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    mensile del centro di iniziativa democratica degli insegnanti

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      Nuovo obbligo scolastico e scenario delle riforme - di Giancarlo Cerini

      Si è svolto, nei giorni 26-27 novembre 1999, a Roma, il 27° Convegno nazionale del Cidi sul tema "Il nuovo obbligo: opportunità, diritti, democrazia". Al Convegno hanno preso parte 500 docenti e dirigenti scolastici, provenienti da tutt’Italia, i quali, tra l’altro, si sono confrontati sulle esperienze in corso realizzate in venticinque scuole, selezionate e presentate al Convegno. Questa, in sintesi, la relazione di apertura del Convegno.

      La scuola è ormai sollecitata da una quantità notevole di provvedimenti, leggi, proposte di riforma. Gli insegnanti si interrogano sul senso di tali innovazioni, vogliono capirle, esserne protagonisti. Capiscono che servono certamente i grandi scenari, le grandi scelte, le leggi di riferimento, i decreti, le risorse: una strategia che è stata spesso definita top-down, dall’alto verso il basso (è bene che il Governo e il Parlamento si impegnino sulle grandi decisioni per il sistema formativo e investano più risorse). Ma gli eventi, le leggi, i decreti non bastano. I processi di innovazione sono più lunghi, perché sono processi culturali che devono coinvolgere, "emozionare" gli insegnanti. Le riforme devono partire soprattutto dal basso (il bottom-up), dal quotidiano delle aule, dall’orgoglio del sapere di scuola, dalla professionalità, dalla relazione con i ragazzi e i saperi.

      Esigenza di una riforma complessiva
      Dare senso all’incontro dei ragazzi con i saperi: questo è il nuovo compito dei docenti. Interrogarsi sull’apprendimento, sui processi di costruzione delle conoscenze, sulle motivazioni, sulla qualità dell’ambiente di apprendimento, sugli scambi, sulla classe-laboratorio dove il sapere viene non trasmesso, ma costruito in una rete di relazioni tra insegnanti, allievi, linguaggi, nuove tecnologie.

      Questo è necessario per accogliere i ragazzi di quindici anni (ragazzi assai "scomodi") che si affacciano sulla soglia di una scuola secondaria che deve capire e cambiare. Il problema non è solo del 5 % dei ragazzi quindicenni che oggi entrano a scuola, ma riguarda quel 30-35 % di allievi che viene ancora oggi espulso dalle nostre scuole superiori. La legge n. 9 del 20-1-1999 sull’elevamento dell’obbligo scolastico a quindici anni apre piccoli spiragli, ma illumina scenari assai più ampi, porta con sé l’esigenza di una riforma complessiva.

      L’obbligo a quindici anni moralizza l’autonomia, perché acquistano un senso la flessibilità, la modularità, le metodologie interattive, l’ambientazione didattica dell’incontro dei ragazzi con i saperi. Non a caso si parla del valore formativo delle discipline, di Bruner, di Vygotskij. È necessario allora chiarire le prossime "mosse" sui saperi essenziali. Dopo il lavoro dei 44 saggi spetta ai docenti, alle loro associazioni professionali, a chi è impegnato nella ricerca didattica, delineare curricoli praticabili nella scuola, dagli allievi e dagli insegnanti.

      Obbligo scolastico e obbligo formativo
      Autonomia e saperi sono tasselli importanti, ma abbiamo bisogno di un quadro di riferimento sicuro sui cicli, sul percorso formativo complessivo dai 3 ai 18 anni. L’obbligo scolastico (a tempo pieno) fino a quindici anni vale solo se si irrobustisce – da subito - l’obbligo formativo (con più scelte) fino ai 18 anni. Questo è il nuovo obiettivo che può portarci molto avanti in Europa. Ma allora occorre innovare l’impianto culturale della scuola secondaria superiore, ponendo fine alle gerarchie sociali, ai canali separati per sempre, alla precoce differenziazione dei percorsi.

      Fino a quindici anni è in gioco un processo di sviluppo democratico e civile del nostro Paese. Dobbiamo elevare la formazione culturale e disinteressata, promuovere i saperi di cittadinanza e responsabilità, dare competenze e strumenti per capire la complessità della società di oggi (questo, a lungo andare, serve al nostro sistema-Paese e anche alle nostre aziende). Non possiamo accettare delle facili scorciatoie, non possiamo pensare che l’orientamento, l’operatività, il contatto con il mondo del lavoro, le esperienze di laboratorio, siano riservate solo alla parte più debole della nuova utenza scolastica. La formazione professionale va dunque qualificata, ma spostata nel triennio 15-18 anni, come uno dei canali del nuovo percorso fino ai diciotto anni.

      Rendere l’insegnamento desiderabile
      Tutto questo richiede una rapida approvazione della riforma dei cicli, una sua attuazione sicura e graduale, un grande rispetto per il lavoro degli insegnanti. Non si possono mettere in cantiere riforme pensando di risparmiare sugli insegnanti. Se essi devono diventare alleati e sostenitori delle riforme, per essi va immaginato un futuro di crescita, di opportunità, di funzioni arricchite, di qualità della vita nelle scuole.

      Come hanno scritto i saggi: "tutto ciò comporta un forte investimento negli insegnanti: nel gusto per l’insegnamento, nel senso morale, nel piacere che viene dal far conoscere, far discutere, far costruire sapere".

      La professione dell’insegnamento dovrà tornare a essere culturalmente e socialmente desiderabile. A queste condizioni non mancherà l’impegno dei docenti per le riforme, a partire da quella dell’estensione dell’obbligo.

      numero 1/2000