13.10.1999 - Riordino dei cicli e riforma del sistema scolastico - di Alba Sasso
      pubblicato sull'inserto "Scuola e Formazione" de l'Unità del 13.10.99

      Forse solo per scaramanzia la legge-quadro sul riordino dei cicli scolastici, approvata per ora alla Camera dei deputati, si chiama di riordino, perché, la si condivida o no, si tratta invece di una riforma abbastanza radicale e complessiva dell'intero sistema scolastico.

      "E' una legge senz'anima", ha già detto qualcuno alla lettura dei sei scarni articoli che la compongono. Sarebbe, però, ingeneroso non tener conto del complesso, anche se non univoco, dibattito che ha portato alla stesura di quel testo.

      Proverei allora a ragionare diversamente: le soluzioni proposte possono migliorare la qualità e l’efficacia del sistema; combattere concretamente selezione, dispersione, demotivazione, coniugare democrazia e efficacia? Sono scelte che permettono di costruire una scuola che riesca a garantire a ognuna e ognuno saperi di "responsabilità e cittadinanza", quel patrimonio di base comune a tutti, fondamento indispensabile per ogni successivo apprendimento?

      A me sembra di sì. Va in questa direzione l’aver riconosciuto, ad esempio, il ruolo di scuola alla scuola dell’infanzia -è quello il luogo principale nel quale è possibile eliminare le diseguaglianze di partenza e colmare i gap culturali-; l’aver puntato sulla continuità -i due cicli- superando l’attuale frantumazione in ordini e gradi; l’aver proposto una scuola secondaria senza gerarchie di indirizzi; l’aver ragionato di una scuola collocata, nell’ottica dell’educazione permanente, all’interno di un sistema dell’istruzione e della formazione che dovrà prevedere una pluralità di percorsi sia dopo l’obbligo, sia dopo il diploma. Per andare concretamente in questa direzione occorrerà allora qualificare ed estendere la scuola dell’infanzia statale, costruire un ciclo primario che non sia la semplice somma dei due percorsi esistenti, evitare ogni resistenza conservatrice della scuola secondaria, quella apparentemente meno toccata dal riordino, riformare la formazione professionale rendendola offerta significativa e qualificata dopo l'obbligo, anche per evitare che diventi, all'interno del percorso scolastico, scorciatoia per i "meno capaci".

      Certo, possiamo avere ragionevoli dubbi sul fatto di poter operare scelte effettivamente radicali e che queste possano poi produrre gli effetti prima auspicati. Non solo perché la costruzione del percorso è tutta da realizzare, ma perché rimangono divergenze profonde su alcune questioni di fondo. Non è indifferente, per esempio, sia per l'estensione e la qualificazione della scuola dell'infanzia, sia per la definizione dell'ultimo anno di obbligo scolastico, l'idea che si ha del ruolo dello Stato nell'istruzione, del rapporto tra Stato e altri soggetti della formazione, del significato da attribuire alla formula "sistema formativo integrato".

      Non è indifferente per la costruzione di un sistema dell'autonomia scolastica l'idea che si ha del rapporto pubblico-privato e l'idea che si ha della stessa autonomia: se potenziamento delle responsabilità dei soggetti della vita della scuola in un progetto cooperativo o individuazione della competitività tra soggetto pubblico e privato e tra gli stessi soggetti pubblici, come strumento salvifico per la qualità e l'efficacia del sistema.

      E non è indifferente, per la elaborazione e la definizione del sapere della nuova scuola, l'idea che si ha della cultura scolastica. Cultura minore per significato canonizzato dall'uso o cultura formativa, capace di dare a tutti gli elementi, i fondamenti di ogni sapere?

      Così come non sarà indifferente per l'impegno che il mondo della scuola, della ricerca, l'intellettualità diffusa dovrà spendere per definire fisionomia e identità della nuova scuola, il suo "asse formativo", capire come e dove -al centro, in periferia, in un curriculo nazionale o affidandosi a scelte locali e localistiche- si disegna e si dovrà ridisegnare continuamente il patrimonio di conoscenze e valori che ogni società ha il compito di consegnare alle generazioni successive e che costituisce l'identità culturale del Paese, della sua storia , delle sue prospettive di futuro.

      E proprio su questo terreno occorrerà un lavoro rispettoso delle diversità culturali e religiose presenti anche nella scuola, una grande capacità di elaborazione per poter ragionare poi di organizzazione e di didattica, di percorsi e curricoli, di come conoscenze necessarie per tutti diventino sapere di approfondimento per alcuni -penso, per esempio alla cultura classica o alla ahimé assente cultura musicale- o di come le conoscenze diventino, in situazioni concrete, competenze -penso per esempio alla competenza linguistica-. Per questo sarà necessario sollecitare un contributo del mondo della ricerca, ma soprattutto del mondo della scuola, dei suoi operatori, per riuscire a valorizzare e a far contare in questo difficile e complesso processo la loro "sapientia" e la loro esperienza.

      Alba Sasso - presidente nazionale del Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti