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26.09.2001

CIDI
Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti

La scuola e i tragici avvenimenti di queste settimane

Alla scuola della Repubblica è affidato il compito di formare le giovani generazioni a una cittadinanza consapevole e attiva per una società plurietnica e globale.
Alla scuola è affidato il compito di educare i giovani al pensiero critico, all'autonomia di giudizio, a praticare il dubbio e la curiosità.
Alla scuola è affidato il compito di dare strumenti di conoscenza e di interpretazione, contro le certezze affrettate e il pensiero semplificato, verso una cultura della pace, della solidarietà, del rispetto dei popoli.
La scuola, soprattutto attraverso lo studio della storia, guida i giovani a rintracciare e a riconoscere le ragioni e i perché degli eventi, le cause e gli effetti di quanto accaduto e accade, gli interessi e gli scopi delle tante guerre che hanno afflitto i popoli, dall'antichità fino ai giorni nostri.

Di che cosa parlare
Che cosa, allora, può dire la scuola sui tragici avvenimenti di queste settimane? Può parlare di orrore, di morte? Certo, e poi?
La scuola non può diventare l'eco che amplifica e rimanda l'evento massmediatico, approfondendo l'orma lasciata dalla forza dell'impatto emotivo. Se questo accade, il disagio, la paura, la perplessità degli studenti non vengono superati o attenuati, perché ciò che appare inesplicabile non si domina, lo si può soltanto subire, e allora continua ancora a fare paura, a generare insicurezza e disagio. Ma la scuola non può neppure prestarsi a diventare il luogo dove si impara che il mondo è diviso in due: da un lato i buoni, dall'altro i cattivi, suggerendo una drastica semplificazione della realtà. Una visione di tal genere, riduttiva e parziale, asseconda schemi interpretativi elementari e falsamente rassicuranti; blocca la possibilità di crescita del pensiero verso modelli di spiegazione più articolati e complessi; fa arretrare, inoltre, quell'idea di umanità - conquista della storia recente - che rifiuta aprioristiche contrapposizioni, e che ha cercato e cerca di capire i conflitti nella trama di esperienze intessuta da tutti, con i suoi nodi e i suoi percorsi, e che tutti ci riguarda, come abitanti di questo pianeta.
Certo, all'inizio di una guerra o alla vigilia della sua esplosione si produce una sorta di accecamento: un regresso della ragione che non è ancora frutto degli orrori della guerra (questi arrivano nel corso del suo svolgimento), ma della condizione collettiva in cui, nel mondo della comunicazione, assumono corpo e forma la volontà aggressiva degli uni, la paura degli altri. Gli effetti perversi del 'sonno della ragione' incominciano da subito, quando la guerra è ancora minaccia, scatenando emozioni che colpiscono il pensiero, paralizzato dall'azione congiunta di aggressività e impotenza, odio e paura. Prima ancora dei corpi, sono le menti a soffrire una perdita.
È in momenti come questi, allora, che la scuola ha il compito di dare forza alla ragione. Tanto più se il luogo dove passiamo il nostro tempo di lavoro insieme ai bambini, ai ragazzi, ai giovani, è il luogo stesso deputato alla conoscenza, alla ricerca, alla responsabilità etico-civile, al pensiero riflessivo, in una parola, all'esercizio della ragione: se siamo a scuola.
Prima ancora di dichiararci d'accordo o di dissentire dobbiamo sapere di che cosa stiamo parlando.
Noi insegnanti sappiamo che la scuola è scuola quando insegna che le cose hanno un nome, e che i nomi, evocando idee, possono avere un grande ruolo nel condizionare le scelte e l'agire umani.
Sappiamo che a scuola si insegna a connettere e a distinguere: sono queste le operazioni mentali necessarie per comprendere qualunque fenomeno.
Sappiamo che nella scuola si realizza il mondo della conoscenza, dove non solo si impara a narrare, a descrivere, a spiegare, ma dove si acquisiscono l'alfabeto, la grammatica e la sintassi per leggere e interpretare il libro del mondo conosciuto e da conoscere.
Sappiamo che la scuola è il luogo della ricerca della verità e che questa ricerca è fatta di impegno prolungato, di consapevolezza della possibilità dell'errore, di lavoro comune, di pluralità di punti di vista.
Sappiamo infine che nella scuola si sperimentano le prime forme di socializzazione secondo regole, nell'ambito del primo e diretto incontro con il mondo delle istituzioni; pertanto la scuola deve non solo garantire la possibilità di formulare il discorso che legittima o condanna i comportamenti, ma deve anche offrire le condizioni che spiegano i conflitti e le loro possibili soluzioni.

L'importanza del connettere e distinguere
Di fronte a una situazione di guerra annunciata non è sufficiente fermarsi all'evento scatenante, per quanto drammatico e riprovevole esso sia, ma è necessario risalire al contesto politico, economico, culturale, di breve e medio periodo, in cui sono maturati sia l'escalation terroristica, sia la risposta militare. Si tratta, in definitiva, di connettere un evento a una situazione complessa dalla quale riceve nuova luce; gli eventi fanno precipitare una situazione, e giocano senza dubbio un ruolo importante, ma sono inesplicabili se non vengono contestualizzati (nella comprensione storica si parla anche di distinguere tra occasioni e cause).
Comprendere significa anche distinguere - si è detto - e qui le distinzioni da fare sono molte; tra queste bisogna dire che le scelte religiose dei singoli e dei popoli non vanno identificate con le cause di irriducibili antagonismi: questa identificazione metterebbe in ombra cause materiali e concrete - come il possesso di un territorio o il controllo di una risorsa strategica - che sembrano avere più peso nei conflitti e nel sistema internazionale delle alleanze.
Entrare nel mondo della conoscenza, in questo caso, significa anche mettere a fuoco questioni che fanno parte del contesto in cui viviamo - per esempio, la questione palestinese, l'accentuarsi del divario tra ricchi e poveri nel mondo, i legami tra apparati militari, apparati politici e sistema economico... -, indipendentemente dal fatto che qualcuno possa vederle come cause scatenanti o dirette del terrorismo.
Dare spazio alla ricerca significa tentare di conoscere quali siano le forme di cui l'umanità dispone per evitare la guerra come unica soluzione ai problemi del mondo.
Riprendere a ragionare contro la minaccia della guerra significa dare alla scuola il suo senso più autentico e più alto: essendo il luogo privilegiato della conoscenza, proprio per questo è il luogo dove si impara che i contrasti e i conflitti si generano ovunque, lontano da noi e nei contesti vicini a noi. Si tratterà allora di mettere in atto, nella scuola, nelle singole classi - contesti circoscritti entro cui singoli individui possono imparare che cos'è un agire responsabile - quell'esercizio della ragione che preferisce alla domanda "come posso distruggere il mio nemico?" quest'altra: "come posso risolvere il problema che ci ha fatto diventare nemici?".

Roma, 26 settembre 2001