crea condizioni critiche che la scuola deve recepire. Quello che conta, infatti è ciò che possiamo insegnare nella scuola, questo era un paese di contadini e di braccianti poveri e nel 1951 il 60% della popolazione non era andato a scuola e non parlava l'italiano, da qui veniamo e il nostro paese rapidamente è diventato un paese industriale e adesso è un paese di capitale finanziario e di servizi. Abbiamo quindi problemi a mantenere questo passo e specifici problemi, ad esempio di deficienze nell'apprendimento delle lingue straniere. L'obiettivo che bisogna porsi è quello di una crescita culturale generalizzata a livello della media superiore e di un po' più di laureati. La scuola ha fatto un enorme lavoro di crescita delle nuove generazioni in solitudine e adesso bisogna porsi con forza il problema di che cosa e come insegnare. Nei prossimi mesi se verranno rispettati tempi previsti dalla riforma ci sarà una grande occasione di dibattere tra di noi e a tutti i livelli i contenuti e i modi dell'apprendimento/insegnamento. Mi auguro che ciò accada, ma intanto chiedo al professore Oliverio quali sono i blocchi di sapere che bisogna introdurre nella scuola riformata e se ci sono blocchi di sapere che attualmente mancano nella scuola.

      ore 10.50
      Alberto Oliverio apre il suo intervento soffermandosi su due aspetti, specificità e capacità generale, che la scuola deve sviluppare; la capacità di immergersi in situazioni nuove è un problema che ciascuno di noi fronteggia, la capacità di individuare settori originali è un altro aspetto importante e lo si ritrova nelle cose più banali. Quali saperi? uno degli aspetti principali nella didattica è smantellare concezioni ingenue, soprattutto nell'ambito scientifico. La didattica e la pedagogia della scuola italiana hanno sottolineato in passato forme di apprendimento basate sulle associazioni piuttosto che sul metodo della scoperta e della ricerca. L'apprendimento per scoperta va potenziato, va privilegiata l'interazione in prima persona; in un mondo che cambia, i nuclei del sapere da trasmettere sono molti ma vanno accompagnati da quella capacità generale a cui si è fatto cenno all'inizio. Insegnare a imparare: questo il compito della scuola. Questo contenitore di materie diverse ha bisogno, per esempio, della capacità di sviluppare una logica, la nostra è una mente che si adegua a uno sviluppo concreto, vacilla se non è educata a farlo. Alle successive domande di De Mauro: come destrutturare la nostra mente, come realizzare una scuola della scoperta senza che si consolidi un primo nucleo del sapere, ci sono contenuti minimi che vanno fissati, Oliverio ha risposto, eludendo simpaticamente alcune delle provocazioni contenute nella domanda, che non è breve il passo esistente tra compiere azioni e scoprire qualcosa e soprattutto essere in grado di strutturare il contenuto di questa scoperta. Vi è spesso la difficoltà di verbalizzazione delle esperienze. La difficoltà attuale è quella di legare alcuni punti irrinunciabili della didattica; alcuni punti fondamentali vanno conservati perché costituiscono una base culturale forte.

      ore 11.15
      Alla seconda tavola rotonda "Conoscenze, competenze: come organizzare il curricolo scolastico", coordinata da Ivana Summa del Cidi di Bologna, partecipano Carlo Fiorentini del Cidi di Firenze, Lucio Guasti docente di pedagogia presso l'università di Brescia, Clotilde Pontecorvo docente di psicologia dell'educazione all'università La Sapienza di Roma.

      ore 11.20
      Ivana Summa che coordina la seconda tavola rotonda esordisce chiedendosi: come organizzare il curricolo scolastico della nuova scuola? La questione è stata affrontata forse in ritardo, infatti è la prima per crucialità tra le contraddizioni del dove e come orientarsi. Intorno al nuovo curriculum si muovono le norme nuove che parlano di conoscenze, competenze e certificazione. Esse sono: la legge 164, la legge 196/97 (formazione professionale che prefigura un portfolio delle competenze valide in ambito europeo), il Dpr 275, il Regolamento dell'autonomia (che all'articolo 8 fa riferimento a concetti quali obbligatorietà e facoltatività, snellezza, obiettivi di apprendimento relativi alle competenze degli alunni come capacità di fare le cose), che all'art. 13 dà alle scuole la possibilità di elaborare il proprio curricolo formativo, delegando completamente l'organizzazione didattica alle stesse, infine la legge 2/2/2000 sul riordino dei cicli, che fa di nuovo riferimento agli obiettivi della scuola dell'obbligo: sviluppare conoscenze, capacità, competenze, stabilendo all'art.3 che alla conclusione dell'obbligo scolastico si debbono certificare le competenze. Proviene da questo quadro normativo il profilo della persona in uscita; non si può parlare di cittadino, perché l'ambito è molto più vasto della cittadinanza. La definizione di tale profilo è una scelta politica, da quadratura del cerchio, perché significa coniugare democrazia con cittadinanza e benessere. Occorre che la scuola, dopo averla rielaborata, assicuri la redistribuzione sociale della produzione culturale. La scuola italiana, per continuare a svolgere la propria mission, deve rinnovarsi per innovare: dobbiamo cambiare non per cambiare, ma per migliorare. L'innovazione spetta alle persone: la norma è vincolo ma diventa , così, risorsa. C'è la possibilità di rovesciare il rapporto tra Ricerca e Azione: la scuola si pone domande (autonomia di ricerca), prova a dare risposte a problemi (autonomia di sperimentazione), si dà tempi che siano validi per la scuola ma anche all'esterno (autonomia di sviluppo). Diventa però urgente definire gli assi culturali, i confini progettuali in cui la scuola si può muovere, dal disegno locale al disegno nazionale. Come ricucire il rapporto tra insegnamento e apprendimento? Bisogna pensare a un' offerta formativa non escludente che consenta di tenere aperto il processo di apprendimento fuori della scuola e anche dopo. Bisogna pensare a una didattica nuova, anzi alle didattiche come luoghi di mediazione. Le discipline riacquistano quindi una loro centralità perché diventano occasioni di apprendimento. La domanda è: come rendere la scuola competente nella costruzione dei curricoli?

      ore 11.55
      Carlo Fiorentini: per affrontare in modo corretto il problema del curricolo occorre raffigurarlo come un quadrilatero con al centro il curricolo e nei quattro vertici le discipline, l'epistemologia e la didattica, le scienze dell'educazione e la psicologia dell'educazione, la riflessione sulle sperimentazioni. Cioè il curricolo va affrontato nella sua complessità, nel senso che esso è costituito dall'intreccio di competenze disciplinari diverse; la scuola elitaria invece si chiedeva solo "che cosa insegnare" e quindi puntava solo sulle discipline. Oggi ci sono le condizioni politiche e giuridiche perché si possa intervenire in maniera efficace. Il cuore dell'innovazione è ripensare la progettazione, sta alle scuole impegnarsi per dare vita a una progettazione valida per le esigenze di oggi. L'iniziativa dal basso può e deve incontrarsi con l'iniziativa dall'alto.
      Poiché la dimensione formativa delle discipline non coincide più con la loro sistemazione accademica, oggi, dopo Bruner, la meta da raggiungere è la struttura delle discipline attraverso percorsi rilevanti e significativi per l'allievo. Da ciò deriva che la competenza non va intesa solo come prestazione ma come correlazione tra apprendimenti e conoscenze significative. Da tempo nella scuola italiana è in atto una ricerca in tale direzione, il problema è però di ricondurre a sistema i prodotti di tale ricerca. L'obiettivo fondamentale è sviluppare competenze di tipo osservativo, logico e linguistico.

      ore 12.25
      Lucio Guasti: rispondere alla domanda su come costruire il curricolo può implicare una risposta a diversi livelli: il primo è come sia possibile orientare un curricolo dal basso, dall'alto o in modo dinamico; il secondo è l'aspetto istituzionale, e infine quello antropologico. Alcune fasi di passaggio hanno determinato modifiche sostanziali nel modo di formare e di concepire il curricolo. Per esempio: il latino è adesso concepito come una disciplina di una cultura linguistica specializzata e non più come una disciplina di base; oppure riteniamo l'acquisizione di una base scientifica contemporanea indispensabile per il buon esercizio della democrazia. Il rapporto tra educazione umanistica e scientifica è stato sostituito dalla concezione della cultura che ha rapporti con il contesto sociale e lo sviluppo economico. Per la riforma della scuola tra l'approccio istituzionale e quello sistemico si è scelto il secondo che rende non più praticabile il modello tradizionale di fare scuola. Questo significa, quindi, che si devono attivare tante strategie per lo sviluppo scolastico, per esempio l'Istituto Enciclopedico Italiano ha raccolto immagini del Novecento perché è necessario che l'attualità diventi un elemento del curricolo. Lo sviluppo dei programmi di carattere scientifico con progetti che partono dalle scuole modificano i contenuti specifici di apprendimento. Le esperienze di 1600 scuole che hanno rapporti con paesi della comunità europea comportano definizioni di competenze in un quadro integrato. Quindi la dinamica curricolare è più sistemica e implica più fonti, più punti di riferimento in modo da potere elaborare nuove metodiche. Vi è una parte disciplinare del curricolo da elaborare e una parte "sociale" che deve dare più stimoli autonomi. Gli elementi generali e locali sono da mettere in connessione per la definizione del curricolo ma bisogna evitare che predominino i localismi in quanto l'approccio sistemico delinea un percorso che comprende il territorio e gli stimoli a carattere generale. Il secondo aspetto è quello dell'attenzione alle forme attive di partecipazione dei soggetti coinvolti, infatti la scuola sembra orientarsi verso forme che privilegiano l'apprendimento sull'insegnamento. Negli anni ottanta l'Ocse definiva la scuola come luogo di apprendimento polivalente; le modalità per costruire i curricoli consistono di due livelli, il livello della didattica, di quella che è definita didassi, e cioè della didattica in classe, e quello della didattica generale, quello cioè delle competenze da definire a livello di scuola. Questo implica la partecipazione dei soggetti interessati a questi due livelli. Quindi diventa prioritario costruire la differenziazione dei livelli di competenza all'interno delle scuole.

      ore 12.45
      Clotilde Pontecorvo condivide molte delle cose sottolineate negli interventi precedenti: va fatto un richiamo storico agli anni settanta quando con Lidia Tornatore si iniziò a parlare di curricolo basandosi su esperienze provenienti dalle scuole. Curricolo e curriculum sono due cose diverse, parlare di curricolo non è parlare di programma; la scuola funziona in base a indicazioni condivise, il curricolo è progettato da chi lo realizza. Vi è una contraddizione nella normativa recente relativamente al curricolo nazionale: chi lo realizza è un individuo, il curricolo è un'organizzazione autonoma e consapevole di chi lo realizza. Un tema di indagine degli anni settanta è stato quello di individuare fondamenti teorici e componenti culturali e disciplinari del curricolo. Per riprendere il tema della complessità del curricolo affrontato da Fiorentini, la Pontecorvo propone l'immagine del tetraedro in cui i vertici, egualmente importanti e fondamentali, sono elementi in gioco nel processo di apprendimento e costruzione del curricolo, essi sono: l'allievo con il suo sviluppo e le sue caratteristiche sociali; gli standard o compiti criteriali; i contenuti, elementi essenziali, strettamente legati ai metodi: i quadri concettuali che si realizzano attraverso certi metodi (per esempio, lo sviluppo cognitivo esiste in quanto è studiato con un certo metodo); decisiva è l'attività che l'insegnante e la scuola mettono in atto perché quanto detto prima si incontri. Le competenze: alcune cose sono state già sottolineate nella commissione dei saggi, sono trsversali con declinazioni disciplinari. Una prima formulazione è stata ricavata dalla prima ricerca Ocse per un nuovo tipo di literacy formata dall'area di comprensione di testi di ogni genere (area complessa ma da praticare fin dai primi anni della alfabetizzazione); area di comunicazione agli altri in diverse forme. Diventa essenziale realizzare nelle scuole e nei vari ambiti disciplinari ciò che si è definito comunità di pratiche, una comunità in cui si condividono scopi non immediati e in cui c'è un impegno comune per la realizzazione complessiva. La responsabilità che le scuole hanno oggi di costruire il proprio curricolo è qualcosa che consente una realizzazione operativa perché i ragazzi siano attori in questo processo. I saperi scaturiscono dalle discipline, il ruolo degli specialisti è fondamentale, ma essi non possono lavorare da soli, le donne e gli uomini che lavorano nella scuola vanno coinvolti.

      ore 13.20
      Termina la sessione mattutina del convegno.
      I lavori riprenderanno alle ore 15.30.

      ore 15.30
      Giuseppe Bagni apre i lavori pomeridiani sul tema "Il mestiere dell'insegnare": interpreta la sua presidenza come apertura del tema che intende come occasione per connotare il lavoro del docente, per individuarne le connotazioni nel momento di un cambiamento che significa ripartire da zero. I punti di osservazione da cui definire il mestiere del docente sono tanti, ciò che manca è il punto di vista della scuola, capace di analizzare a fondo la questione. Siamo condizionati oggi dal bombardamento di numerosissime circolari che rischiano di far coincidere l' innovazione come sovraccarico burocratico. Si assiste a una sorta di schizzofrenia dei docenti: essi in effetti si dividono fra un "io" che programma e mette tutti i documenti nel cassetto e un altro "io" che va in classe senza curarsene. Invece la specificità del docente sta nell'intercettare l'intelligenza dei discenti, nel programmare strategie che possono essere cambiate in base alle esigenze, la sua abilità più specifica è quella di cambiare strada, di porsi in relazione con le numerose agenzie educative al punto da potersi definire come il gestore di una scuola che sta fuori di sè. Cos'è dunque un buon docente? L'opinione pubblica tende a definirlo come uno che spiega bene, ma anche gli artigiani, in genere, spiegano bene ai loro apprendisti. Il carattere del docente, invece, è meno lineare: deve saper intercettare intelligenze; saper scambiare abilità, competenze, ruoli; deve rendere consapevoli e far circolare interesse; provocare condivisione di intenti, non solo far crescere gli studenti ma anche saperne conservare le doti e il patrimonio, non correggere ma riconoscere valori e ricchezza negli altri. Questa è la scuola aperta, la scuola pubblica che quindi si differenzierà dalla scuola privata, in cui si può trovare tolleranza. Nella scuola così come io la intendo, non c'è tolleranza, ma una reale apertura all'ambiente multiculturale fuori e dentro la scuola. Se abbiamo fino a ora subito invadenze da enti esterni è perché non è chiara la nostra identità. Definire il nostro lavoro è definire la nostra professionalità: significa capire le nostre relazioni con l'ambiente esterno per riconoscerne l'incidenza sulla scuola e restituire attraverso questa consapevolezza l'equilibrio tra l'ambiente esterno e scuola.

      ore 15.50
      I lavori del pomeriggio proseguono con gli interventi di Bruno Forte: "La domanda di senso", Dario Missaglia: “Libertà e responsabilità”, Domenico Chiesa: “I valori di riferimento”, Rosalba Conserva: “L’elogio della quotidianità”. Per ultimo l’intervento del ministro Luigi Berlinguer.

      ore 16.00
      Bruno Forte: una risposta di senso per una domanda di senso è quella della presenza numerosa degli insegnanti al convegno. Il contesto in cui si colloca l'autonomia è segnato da ambiguità e ambivalenze. Si registra il rischio paradossale che l'autonomia possa diventare un freno per il cambiamento se gli insegnanti non diventano gli artefici di tale cambiamento. Troppe circolari e direttive in un momento in cui ci sarebbe bisogno di pochi paletti definiti: scuola invadente o invasa? Date le emergenze scaricate sui professionisti della scuola, si correrebbe il rischio di delirio di potenza che si trasformerebbe in una sorta di "impotenza formativa". Il concorsone ha causato uno scatto di orgoglio del personale della scuola che ha rivendicato la volontà di essere soggetto di sé. Si è rivelata l'insufficienza della logica dell'amministrazione e dei sindacati con relativa affermazione dell'associazionismo professionale. E' materia tutta contrattuale la questione professionale? Ritengo di no. Si pone la questione della cittadinanza attiva, quella che esercita poteri e responsabilità. Se la scuola è il luogo di pratiche professionali, gli insegnanti hanno titolo per essere non solo artefici, ma anche per promuovere condizioni di partnership. Siamo d'accordo con il rapporto Blair là dove si dice che la professione dell'insegnante deve diventare "attraente". La percezione sociale di questa professione ha ora senso negativo, noi stessi siamo i primi a disistimare il corpo professionale, la disistima è "diffusiva" così come la stima. Si pone ora l'altra questione, quella valutativa, quella dell'authority professionale. La tentazione è quella del rifugio privato (il rapporto solo con i propri studenti), in quest'ottica, la libertà di insegnamento viene vissuta come libertà privata. La professionalità dell'insegnante si esplica attraverso la mediazione della didattica, senza opposizione nella relazione insegnamento apprendimento. Non c'è apprendimento senza un appropriato insegnamento. Questo rapporto è ragione della crescita che è umana e umanizzante. L'insegnante è un soggetto che educa e si prende cura, ha il compito sempre più pesante di "far spazio" ai problemi che i giovani vivono. Un altro problema è rappresentato dalla femminilizzazione della professione, la nostra società delega alla donna il "prendersi cura"e produce istituzioni "rimediali", sempre meno, istituzioni "vitali". La scuola deve essere il luogo "unitivo", luogo dell'accompagnamento, della liberazione, della ricerca della verità che è dispersa nelle coscienze.

      ore 16.20
      Dario Missaglia: Alba Sasso ha posto nella sua relazione l'obiettivo della ricerca sulla professionalità in tutta la complessità e la problematicità che comporta. La scuola italiana ha sempre esaltato la funzione sociale degli insegnanti e la funzione sociale del lavoro, scuola e insegnanti hanno subito negli scorsi decenni gravissimi tagli e sono rimasti irrisolti problemi come il reclutamento e la formazione. La subalternità della scuola al potere politico e la delega totale che a questo potere è stata data ha condizionato anche la nascita dei sindacati confederali e dell'associazionismo. In quel periodo in cui l'orizzonte del cambiamento era sempre più lontano, sembrava che il lavoro docente fosse immodificabile. Soltanto oggi sotto la spinta del cambiamento possiamo misurare i danni di quella fase e possiamo ripercorrere l'inizio della rottura di quella condizione con la legge 59 del 1997 che fu il primo atto che introdusse procedure di autonomia. Da qui iniziano le prime esperienze di autorganizzazione del lavoro e di rottura di schemi centralistici. Ciò pone la necessità di coniugare il rapporto tra riforme e contratto, e questo rapporto pone problemi nuovi. La concezione di una nuova centralità del lavoro dell' insegnante è una ricerca in atto che ha ancora limiti che non sono soltanto manifestati dalla vicenda del concorsone. La professionalità, infatti, è ancora letta con le categorie del sapere assoluto e non con il sapere determinato delle persone. La professione docente è un nodo delicato e complesso e il contratto sindacale non può regolare il rapporto di apprendimento come regola quello col datore di lavoro. Infatti la dimensione emotiva e motivazionale può stare soltanto dentro un'idea positiva della professionalità che acquisisce la relazione con l'altro come un processo di condivisione. Siamo ancora distanti dal percepire un rapporto positivo con l'autonomia e anche a sinistra vi sono persone favorevoli ad una nuova delega al governo centrale per la determinazione dello stato giuridico e dell'organizzazione del lavoro. Quanto più il sindacato deve fare un passo indietro sui temi della professionalità, tanto più gli insegnanti e le scuole devono riappropriarsi di questi problemi come soggetti che comprendono che il proprio lavoro e il lavorare nella scuola assicura uno dei primi diritti di cittadinanza.

      ore 16.45
      Domenico Chiesa: “I valori di riferimento”. In questi due giorni il dibattito ha posto al centro la relazione tra i saperi della scuola e i valori della democrazia. Poniamoci il problema di come la riforma darà la possibilità di rendere praticabili questi valori per la cui veicolazione è indispensabile che i docenti si sentano protagonisti; ciò può avvenire se si ridà senso al loro lavoro. Basando il ragionamento su due puntelli, 1) Bobbio: relazione tra la democrazia e gli uomini che la fanno vivere e crescere, 2) Codignola: dopo il tramonto dello Stato etico, il compito dello Stato è quello di consentire il confronto tra ogni forma di pensiero. Ne consegue che la scuola dovrà essere luogo di dialogo, luogo di valori democratici, anzi laboratorio di democrazia dove si respirino diritti e doveri, dove vi sia certezza delle regole, del rispetto e della valorizzazione delle risorse culturali. La scuola deve formare all’autonomia, che è necessaria perché maturi la responsabilità di essere cittadini che operano per la collettività; deve garantire la formazione per consentire la titolarità dei diritti politici. La battaglia comune deve essere quella di restituire sicurezza ai docenti attraverso la valorizzazione del loro mestiere. Per consentire tale obiettivo occorre affrontare questi nodi: superare l’autoreferenzialità della scuola; tener conto dell’intreccio tra scuola, territorio e mondo esterno senza rinunciare alle specificità della prima; valorizzare la dimensione collettiva. Al centro del lavoro scolastico ci sono la presenza in classe e l’intellettualità individuale dell’insegnante che però è parte di una “comunità di pratiche”. Lo splendido mestiere dell’insegnante deve avere come rinforzo l’idea che si debbano fornire allo studente due motivi: uno per venire a scuola, l’altro per non andarsene. Si viene a scuola perché si è considerati persone, si rimane perché si prende coscienza del valore della formazione culturale. E questo è il valore più alto, fortunatamente contagioso.

      ore 17.10
      L'intervento di Rosalba Conserva: "L’elogio della quotidianità", si apre con una riflessione: quello che muove i nostri sforzi, in associazioni come il Cidi, e nelle singole scuole, è la convinzione che a ogni cittadino - e qui le parole di Gramsci - deve essere data l’opportunità di diventare governante. Da un lato, gli scenari futuri dell’organizzazione del lavoro sembrano non richiedere come necessaria una istruzione umanistica e scientifica qualificata e generalizzata, d’altro canto siamo certi che la formazione umanistica e scientifica generalizzata, e di qualità, è l’unica garanzia di una società democratica. E’ necessario sviluppare un rapporto di stretta collaborazione tra scuola e società, fare in modo che attraverso un insegnamento esplicito sia chiaro il decalogo dei doveri. Occorre difendere il ruolo istituzionale della scuola pubblica rendendola capace di garantire qualità e quantità di formazione. Iniziando la sua relazione passa a sottolineare come il lavoro quotidiano di analisi e documentazione dell’attività con i ragazzi possa essere molto importante e come esprimere criteri per valutare e valutare nozioni e competenze possa essere una pratica utile. Sollecitare i ragazzi al lavoro a casa, a dedicare allo studio alcune ore continuative della loro giornata non deve sembrare una pratica educativa superata. Nella crescita culturale, oltre a quelli che vanno fondati a partire da zero, ci sono tratti - e sono tanti - che vanno potenziati, complessificati. Un insegnante getta le basi per una qualche competenza e poi qualcun altro costruisce su ciò che ogni allievo già sa e sa fare.
      I ragazzi portano a scuola i telefoni cellulari. E che dire allora di un insegnante che porta a scuola tutto il suo risentimento? Prendiamo atto che i ragazzi sono intelligenti, creativi, che ci portano idee nuove, che da loro impariamo a insegnare. Prenderne atto è un presupposto che non va nemmeno messo in discussione, perché l’ascolto e l’attenzione sono una premessa. Noi siamo giustamente preoccupati all’idea di quello che diventerà un bambino, un adolescente: dovrà sapere la chimica, il Medioevo, l’informatica ecc. Ma quando la trasmissione culturale non funziona, chi e cosa deve produrre adattamento? La scuola o gli studenti? Questa è la domanda cruciale. A scuola, per esempio si possono fare variazioni al programma di storia scegliendo strumenti che incontrano i nuovi modi di imparare degli studenti: anziché solo il libro di storia uso un video; allo stesso tempo, però, curo il come, vale a dire il metodo, affinché si avvii un cambiamento di lunga durata. C’è una rete di conoscenze che per i modi della loro acquisizione, oltre che per il contenuto, abituano un individuo a un certo modo di imparare. Poiché gli apprendimenti che si radicano più tenacemente si acquisiscono nell’infanzia, ciò che riteniamo decisivo nel successo scolastico va fatto acquisire molto presto. Se per la nostra cultura che è una cultura scritta si continuano a ritenere cruciali il leggere, capire, memorizzare, riformulare, allora nella scuola va generato un qualche allenamento: a mantenere la concentrazione, a governare i propri impulsi, a pensare prima di parlare. Leggere e ripetere a voce alta, imparare a memoria una definizione, correggere al computer un testo ecc. sono cose che richiedono tempo, e un tempo differente per ciascuno, e che si possono fare solo a casa, e questo deve essere predisposto da noi insegnanti. Merita di essere trasmesso dalla scuola ciò che è capace di dare a ogni essere umano il senso di una appartenenza, attraverso quei valori universali che la storia ha saputo conservare e che uomini e donne di cultura hanno saputo rendere accessibili a molti. Chi insegna è per definizione una persona colta, possiede e padroneggia strumenti e contenuti della sua cultura di appartenenza in uno specifico campo. Una persona che così come sa scegliere per altri - del tanto che potrebbe diventare oggetto di studio - sa scegliere per sé: cosa conviene che egli a sua volta studi ancora e meglio? Le tecniche di programmazione non bastano: occorre coltivare un pensiero che ci predisponga a guardare le decisioni minute da una visione più generale.

      ore 17.35
      A conclusione della seconda giornata dei lavori del convegno, interviene l'on. Luigi Berlinguer, Ministro della Pubblica Istruzione che si dichiara un habitué dei convegni Cidi. Grande ricchezza intellettuale nel convegno: vi è una riflessione che acquista pregnanza, urgenza e profondità, ed è la questione docente; la ragione prima non è recente e sta nel fatto che la scuola soffre nel mondo, in Europa, in Italia un impatto con i cambiamenti sociali che ne impongono una profonda rimeditazione. Vi è una coppia di problemi che è costituita dalla considerazione che la scolarizzazione è pressoché generalizzata in età scolare e che l'investimento nella fascia di età scolare non basta più. Questo è un tema che va compreso, altrimenti non si comprendono i cambiamenti. Nel passato vi è stata abdicazione politica nei confronti della scuola con l'incapacità a rispondere a una mutata domanda sociale. Il problema dell'inclusione, dell'equità sociale, del diritto ad apprendere non è un fatto secondario e di unica competenza del mondo politico. Si deve ripartire dal rapporto scuola società, scuola lavoro, istruzione formazione, con l'occhio rivolto all'educazione degli adulti. Vi è una caduta verticale del principio di autorità, generalmente diffuso nel resto del mondo dove la scuola diventa teatro drammatico di grandi tensioni. C'è un problema di organizzazione scolastica, elemento che attiene la professionalità docente: la questione docente e quella studentesca sono molto collegate; la scuola non include abbastanza i ragazzi in questi processi organizzativi. La grande ambizione è quella di coniugare riforme di quadro e riforme dei soggetti: la professione docente non può tornare normativamente indietro, l'eccesso di pansindacalismo sciupa le scelte inserite nel contratto. Vi è un'urgenza di riscrittura della professione docente, vi è un problema di autonomia professionale che significa evidenziazione della specificità professionale docente, significa che la scuola è molto più complessa e ha al suo interno specificità professionali diverse. La funzione docente dovrà esplicitarsi in una struttura nuova che è il riordino dei cicli: c'è bisogno di collegialità, di gioco di squadra, cose che non vanno a eliminare le individualità. C'è la necessità di diverse figure sociali di docenti, l'eterogeneità va acquisita come risorsa nella nuova scuola che si sta costruendo (per esempio il part-time, le disponibilità all'offerta aggiuntiva e/o quelle a svolgere attività simili alle attuali). Il patrimonio di innovazione didattica, di ricerca nel modo di essere docenti, che spesso rimane acquisizione personale non socializzata, potrebbe diventare, se reso evidente, un altro elemento della differenziazione e della evoluzione della professione docente. Le politiche retributive sono scelte politiche, non cadono dall’alto, e vanno contestualizzate: quale politica retributiva si può fare? La fase di ascolto che si sta realizzando porterà a individuare due questioni, 1) introdurre il principio di crescita professionale non automatica; 2) come valutare la transizione utilizzando le norme contrattuali per raggiungere l’obiettivo prefissato. La politica della privatizzazione, che altrove sta facendo danni, è presente in Italia già dal governo Berlusconi con il buono scuola che attecchisce anche in altri ambienti: la sua introduzione porterebbe a un risultato di grande dequalificazione. La legge di parità recentemente approvata va nella direzione di salvare la scuola pubblica dal rischio di liberismo sfrenato. Con il riordino dei cicli si rispetterà la specificità professionale di ciascuno, non vi saranno perdite secche di docenti (i cinquantamila paventati) perché vi sono elementi che spingono in questa direzione: l’organico funzionale di istituto, l’aumento delle iscrizioni a seguito dell’elevamento dell’obbligo scolastico, l’introduzione dell’IFTS, l’educazione degli adulti, l’espansione dell’attività formativa; a riprova di ciò sono stati indetti comunque i concorsi. I cinque anni della secondaria - previsti dalla legge di riordino - non produrrano ‘scadimento’: il biennio di obbligo, le “passerelle” consentiranno scelte più attente per il triennio conclusivo. Bisogna lavorare, tutti insieme e col tempo necessario, per attuare al meglio questa grande riforma, vi sono problemi di attuazione perché c’è un’amministrazione ereditata da altri, c’è una dirigenza ereditata dal passato, la fase attuativa è quindi molto delicata e contiene il rischio che non tutto vada come preventivato; le “gelate” politiche contengono il rischio che si possa azzerare tutto ciò che è stato fin qui realizzato. La questione dei saperi: le conoscenze vanno mantenute, vanno coniugate con le competenze, le nuove frontiere delle conoscenze vanno coniugate con la traduzione didattica. Il mondo della scuola sarà massicciamente presente nella definizione dei saperi, in tutte le forme possibili, e quindi alla vostra domanda di partecipazione la risposta è sì e a voi chiedo, come? In conclusione, come si coniuga una politica di riforme con la necessità di attuarle con i protagonisti veri? È un interrogativo assillante di queste settimane, nel convegno del Cidi si stanno delineando delle risposte: tempo gradualità e determinazione porteranno il Governo a concludere la fase di attuazione delle riforme.

      ore 18.45
      Si conclude la sessione pomeridiana della seconda giornata del convegno, alle ore 21.00 si aprirà la sessione serale che prevede la proiezione di scene tratte da: "L'attimo fuggente", "La scuola", "Ciao professore..." ed una tavola rotonda coordinata da Adriana Tocco sul tema "L'insegnante chi è, chi pensate che sia?", a cui partecipano Serena Dinelli, Enrico Menduni, Michele Mirabella, Mara Pacini, Paola Verna.

      ore 18.50
      Termina la diretta internet del giorno 10 marzo.
      Riprendà domani 11 marzo alle ore 9.30.

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