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"Proseguire nella nostra iniziativa..."
di Domenico Chiesa

Fra i tanti effetti del voto politico del 13 maggio, il Cidi registra l’elezione al Parlamento, nella lista Ds-Ulivo, della sua presidente nazionale Alba Sasso, la quale, di conseguenza, ha lasciato dopo nove anni tale incarico. Nuovo presidente nazionale del Cidi è stato eletto Domenico Chiesa, vicepresidente nazionale uscente e già presidente del Cidi di Torino, docente presso l’Itis “Vallauri” di Fossano (Cn). Riportiamo una sintesi dell’intervento di Domenico Chiesa, conclusivo dei lavori del Coordinamento nazionale dei Cidi, tenutosi a Roma il 16 e 17 giugno scorsi.

«Vorrei riprendere alcune questioni emerse da una discussione che valuto assai significativa. In primo luogo, anche nella nuova situazione, non abbiamo propensione a inclinare alla malinconia, né alla rassegnazione in una posizione di difesa d’ufficio, di testimonianza, che non fanno parte del modo di essere del Cidi.
Dalla scuola, dall’insieme degli insegnanti ci vengono poste delle domande e su queste vogliamo riflettere.
Dobbiamo innanzitutto continuare a essere un Centro di iniziativa democratica e non solo un’associazione professionale. La nostra forza consiste anche nel condividere la realtà dei nostri colleghi, nel non smettere di essere insegnanti, di ragionare nel modo in cui ragionano gli insegnanti.
Partendo da tale irrinunciabile premessa, il nostro ruolo consiste nel riflettere attorno a un progetto generale di scuola, dello stesso fare scuola. Ciò dà continuità al nostro lavoro, è un elemento vitale del nostro agire concreto, un antidoto all’autoreferenzialità.
C’è una qualità a cui siamo affezionati e che deve essere confermata: ascoltare. Se uno non ascolta rimane solo con le proprie idee; è l’ascoltare che ti permette di mettere in gioco le tue idee e magari di modificarle per farle crescere. Bisogna saperci ascoltare, saper ascoltare gli insegnanti, saper ascoltare gli studenti; è questa da sempre una caratteristica del Cidi: ascoltare.
Ci sono Cidi piccoli e grandi e ognuno intesse un rapporto con il territorio e offre una visione della scuola; l’insieme e l’intreccio delle voci costituisce una premessa essenziale per qualsiasi analisi successiva.

La funzione del Cidi
Le responsabilità e la funzione del Cidi rimangono, con una forte valenza politica. Lo conferma il dibattito di questi giorni. Lo conferma la necessità di mantenere aperto il processo di riforma, che pure ha scontato errori e limiti, primo fra tutti la fretta (anche oggettiva) di giungere a un risultato.
Dobbiamo contribuire a impedire che si perda quella spinta di riforma che è stata data in questi anni. La nostra opposizione non sarà a un governo, quanto soprattutto a un modello di società che si cercherà di costruire. La vittoria del Centrodestra consiste soprattutto nell’aver inciso in tanti comportamenti culturali, anche quotidiani, che non ci appartengono, in cui non ci riconosciamo. Ma il Cidi combatte questa battaglia con le proprie forme, con i propri modi, sul proprio terreno, ed è qui la sua forza. Nei cinque anni passati non siamo stati la cinghia di trasmissione del governo ma abbiamo dato il massimo sostegno possibile a un progetto di scuola che si muoveva nella direzione che noi ritenevamo e riteniamo giusta: costruire percorsi formativi per tutti e per ciascuno, una scuola di massa e di qualità, la scuola dell’art. 3 della Costituzione.
Al centro della riforma rimangono due idee chiave: il passaggio dalla scuola del programma alla scuola del curricolo e il concetto di successo formativo, su cui tornerò alla fine.

Due questioni centrali
Dall’introduzione di Alba Sasso e dal dibattito di questi giorni sono emersi due terreni prioritari di intervento: uno è il progetto culturale, l’altro è la questione degli insegnanti (parlo volutamente di “questione” e non di “professionalità”). Dobbiamo agire possibilmente sul progetto culturale in quello iato che c’è tra tale progetto, come elaborazione, e il lavoro quotidiano del ‘fare scuola’. Il nostro impegno vero è qui, nel tenere insieme un disegno culturale di grande respiro che ha a che fare con un’idea stessa di società e, al contempo, è legato alla trasformazione della vita quotidiana nella scuola. Sono sempre meravigliato e affascinato dal fatto che una maestra insegna a leggere e i bambini imparano a leggere. L’insegnamento/apprendimento è un’esperienza fondamentale che deve investire l’esistenza di ciascuno, almeno fino ai diciotto anni. In tal senso il progetto culturale sfocia nel curricolo e incontra la soggettività dei ragazzi, i loro aspetti emotivi ed emozionali: in ciò consiste soprattutto la differenza fra curricolo e programma, che rappresenta solo il quadro culturale di riferimento.
Alcuni nodi cruciali su cui saremo chiamati a misurarci già dai prossimi mesi saranno: quale federalismo, quale scuola pubblica e quali forme di differenziazione dei percorsi formativi. Mi limito a ribadire che qui si giocano non solo governi diversi, ma idee antitetiche, inconciliabili, di società, di cultura, di futuro.
Circa la questione insegnante, una delle cose più rilevanti emerse in questi due giorni di dibattito è la necessità di non schiacciarsi sulla dimensione rivendicativa: possiamo, invece, contribuire alla ricerca di quelle ragioni profonde che potrebbero forse aiutare la stessa politica sindacale a essere capace di cogliere in modo più efficace che cosa significa affrontare la specificità della professione insegnante.
Il nostro compito è, dunque, sviluppare il complesso intreccio tra la qualità della scuola e quella del lavoro dei docenti. Si deve riproporre una concezione alta dell’essere insegnante nella mutata realtà italiana e internazionale.
Che cosa vuol dire essere maestro, essere un adulto professionista che si interessa della formazione culturale dei piccoli e dei meno piccoli in una società multimediale e multietnica?
Non è una domanda eludibile. Non c’è, ovviamente, una risposta immediata, ma è un nodo su cui si deve lavorare, su cui si deve tenere aperta la discussione.
Che vuol dire essere maestro in questa società? Qual è la centralità della questione insegnante?
È ciò che non può fare nessuno al posto nostro! La ricchezza della figura dell’insegnante, del maestro, consiste nel farsi carico di una persona e della sua formazione culturale, nell’avere un rapporto non casuale, non generico con l’altrui soggettività, ma nel riuscire a fornire a quella persona gli strumenti culturali perché sia autonoma, indipendente e magari anche in grado di fare scelte politiche meno distratte. Ma la nostra professionalità ha anche a che fare con la dimensione collettiva, cooperativa, sociale. È un grande tema da riprendere e approfondire.

Creare sedi allargate di dibattito
È indubbio che la fase che si apre preveda da parte nostra un forte bisogno di confronto con le altre associazioni democratiche che condividono questa idea di scuola. Serve una sede comune di dibattito, di approfondimento da cui sia possibile il rilancio di una significativa e non marginale iniziativa democratica sulla scuola.
Per quanto riguarda la struttura interna del Cidi, Alba Sasso ha usato una bella immagine, parlando di coralità. Coralità non vuol dire uniformità, vuol dire che voci diverse concorrono agli stessi obiettivi. Ci vuole molta armonia, anche organizzativa, certamente.
Penso che la presidenza, la segreteria, il Coordinamento nazionale, il Coordinamento regionale debbano tutti essere rafforzati all’interno di un forte progetto condiviso.
Il Cidi è un centro di iniziativa democratica che indubbiamente è schierato, ha una visione della politica, della società. È importante riuscire ad approfondire, senza ideologismi, la nostra visione della scuola e della società. Su questo potremo giocare il nostro piccolo ma non marginale ruolo nella partita per la democrazia.
Voglio citare la frase di una mia studentessa che è stata assente quest’anno per diversi mesi e a un certo momento è tornata a scuola. Mi ha detto: «Io sono tornata perché qui a scuola trovo adulti migliori di quelli che incontro fuori...» La responsabilità che noi abbiamo è enorme perché essere migliori non vuol dire solamente essere più buoni e comprensivi. La mia allieva, tutti gli studenti, devono portarsi a casa una formazione culturale significativa per la loro vita, altrimenti essere “buoni” e “comprensivi” è inutile.
Questa è la nostra scommessa di sempre: essere adulti in grado di assumerci responsabilità e di prenderci cura della formazione culturale dei ragazzi, a volte anche contro di loro, perché, a volte, sono talmente fragili da aver bisogno anche di forza e decisione da parte nostra. Ecco, questo per me è ancora una volta un sintomo dell’importanza, forse la motivazione per cui intendiamo impegnarci. La forza e il fascino del nostro mestiere sono incredibili!
Voglio chiudere con una cosa che mi mette in difficoltà, e cioè ringraziare, perché mi sembra di recitare una parte che invece non è formale. Io voglio dire grazie ad Alba Sasso, e secondo me il più bel ringraziamento è la qualità di questa nostra discussione in questi giorni. Di tutti gli anni in cui lei ha avuto la responsabilità del Cidi questo è il risultato: in un momento di difficoltà di un’area politica, un Coordinamento nazionale di questo genere dimostra la vitalità del Cidi e dei Cidi, la loro voglia di crescere, di moltiplicare l’impegno, di credere nella validità e nella realizzabilità del nostro progetto».

(A cura di Marco Galeazzi)

numero 8-9/2001


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