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La scuola che vogliamo contribuire a costruire
editoriale di Domenico Chiesa

C’è bisogno di scuola perché tutti possano disporre di quegli strumenti culturali necessari per vivere con pienezza la propria cittadinanza. Non riescono a convincerci che questa sia solo una bella frase da sfoderare nella retorica dei comizi e da collocare tra le inutili utopie, tra i pericolosi residui delle ideologie; ci dicono: tenere insieme i ragazzi fino alla prima adolescenza  per dare loro un’esperienza culturale significativa era una bella idea ma non ha funzionato; abbiamo/avete fallito, prendiamone atto, cerchiamo di individuare il più presto possibile le “vocazioni”, c’è chi è tagliato per studiare e chi è tagliato per lavorare, garantiamo ai primi una scuola di eccellenza (l’istruzione) e agli altri percorsi di formazione adatti a loro e mirati ad avviarli a professioni dignitose corrispondenti alle loro capacità e alle loro aspettative, senza illuderli.
Ma noi del Cidi siamo cocciuti, vetero, idealisti, sognatori e continuiamo a pensare che  la formazione culturale sia un bene a cui nessuno deve rinunciare, che nessun genitore possa permettere che i propri figli ne siano privi perché è il bene più prezioso sia per diventare cittadini sia per garantirsi la possibilità di muoversi in un mercato del lavoro sempre più impietoso per coloro che non possiedono quelle basi culturali (sì, culturali) necessarie a far evolvere le proprie capacità professionali. Rimaniamo convinti che la “vocazione” a interrompere il percorso di istruzione nella preadolescenza sia in realtà troppo determinata dalla condizione sociale e culturale e soprattutto che a tale età non esista il “diritto all’ignoranza”.
Eppure sappiamo bene quanto è difficile costruire una scuola in grado di intercettare i tanti Gianni e i tanti Sandro, e quanto è più difficile fare scuola con i Gianni; ma sappiamo anche che non è impossibile, che quando la scuola si dota delle risorse necessarie, quando si migliorano la qualità del curricolo e delle relazioni è possibile farcela, è possibile intercettare e aiutare a far crescere quel gusto per l’esperienza conoscitiva che abita in ogni ragazzo e che ogni ragazzo ha il diritto/dovere di scoprire e  sviluppare.
Cocciuti come siamo, attorno a un documento elaborato all’inizio di questo anno scolastico (“Il diritto di tutti alla cultura”) abbiamo costruito decine di iniziative in decine di città e continueremo a farlo nei prossimi mesi, con lo scopo di dare la parola, senza i potenti mezzi della tecnologia mediatica, a insegnanti, a dirigenti, a studenti e a persone della cosiddetta società civile che, anche in quanto cittadini (e non solo come genitori), percepiscono la formazione come un elemento essenziale per la democrazia.
E abbiamo scoperto di non essere i soli cocciuti: esiste una parte di società che crede che la scuola del diritto di tutti alla cultura sia possibile, che è disposta a continuare la sfida e soprattutto che crede che meriti continuare la sfida.
Ora ci viene anche il sospetto che questa scuola e questa società non siano minoranza, che non siano così fuori dal mondo, che, rendendosi conto delle difficoltà dell’impresa, siano consapevoli che alla richiesta di mantenere alti gli obiettivi debba corrispondere la capacità di costruire percorsi eccellenti di scuola.
È una scuola e una società che sanno bene che la sfida non si vince da soli: se la politica considererà sul serio la formazione come una voce di investimento e non di spesa, se la città (come comunità e come istituzioni che la rendono possibile) valorizzerà la scuola in un ruolo attivo e specifico all’interno del sistema formativo che viene costruito sul territorio, allora la scuola potrà avere maggiori strumenti per affrontare e vincere la scommessa.

numero 1/2002


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