ore 9.30
Si aprono i lavori della seconda giornata del convegno,
riprendiamo la diretta.
ore 9.45
I lavori del convegno riprendono con due tavole rotonde.
La prima si sofferma a pensare cosa significa oggi essere istruiti.
Quali strumenti bisogna possedere: è infatti necessario saper
leggere e saper scrivere, ma non basta più. La discussione serve
ad approfondire alcuni aspetti e a capire quali sono le competenze
che vanno aggiunte a quelle basilari oggi per completare il
concetto di istruzione. La seconda tavola rotonda e' conseguente
alla prima: soltanto dopo aver individuato le conoscenze e le
competenze necessarie e' infatti possibile costruire i curricula.
Cioè programmi su misura capaci di individuare i veri bisogni
di chi apprende.
ore 9.50
Presiede i lavori della mattina Giovanna Domestico del
Cidi Sorrentino, nella sua introduzione chiarisce come sia importante
definire i saperi della scuola. Le riforme impongono in questo
momento un ripensamento sui saperi, sui contenuti e sull'organizzazione.
E' necessario alleggerire gli impianti disciplinari, creare
un rapporto di circolarità tra conoscenze e competenze tenendo
presente che i saperi non possono inseguire lo sviluppo tecnologico.
Al primo confronto partecipano Tullio De Mauro, docente di filosofia
del linguaggio, e Alberto Oliverio, docente di psicobiologia
all'università La Sapienza di Roma.
ore 10.00
Il sindaco di Sorrento Fernando Pinto porge un saluto
non formale ai partecipanti: mi piace che la mia città non sia
soltanto nota per il mare. Grazie a voi qui si discute e si
ragiona. Questo è un paese che ha molti gioielli naturali ma
deve essere apprezzato anche per i cervelli. Voglio soltanto
inviarvi un messaggio che è quello di non avere paura delle
riforme. Anche l'amministrazione pubblica in questi anni è stata
bombardata da avvenimenti nuovi ma questo è un fatto positivo.
Le riforme fanno crescere il paese e gli investimenti per la
scuola devono essere di lungo periodo, sbaglia chi pensa di
ottenere tutto e subito perché, soprattutto nella scuola i processi
devono essere elaborati e il sapere deve avere un'anima per
farci crescere.
ore 10.10
Tullio De Mauro inizia dicendo che uno degli assi interpretativi
per riflettere sui nuovi e vecchi saperi può essere quello di
definire o evidenziare due coordinate una a livello nazionale
europeo e una planetaria, infatti si pone in tante parti del
mondo il problema di un ripensamento dei saperi dovuto a molti
fattori socioeconomici e produttivi che sono ormai ineludibili.
Le forme produttive infatti sono legate da una stretta interdipendenza
che impone anche all'educazione di aprirsi a realtà economiche
e culturali molto distanti dalle nostre. Il secondo fattore
è l'impoverimento della base produttiva tradizionale che è sempre
più sostituita da produzioni ad alta tecnologia, un esempio
che tutti conosciamo è quello dell'editoria scolastica che sempre
più cerca profitti a scapito della qualità. Quello che interessa
oggi è acquisire informazioni e saperle usare e in questo contesto
le esperienze del passato contano meno. Quindi questi spostamenti
cambiano completamente l'asse e il ruolo della scuola. Gli sconvolgimenti
sono tanto profondi e importanti che c'è un'esplosione di nuovi
dati che crea condizioni critiche che la scuola deve recepire.
Quello che conta, infatti è ciò che possiamo insegnare nella
scuola, questo era un paese di contadini e di braccianti poveri
e nel 1951 il 60% della popolazione non era andato a scuola
e non parlava l'italiano, da qui veniamo e il nostro paese rapidamente
è diventato un paese industriale e adesso è un paese di capitale
finanziario e di servizi. Abbiamo quindi problemi a mantenere
questo passo e specifici problemi, ad esempio di deficienze
nell'apprendimento delle lingue straniere. L'obiettivo che bisogna
porsi è quello di una crescita culturale generalizzata a livello
della media superiore e di un po' più di laureati. La scuola
ha fatto un enorme lavoro di crescita delle nuove generazioni
in solitudine e adesso bisogna porsi con forza il problema di
che cosa e come insegnare. Nei prossimi mesi se verranno rispettati
tempi previsti dalla riforma ci sarà una grande occasione di
dibattere tra di noi e a tutti i livelli i contenuti e i modi
dell'apprendimento/insegnamento. Mi auguro che ciò accada, ma
intanto chiedo al professore Oliverio quali sono i blocchi di
sapere che bisogna introdurre nella scuola riformata e se ci
sono blocchi di sapere che attualmente mancano nella scuola.
ore 10.50
Alberto Oliverio apre il suo intervento soffermandosi
su due aspetti, specificità e capacità generale, che la scuola
deve sviluppare; la capacità di immergersi in situazioni nuove
è un problema che ciascuno di noi fronteggia, la capacità di
individuare settori originali è un altro aspetto importante
e lo si ritrova nelle cose più banali. Quali saperi? uno degli
aspetti principali nella didattica è smantellare concezioni
ingenue, soprattutto nell'ambito scientifico. La didattica e
la pedagogia della scuola italiana hanno sottolineato in passato
forme di apprendimento basate sulle associazioni piuttosto che
sul metodo della scoperta e della ricerca. L'apprendimento per
scoperta va potenziato, va privilegiata l'interazione in prima
persona; in un mondo che cambia, i nuclei del sapere da trasmettere
sono molti ma vanno accompagnati da quella capacità generale
a cui si è fatto cenno all'inizio. Insegnare a imparare: questo
il compito della scuola. Questo contenitore di materie diverse
ha bisogno, per esempio, della capacità di sviluppare una logica,
la nostra è una mente che si adegua a uno sviluppo concreto,
vacilla se non è educata a farlo. Alle successive domande di
De Mauro: come destrutturare la nostra mente, come realizzare
una scuola della scoperta senza che si consolidi un primo nucleo
del sapere, ci sono contenuti minimi che vanno fissati, Oliverio
ha risposto, eludendo simpaticamente alcune delle provocazioni
contenute nella domanda, che non è breve il passo esistente
tra compiere azioni e scoprire qualcosa e soprattutto essere
in grado di strutturare il contenuto di questa scoperta. Vi
è spesso la difficoltà di verbalizzazione delle esperienze.
La difficoltà attuale è quella di legare alcuni punti irrinunciabili
della didattica; alcuni punti fondamentali vanno conservati
perché costituiscono una base culturale forte.
ore 11.15
Alla seconda tavola rotonda "Conoscenze, competenze:
come organizzare il curricolo scolastico", coordinata da Ivana
Summa del Cidi di Bologna, partecipano Carlo Fiorentini del
Cidi di Firenze, Lucio Guasti docente di pedagogia presso l'università
di Brescia, Clotilde Pontecorvo docente di psicologia dell'educazione
all'università La Sapienza di Roma.
ore 11.20
Ivana Summa che coordina la seconda tavola rotonda esordisce
chiedendosi: come organizzare il curricolo scolastico della
nuova scuola? La questione è stata affrontata forse in ritardo,
infatti è la prima per crucialità tra le contraddizioni del
dove e come orientarsi. Intorno al nuovo curriculum si muovono
le norme nuove che parlano di conoscenze, competenze e certificazione.
Esse sono: la legge 164, la legge 196/97 (formazione professionale
che prefigura un portfolio delle competenze valide in ambito
europeo), il Dpr 275, il Regolamento dell'autonomia (che all'articolo
8 fa riferimento a concetti quali obbligatorietà e facoltatività,
snellezza, obiettivi di apprendimento relativi alle competenze
degli alunni come capacità di fare le cose), che all'art. 13
dà alle scuole la possibilità di elaborare il proprio curricolo
formativo, delegando completamente l'organizzazione didattica
alle stesse, infine la legge 2/2/2000 sul riordino dei cicli,
che fa di nuovo riferimento agli obiettivi della scuola dell'obbligo:
sviluppare conoscenze, capacità, competenze, stabilendo all'art.3
che alla conclusione dell'obbligo scolastico si debbono certificare
le competenze. Proviene da questo quadro normativo il profilo
della persona in uscita; non si può parlare di cittadino, perché
l'ambito è molto più vasto della cittadinanza. La definizione
di tale profilo è una scelta politica, da quadratura del cerchio,
perché significa coniugare democrazia con cittadinanza e benessere.
Occorre che la scuola, dopo averla rielaborata, assicuri la
redistribuzione sociale della produzione culturale. La scuola
italiana, per continuare a svolgere la propria mission, deve
rinnovarsi per innovare: dobbiamo cambiare non per cambiare,
ma per migliorare. L'innovazione spetta alle persone: la norma
è vincolo ma diventa , così, risorsa. C'è la possibilità di
rovesciare il rapporto tra Ricerca e Azione: la scuola si pone
domande (autonomia di ricerca), prova a dare risposte a problemi
(autonomia di sperimentazione), si dà tempi che siano validi
per la scuola ma anche all'esterno (autonomia di sviluppo).
Diventa però urgente definire gli assi culturali, i confini
progettuali in cui la scuola si può muovere, dal disegno locale
al disegno nazionale. Come ricucire il rapporto tra insegnamento
e apprendimento? Bisogna pensare a un' offerta formativa non
escludente che consenta di tenere aperto il processo di apprendimento
fuori della scuola e anche dopo. Bisogna pensare a una didattica
nuova, anzi alle didattiche come luoghi di mediazione. Le discipline
riacquistano quindi una loro centralità perché diventano occasioni
di apprendimento. La domanda è: come rendere la scuola competente
nella costruzione dei curricoli?
ore 11.55
Carlo Fiorentini: per affrontare in modo corretto il
problema del curricolo occorre raffigurarlo come un quadrilatero
con al centro il curricolo e nei quattro vertici le discipline,
l'epistemologia e la didattica, le scienze dell'educazione e
la psicologia dell'educazione, la riflessione sulle sperimentazioni.
Cioè il curricolo va affrontato nella sua complessità, nel senso
che esso è costituito dall'intreccio di competenze disciplinari
diverse; la scuola elitaria invece si chiedeva solo "che cosa
insegnare" e quindi puntava solo sulle discipline. Oggi ci sono
le condizioni politiche e giuridiche perché si possa intervenire
in maniera efficace. Il cuore dell'innovazione è ripensare la
progettazione, sta alle scuole impegnarsi per dare vita a una
progettazione valida per le esigenze di oggi. L'iniziativa dal
basso può e deve incontrarsi con l'iniziativa dall'alto.
Poiché la dimensione formativa delle discipline non coincide
più con la loro sistemazione accademica, oggi, dopo Bruner,
la meta da raggiungere è la struttura delle discipline attraverso
percorsi rilevanti e significativi per l'allievo. Da ciò deriva
che la competenza non va intesa solo come prestazione ma come
correlazione tra apprendimenti e conoscenze significative. Da
tempo nella scuola italiana è in atto una ricerca in tale direzione,
il problema è però di ricondurre a sistema i prodotti di tale
ricerca. L'obiettivo fondamentale è sviluppare competenze di
tipo osservativo, logico e linguistico.
ore 12.25
Lucio Guasti: rispondere alla domanda su come costruire
il curricolo può implicare una risposta a diversi livelli: il
primo è come sia possibile orientare un curricolo dal basso,
dall'alto o in modo dinamico; il secondo è l'aspetto istituzionale,
e infine quello antropologico. Alcune fasi di passaggio hanno
determinato modifiche sostanziali nel modo di formare e di concepire
il curricolo. Per esempio: il latino è adesso concepito come
una disciplina di una cultura linguistica specializzata e non
più come una disciplina di base; oppure riteniamo l'acquisizione
di una base scientifica contemporanea indispensabile per il
buon esercizio della democrazia. Il rapporto tra educazione
umanistica e scientifica è stato sostituito dalla concezione
della cultura che ha rapporti con il contesto sociale e lo sviluppo
economico. Per la riforma della scuola tra l'approccio istituzionale
e quello sistemico si è scelto il secondo che rende non più
praticabile il modello tradizionale di fare scuola. Questo significa,
quindi, che si devono attivare tante strategie per lo sviluppo
scolastico, per esempio l'Istituto Enciclopedico Italiano ha
raccolto immagini del Novecento perché è necessario che l'attualità
diventi un elemento del curricolo. Lo sviluppo dei programmi
di carattere scientifico con progetti che partono dalle scuole
modificano i contenuti specifici di apprendimento. Le esperienze
di 1600 scuole che hanno rapporti con paesi della comunità europea
comportano definizioni di competenze in un quadro integrato.
Quindi la dinamica curricolare è più sistemica e implica più
fonti, più punti di riferimento in modo da potere elaborare
nuove metodiche. Vi è una parte disciplinare del curricolo da
elaborare e una parte "sociale" che deve dare più stimoli autonomi.
Gli elementi generali e locali sono da mettere in connessione
per la definizione del curricolo ma bisogna evitare che predominino
i localismi in quanto l'approccio sistemico delinea un percorso
che comprende il territorio e gli stimoli a carattere generale.
Il secondo aspetto è quello dell'attenzione alle forme attive
di partecipazione dei soggetti coinvolti, infatti la scuola
sembra orientarsi verso forme che privilegiano l'apprendimento
sull'insegnamento. Negli anni ottanta l'Ocse definiva la scuola
come luogo di apprendimento polivalente; le modalità per costruire
i curricoli consistono di due livelli, il livello della didattica,
di quella che è definita didassi, e cioè della didattica in
classe, e quello della didattica generale, quello cioè delle
competenze da definire a livello di scuola. Questo implica la
partecipazione dei soggetti interessati a questi due livelli.
Quindi diventa prioritario costruire la differenziazione dei
livelli di competenza all'interno delle scuole.
ore 12.45
Clotilde Pontecorvo condivide molte delle cose sottolineate
negli interventi precedenti: va fatto un richiamo storico agli
anni settanta quando con Lidia Tornatore si iniziò a parlare
di curricolo basandosi su esperienze provenienti dalle scuole.
Curricolo e curriculum sono due cose diverse, parlare di curricolo
non è parlare di programma; la scuola funziona in base a indicazioni
condivise, il curricolo è progettato da chi lo realizza. Vi
è una contraddizione nella normativa recente relativamente al
curricolo nazionale: chi lo realizza è un individuo, il curricolo
è un'organizzazione autonoma e consapevole di chi lo realizza.
Un tema di indagine degli anni settanta è stato quello di individuare
fondamenti teorici e componenti culturali e disciplinari del
curricolo. Per riprendere il tema della complessità del curricolo
affrontato da Fiorentini, la Pontecorvo propone l'immagine del
tetraedro in cui i vertici, egualmente importanti e fondamentali,
sono elementi in gioco nel processo di apprendimento e costruzione
del curricolo, essi sono: l'allievo con il suo sviluppo e le
sue caratteristiche sociali; gli standard o compiti criteriali;
i contenuti, elementi essenziali, strettamente legati ai metodi:
i quadri concettuali che si realizzano attraverso certi metodi
(per esempio, lo sviluppo cognitivo esiste in quanto è studiato
con un certo metodo); decisiva è l'attività che l'insegnante
e la scuola mettono in atto perché quanto detto prima si incontri.
Le competenze: alcune cose sono state già sottolineate nella
commissione dei saggi, sono trsversali con declinazioni disciplinari.
Una prima formulazione è stata ricavata dalla prima ricerca
Ocse per un nuovo tipo di literacy formata dall'area di comprensione
di testi di ogni genere (area complessa ma da praticare fin
dai primi anni della alfabetizzazione); area di comunicazione
agli altri in diverse forme. Diventa essenziale realizzare nelle
scuole e nei vari ambiti disciplinari ciò che si è definito
comunità di pratiche, una comunità in cui si condividono scopi
non immediati e in cui c'è un impegno comune per la realizzazione
complessiva. La responsabilità che le scuole hanno oggi di costruire
il proprio curricolo è qualcosa che consente una realizzazione
operativa perché i ragazzi siano attori in questo processo.
I saperi scaturiscono dalle discipline, il ruolo degli specialisti
è fondamentale, ma essi non possono lavorare da soli, le donne
e gli uomini che lavorano nella scuola vanno coinvolti.
ore 13.20
Termina la sessione mattutina del convegno.
I lavori riprenderanno alle ore 15.30.
ore 15.30
Giuseppe Bagni apre i lavori pomeridiani sul tema "Il
mestiere dell'insegnare": interpreta la sua presidenza come
apertura del tema che intende come occasione per connotare il
lavoro del docente, per individuarne le connotazioni nel momento
di un cambiamento che significa ripartire da zero. I punti di
osservazione da cui definire il mestiere del docente sono tanti,
ciò che manca è il punto di vista della scuola, capace di analizzare
a fondo la questione. Siamo condizionati oggi dal bombardamento
di numerosissime circolari che rischiano di far coincidere l'
innovazione come sovraccarico burocratico. Si assiste a una
sorta di schizzofrenia dei docenti: essi in effetti si dividono
fra un "io" che programma e mette tutti i documenti nel cassetto
e un altro "io" che va in classe senza curarsene. Invece la
specificità del docente sta nell'intercettare l'intelligenza
dei discenti, nel programmare strategie che possono essere cambiate
in base alle esigenze, la sua abilità più specifica è quella
di cambiare strada, di porsi in relazione con le numerose agenzie
educative al punto da potersi definire come il gestore di una
scuola che sta fuori di sè. Cos'è dunque un buon docente? L'opinione
pubblica tende a definirlo come uno che spiega bene, ma anche
gli artigiani, in genere, spiegano bene ai loro apprendisti.
Il carattere del docente, invece, è meno lineare: deve saper
intercettare intelligenze; saper scambiare abilità, competenze,
ruoli; deve rendere consapevoli e far circolare interesse; provocare
condivisione di intenti, non solo far crescere gli studenti
ma anche saperne conservare le doti e il patrimonio, non correggere
ma riconoscere valori e ricchezza negli altri. Questa è la scuola
aperta, la scuola pubblica che quindi si differenzierà dalla
scuola privata, in cui si può trovare tolleranza. Nella scuola
così come io la intendo, non c'è tolleranza, ma una reale apertura
all'ambiente multiculturale fuori e dentro la scuola. Se abbiamo
fino a ora subito invadenze da enti esterni è perché non è chiara
la nostra identità. Definire il nostro lavoro è definire la
nostra professionalità: significa capire le nostre relazioni
con l'ambiente esterno per riconoscerne l'incidenza sulla scuola
e restituire attraverso questa consapevolezza l'equilibrio tra
l'ambiente esterno e scuola.
ore 15.50
I lavori del pomeriggio proseguono con gli interventi
di Bruno Forte: "La domanda di senso", Dario Missaglia: “Libertà
e responsabilità”, Domenico Chiesa: “I valori di riferimento”,
Rosalba Conserva: “L’elogio della quotidianità”. Per ultimo
l’intervento del ministro Luigi Berlinguer.
ore 16.00
Bruno Forte: una risposta di senso per una domanda di
senso è quella della presenza numerosa degli insegnanti al convegno.
Il contesto in cui si colloca l'autonomia è segnato da ambiguità
e ambivalenze. Si registra il rischio paradossale che l'autonomia
possa diventare un freno per il cambiamento se gli insegnanti
non diventano gli artefici di tale cambiamento. Troppe circolari
e direttive in un momento in cui ci sarebbe bisogno di pochi
paletti definiti: scuola invadente o invasa? Date le emergenze
scaricate sui professionisti della scuola, si correrebbe il
rischio di delirio di potenza che si trasformerebbe in una sorta
di "impotenza formativa". Il concorsone ha causato uno scatto
di orgoglio del personale della scuola che ha rivendicato la
volontà di essere soggetto di sé. Si è rivelata l'insufficienza
della logica dell'amministrazione e dei sindacati con relativa
affermazione dell'associazionismo professionale. E' materia
tutta contrattuale la questione professionale? Ritengo di no.
Si pone la questione della cittadinanza attiva, quella che esercita
poteri e responsabilità. Se la scuola è il luogo di pratiche
professionali, gli insegnanti hanno titolo per essere non solo
artefici, ma anche per promuovere condizioni di partnership.
Siamo d'accordo con il rapporto Blair là dove si dice che la
professione dell'insegnante deve diventare "attraente". La percezione
sociale di questa professione ha ora senso negativo, noi stessi
siamo i primi a disistimare il corpo professionale, la disistima
è "diffusiva" così come la stima. Si pone ora l'altra questione,
quella valutativa, quella dell'authority professionale. La tentazione
è quella del rifugio privato (il rapporto solo con i propri
studenti), in quest'ottica, la libertà di insegnamento viene
vissuta come libertà privata. La professionalità dell'insegnante
si esplica attraverso la mediazione della didattica, senza opposizione
nella relazione insegnamento apprendimento. Non c'è apprendimento
senza un appropriato insegnamento. Questo rapporto è ragione
della crescita che è umana e umanizzante. L'insegnante è un
soggetto che educa e si prende cura, ha il compito sempre più
pesante di "far spazio" ai problemi che i giovani vivono. Un
altro problema è rappresentato dalla femminilizzazione della
professione, la nostra società delega alla donna il "prendersi
cura"e produce istituzioni "rimediali", sempre meno, istituzioni
"vitali". La scuola deve essere il luogo "unitivo", luogo dell'accompagnamento,
della liberazione, della ricerca della verità che è dispersa
nelle coscienze.
ore 16.20
Dario Missaglia: Alba Sasso ha posto nella sua relazione
l'obiettivo della ricerca sulla professionalità in tutta la
complessità e la problematicità che comporta. La scuola italiana
ha sempre esaltato la funzione sociale degli insegnanti e la
funzione sociale del lavoro, scuola e insegnanti hanno subito
negli scorsi decenni gravissimi tagli e sono rimasti irrisolti
problemi come il reclutamento e la formazione. La subalternità
della scuola al potere politico e la delega totale che a questo
potere è stata data ha condizionato anche la nascita dei sindacati
confederali e dell'associazionismo. In quel periodo in cui l'orizzonte
del cambiamento era sempre più lontano, sembrava che il lavoro
docente fosse immodificabile. Soltanto oggi sotto la spinta
del cambiamento possiamo misurare i danni di quella fase e possiamo
ripercorrere l'inizio della rottura di quella condizione con
la legge 59 del 1997 che fu il primo atto che introdusse procedure
di autonomia. Da qui iniziano le prime esperienze di autorganizzazione
del lavoro e di rottura di schemi centralistici. Ciò pone la
necessità di coniugare il rapporto tra riforme e contratto,
e questo rapporto pone problemi nuovi. La concezione di una
nuova centralità del lavoro dell' insegnante è una ricerca in
atto che ha ancora limiti che non sono soltanto manifestati
dalla vicenda del concorsone. La professionalità, infatti, è
ancora letta con le categorie del sapere assoluto e non con
il sapere determinato delle persone. La professione docente
è un nodo delicato e complesso e il contratto sindacale non
può regolare il rapporto di apprendimento come regola quello
col datore di lavoro. Infatti la dimensione emotiva e motivazionale
può stare soltanto dentro un'idea positiva della professionalità
che acquisisce la relazione con l'altro come un processo di
condivisione. Siamo ancora distanti dal percepire un rapporto
positivo con l'autonomia e anche a sinistra vi sono persone
favorevoli ad una nuova delega al governo centrale per la determinazione
dello stato giuridico e dell'organizzazione del lavoro. Quanto
più il sindacato deve fare un passo indietro sui temi della
professionalità, tanto più gli insegnanti e le scuole devono
riappropriarsi di questi problemi come soggetti che comprendono
che il proprio lavoro e il lavorare nella scuola assicura uno
dei primi diritti di cittadinanza.
ore 16.45
Domenico Chiesa: “I valori di riferimento”. In questi
due giorni il dibattito ha posto al centro la relazione tra
i saperi della scuola e i valori della democrazia. Poniamoci
il problema di come la riforma darà la possibilità di rendere
praticabili questi valori per la cui veicolazione è indispensabile
che i docenti si sentano protagonisti; ciò può avvenire se si
ridà senso al loro lavoro. Basando il ragionamento su due puntelli,
1) Bobbio: relazione tra la democrazia e gli uomini che la fanno
vivere e crescere, 2) Codignola: dopo il tramonto dello Stato
etico, il compito dello Stato è quello di consentire il confronto
tra ogni forma di pensiero. Ne consegue che la scuola dovrà
essere luogo di dialogo, luogo di valori democratici, anzi laboratorio
di democrazia dove si respirino diritti e doveri, dove vi sia
certezza delle regole, del rispetto e della valorizzazione delle
risorse culturali. La scuola deve formare all’autonomia, che
è necessaria perché maturi la responsabilità di essere cittadini
che operano per la collettività; deve garantire la formazione
per consentire la titolarità dei diritti politici. La battaglia
comune deve essere quella di restituire sicurezza ai docenti
attraverso la valorizzazione del loro mestiere. Per consentire
tale obiettivo occorre affrontare questi nodi: superare l’autoreferenzialità
della scuola; tener conto dell’intreccio tra scuola, territorio
e mondo esterno senza rinunciare alle specificità della prima;
valorizzare la dimensione collettiva. Al centro del lavoro scolastico
ci sono la presenza in classe e l’intellettualità individuale
dell’insegnante che però è parte di una “comunità di pratiche”.
Lo splendido mestiere dell’insegnante deve avere come rinforzo
l’idea che si debbano fornire allo studente due motivi: uno
per venire a scuola, l’altro per non andarsene. Si viene a scuola
perché si è considerati persone, si rimane perché si prende
coscienza del valore della formazione culturale. E questo è
il valore più alto, fortunatamente contagioso.
ore 17.10
L'intervento di Rosalba Conserva: "L’elogio della quotidianità",
si apre con una riflessione: quello che muove i nostri sforzi,
in associazioni come il Cidi, e nelle singole scuole, è la convinzione
che a ogni cittadino - e qui le parole di Gramsci - deve essere
data l’opportunità di diventare governante. Da un lato, gli
scenari futuri dell’organizzazione del lavoro sembrano non richiedere
come necessaria una istruzione umanistica e scientifica qualificata
e generalizzata, d’altro canto siamo certi che la formazione
umanistica e scientifica generalizzata, e di qualità, è l’unica
garanzia di una società democratica. E’ necessario sviluppare
un rapporto di stretta collaborazione tra scuola e società,
fare in modo che attraverso un insegnamento esplicito sia chiaro
il decalogo dei doveri. Occorre difendere il ruolo istituzionale
della scuola pubblica rendendola capace di garantire qualità
e quantità di formazione. Iniziando la sua relazione passa a
sottolineare come il lavoro quotidiano di analisi e documentazione
dell’attività con i ragazzi possa essere molto importante e
come esprimere criteri per valutare e valutare nozioni e competenze
possa essere una pratica utile. Sollecitare i ragazzi al lavoro
a casa, a dedicare allo studio alcune ore continuative della
loro giornata non deve sembrare una pratica educativa superata.
Nella crescita culturale, oltre a quelli che vanno fondati a
partire da zero, ci sono tratti - e sono tanti - che vanno potenziati,
complessificati. Un insegnante getta le basi per una qualche
competenza e poi qualcun altro costruisce su ciò che ogni allievo
già sa e sa fare.
I ragazzi portano a scuola i telefoni cellulari. E che dire
allora di un insegnante che porta a scuola tutto il suo risentimento?
Prendiamo atto che i ragazzi sono intelligenti, creativi, che
ci portano idee nuove, che da loro impariamo a insegnare. Prenderne
atto è un presupposto che non va nemmeno messo in discussione,
perché l’ascolto e l’attenzione sono una premessa. Noi siamo
giustamente preoccupati all’idea di quello che diventerà un
bambino, un adolescente: dovrà sapere la chimica, il Medioevo,
l’informatica ecc. Ma quando la trasmissione culturale non funziona,
chi e cosa deve produrre adattamento? La scuola o gli studenti?
Questa è la domanda cruciale. A scuola, per esempio si possono
fare variazioni al programma di storia scegliendo strumenti
che incontrano i nuovi modi di imparare degli studenti: anziché
solo il libro di storia uso un video; allo stesso tempo, però,
curo il come, vale a dire il metodo, affinché si avvii un cambiamento
di lunga durata. C’è una rete di conoscenze che per i modi della
loro acquisizione, oltre che per il contenuto, abituano un individuo
a un certo modo di imparare. Poiché gli apprendimenti che si
radicano più tenacemente si acquisiscono nell’infanzia, ciò
che riteniamo decisivo nel successo scolastico va fatto acquisire
molto presto. Se per la nostra cultura che è una cultura scritta
si continuano a ritenere cruciali il leggere, capire, memorizzare,
riformulare, allora nella scuola va generato un qualche allenamento:
a mantenere la concentrazione, a governare i propri impulsi,
a pensare prima di parlare. Leggere e ripetere a voce alta,
imparare a memoria una definizione, correggere al computer un
testo ecc. sono cose che richiedono tempo, e un tempo differente
per ciascuno, e che si possono fare solo a casa, e questo deve
essere predisposto da noi insegnanti. Merita di essere trasmesso
dalla scuola ciò che è capace di dare a ogni essere umano il
senso di una appartenenza, attraverso quei valori universali
che la storia ha saputo conservare e che uomini e donne di cultura
hanno saputo rendere accessibili a molti. Chi insegna è per
definizione una persona colta, possiede e padroneggia strumenti
e contenuti della sua cultura di appartenenza in uno specifico
campo. Una persona che così come sa scegliere per altri - del
tanto che potrebbe diventare oggetto di studio - sa scegliere
per sé: cosa conviene che egli a sua volta studi ancora e meglio?
Le tecniche di programmazione non bastano: occorre coltivare
un pensiero che ci predisponga a guardare le decisioni minute
da una visione più generale.
ore 17.35
A conclusione della seconda giornata dei lavori del convegno,
interviene l'on. Luigi Berlinguer, Ministro della Pubblica
Istruzione che si dichiara un habitué dei convegni Cidi.
Grande ricchezza intellettuale nel convegno: vi è una riflessione
che acquista pregnanza, urgenza e profondità, ed è la questione
docente; la ragione prima non è recente e sta nel fatto che
la scuola soffre nel mondo, in Europa, in Italia un impatto
con i cambiamenti sociali che ne impongono una profonda rimeditazione.
Vi è una coppia di problemi che è costituita dalla considerazione
che la scolarizzazione è pressoché generalizzata in età scolare
e che l'investimento nella fascia di età scolare non basta più.
Questo è un tema che va compreso, altrimenti non si comprendono
i cambiamenti. Nel passato vi è stata abdicazione politica nei
confronti della scuola con l'incapacità a rispondere a una mutata
domanda sociale. Il problema dell'inclusione, dell'equità sociale,
del diritto ad apprendere non è un fatto secondario e di unica
competenza del mondo politico. Si deve ripartire dal rapporto
scuola società, scuola lavoro, istruzione formazione, con l'occhio
rivolto all'educazione degli adulti. Vi è una caduta verticale
del principio di autorità, generalmente diffuso nel resto del
mondo dove la scuola diventa teatro drammatico di grandi tensioni.
C'è un problema di organizzazione scolastica, elemento che attiene
la professionalità docente: la questione docente e quella studentesca
sono molto collegate; la scuola non include abbastanza i ragazzi
in questi processi organizzativi. La grande ambizione è quella
di coniugare riforme di quadro e riforme dei soggetti: la professione
docente non può tornare normativamente indietro, l'eccesso di
pansindacalismo sciupa le scelte inserite nel contratto. Vi
è un'urgenza di riscrittura della professione docente, vi è
un problema di autonomia professionale che significa evidenziazione
della specificità professionale docente, significa che la scuola
è molto più complessa e ha al suo interno specificità professionali
diverse. La funzione docente dovrà esplicitarsi in una struttura
nuova che è il riordino dei cicli: c'è bisogno di collegialità,
di gioco di squadra, cose che non vanno a eliminare le individualità.
C'è la necessità di diverse figure sociali di docenti, l'eterogeneità
va acquisita come risorsa nella nuova scuola che si sta costruendo
(per esempio il part-time, le disponibilità all'offerta aggiuntiva
e/o quelle a svolgere attività simili alle attuali). Il patrimonio
di innovazione didattica, di ricerca nel modo di essere docenti,
che spesso rimane acquisizione personale non socializzata, potrebbe
diventare, se reso evidente, un altro elemento della differenziazione
e della evoluzione della professione docente. Le politiche retributive
sono scelte politiche, non cadono dall’alto, e vanno contestualizzate:
quale politica retributiva si può fare? La fase di ascolto che
si sta realizzando porterà a individuare due questioni, 1) introdurre
il principio di crescita professionale non automatica; 2) come
valutare la transizione utilizzando le norme contrattuali per
raggiungere l’obiettivo prefissato. La politica della privatizzazione,
che altrove sta facendo danni, è presente in Italia già dal
governo Berlusconi con il buono scuola che attecchisce anche
in altri ambienti: la sua introduzione porterebbe a un risultato
di grande dequalificazione. La legge di parità recentemente
approvata va nella direzione di salvare la scuola pubblica dal
rischio di liberismo sfrenato. Con il riordino dei cicli si
rispetterà la specificità professionale di ciascuno, non vi
saranno perdite secche di docenti (i cinquantamila paventati)
perché vi sono elementi che spingono in questa direzione: l’organico
funzionale di istituto, l’aumento delle iscrizioni a seguito
dell’elevamento dell’obbligo scolastico, l’introduzione dell’IFTS,
l’educazione degli adulti, l’espansione dell’attività formativa;
a riprova di ciò sono stati indetti comunque i concorsi. I cinque
anni della secondaria - previsti dalla legge di riordino - non
produrrano ‘scadimento’: il biennio di obbligo, le “passerelle”
consentiranno scelte più attente per il triennio conclusivo.
Bisogna lavorare, tutti insieme e col tempo necessario, per
attuare al meglio questa grande riforma, vi sono problemi di
attuazione perché c’è un’amministrazione ereditata da altri,
c’è una dirigenza ereditata dal passato, la fase attuativa è
quindi molto delicata e contiene il rischio che non tutto vada
come preventivato; le “gelate” politiche contengono il rischio
che si possa azzerare tutto ciò che è stato fin qui realizzato.
La questione dei saperi: le conoscenze vanno mantenute, vanno
coniugate con le competenze, le nuove frontiere delle conoscenze
vanno coniugate con la traduzione didattica. Il mondo della
scuola sarà massicciamente presente nella definizione dei saperi,
in tutte le forme possibili, e quindi alla vostra domanda di
partecipazione la risposta è sì e a voi chiedo, come? In conclusione,
come si coniuga una politica di riforme con la necessità di
attuarle con i protagonisti veri? È un interrogativo assillante
di queste settimane, nel convegno del Cidi si stanno delineando
delle risposte: tempo gradualità e determinazione porteranno
il Governo a concludere la fase di attuazione delle riforme.
ore 18.45
Si conclude la sessione pomeridiana della seconda giornata
del convegno, alle ore 21.00 si aprirà la sessione serale che
prevede la proiezione di scene tratte da: "L'attimo fuggente",
"La scuola", "Ciao professore..." ed una tavola rotonda coordinata
da Adriana Tocco sul tema "L'insegnante chi è, chi pensate che
sia?", a cui partecipano Serena Dinelli, Enrico Menduni, Michele
Mirabella, Mara Pacini, Paola Verna.
ore 18.50
Termina la diretta internet del giorno 10 marzo.
Riprendà domani 11 marzo alle ore 9.30.