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    mensile del centro di iniziativa democratica degli insegnanti

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      Minima scholaria 29 - di Tullio De Mauro
      Lo Smig ovvero l’arte della manutenzione del buon vivere: seconda puntata

      Ricominciamo dalla riflessione di Albert Einstein che chiudeva il Minimum 27:
      "Tutte le nostre azioni e i nostri desideri sono legati all’esistenza degli altri esseri umani (...). Per la nostra stessa natura siamo simili agli animali che vivono in comunità. Ci nutriamo di alimenti prodotti da altri uomini, portiamo abiti fatti da altri, abitiamo case costruite dal lavoro altrui. La maggior parte di quanto noi sappiamo e crediamo ci è stata insegnata da altri per mezzo di una lingua che altri hanno creato. Senza la lingua la nostra facoltà di pensare sarebbe assai meschina e paragonabile a quella degli animali superiori. Perciò la nostra priorità sugli altri animali consiste prima di tutto - dobbiamo confessarlo - nel nostro modo di vivere la società. L’individuo lasciato solo fin dalla nascita resterebbe, nei suoi pensieri e sentimenti, simile agli altri animali in misura assai difficile da immaginare".

      L’idea di Einstein è pienamente confermata empiricamente e scientificamente per quanto riguarda il linguaggio, inteso come capacità d’uso di una lingua. Aperta da alcuni pionieri come John Lilly, un vero e misconosciuto e dimenticato pioniere degli anni trenta, e da Karl von Frisch, la via verso lo studio e la comprensione della comunicazione tra specie viventi diverse dagli umani ha compiuto in questi decenni e anni progressi immensi. Si può ormai forse affermare che la capacità di comunicare è connaturata agli esseri viventi come il metabolismo e la riproduzione. L’estesa conoscenza dei codici di comunicazione delle altre specie non priva il genere umano di una sua specificità: per quanto altre specie posseggano codici in alcuni casi ricchi e variati, nessuna (studi ulteriori ci diranno se un’eccezione va fatta per i grandi cetacei) è capace di controllare un codice di complessità e caratteristiche analoghe a una lingua storico-naturale. Soltanto in cattività e con speciali addestramenti alcuni tipi di scimmie, specie femmine, riescono a impadronirsi di alcuni rudimenti di una lingua storico-naturale, specie nelle sue varianti visualizzate e gestuali. Ma si tratta di esperienze controverse. Comunque, resta per ora certo che soltanto per la specie umana è opera naturale imparare a controllare l’uso di una lingua storico-naturale.

      Non c’è dubbio che imparare tale controllo si svolge sulla base di un ricco corredo di capacità ereditarie innate. È e non può essere altro che la memoria morfogenetica ciò che guida l’infante umano fin dalle prime ore di vita a orientarsi verso la conquista della discriminazione tra profilo ritmico e intonativo della lingua parlatagli dalla madre e altre lingue parlategli da altri o dalla madre stessa: una discriminazione che diventa compiuta entro le 36 ore di vita, come hanno rivelato alcuni anni fa le indagini eleganti e rigorose dello psicologo Jacques Mehler, e che è il primo passo, la prima chiave per entrare in possesso della grammatica implicita (vedi Minima 24) della lingua materna.

      Non sta solo e tanto al linguista o all’umanista sottolineare l’enorme portata di tale possesso. Il significato complessivo del possesso di una lingua si fa chiaro solo se guardiamo le cose con gli occhi del biologo, con gli occhi di chi studia ogni forma di vita. Già un’altra volta (Minima 3) ho avuto occasione di rammentare le parole scritte da un grande biologo, Ernst Mayr, al termine di una sua opera capitale, The Growth of Biological Thought: Diversity, Evolution and Inheritance (1980):

      "Sorprendente è la straordinaria somiglianza tra l’uomo e le grandi scimmie africane per le caratteristiche molecolari e la struttura cromosomica. (...) Non ci sono più dubbi sulla questione cruciale che la linea ominide sia una diramazione della linea che porta alle scimmie africane. Molto più importante di incertezze cronologiche è la nostra crescente comprensione delle tappe che condussero dalla condizione antropoide a quella umana. La prima tappa, e forse quella decisiva, fu chiaramente la posizione eretta che i nostri antenati assunsero quando scesero dagli alberi. Essa liberò gli arti superiori per la funzione di manipolazione che permetteva il trasporto di oggetti, l’uso e, infine, la costruzione di strumenti a un livello molto più elevato di quanto si ritrovi in qualsiasi scimmia. ... Caratterizzare l’uomo mediante criteri come quello della coscienza o del possesso della mente o dell’intelligenza non è di grande utilità, poiché ci sono prove valide che, riguardo a queste caratteristiche, l’uomo si differenzia dalle scimmie e da molti altri animali (persino dal cane!) soltanto quantitativamente. È il linguaggio più di qualsiasi altra cosa ciò che ha permesso la trasmissione di informazioni da una generazione all’altra e quindi lo sviluppo di una cultura non materiale. È la parola l’aspetto umano più caratteristico".

      Senza la "scuola delle parole" niente (o quasi niente) smig, niente o quasi niente del sapere minimo garantito necessario alla vita umana. E l’accesso a tale scuola ha precondizioni biologiche ereditarie comuni a ogni individuo della specie. Ma, attenzione, tali precondizioni non operano solo positivamente, nel senso di favorire l’apprendimento del linguaggio. Operano anche in negativo, con un "effetto soglia" su cui torneremo.