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Governanti e governati
editoriale - Caterina Gammaldi

Poco prima di Natale saranno convocati dal ministro dell’Istruzione gli “Stati Generali della scuola” per presentare le proposte di riforma del sistema scolastico e formativo formulate dal governo di centro–destra, proposte emerse dopo le audizioni della Commissione Bertagna, cui era stato affidato il compito di sciogliere alcuni nodi ritenuti particolarmente urgenti.
Si vedano in proposito le dichiarazioni programmatiche del ministro rese in Parlamento il 18 luglio scorso (www.istruzione.it).
Nell’esprimere, allo stato delle cose, legittimi dubbi e preoccupazioni, solleviamo alcune questioni nel merito e nel metodo.

1. In che modo e in che misura è avvenuto il coinvolgimento della scuola, se molti sindacati e le stesse associazioni degli insegnanti, cattoliche e laiche, e il movimento degli studenti - dopo la missiva spedita dal gruppo di lavoro sulla riforma dei cicli scolastici alle associazioni delle famiglie, alle riviste specializzate, ai sindacati della scuola, alla Conferenza dei rettori - hanno espresso dissenso su quanto anticipato dalla stampa?
2. In che modo vanno letti gli atti del governo che stanno accompagnando l’operazione di riscrittura del Piano di attuazione del riordino dei cicli, se non come un intervento contro il presunto “monopolio della scuola statale” ?
Si vedano in proposito l’istituzione della Commissione sulla deontologia professionale del personale docente, o di quella per l’applicazione della legge sulla parità tra scuola statale e non statale, o il disegno di legge che prevede l’assunzione da parte dello Stato di 14.000 professori di religione con contratto a tempo indeterminato, o le stesse scelte effettuate in finanziaria.
È evidente che siamo di fronte a uno strappo senza precedenti fra governanti e governati.
Per il governo conta di più il rapporto con le gerarchie ecclesiastiche e con gli industriali che la salvaguardia dei diritti dei cittadini, a partire dal diritto di tutti alla cultura.
Se abbiamo sostenuto più volte posizioni contro un sapere “accademico”, a vantaggio di un sapere unitario, formativo, significativo per tutti… è perché abbiamo attraversato, da studenti - per questioni anagrafiche -  la stagione precedente alla riforma della scuola media e sappiamo bene quanto costa, in termini di cittadinanza attiva, escludere dal sistema scolastico la metà (forse anche più) dei futuri cittadini.
Né si può affermare che sia sufficiente l’esperienza di un sapere secondario fatta entro il 12esimo anno di età.
Un sapere secondario per radicarsi ha bisogno di un’altra età, che non può che essere quella che si colloca nell’attuale scuola superiore, anche al di là del 15esimo anno di età, sancito per legge (9/2000) come un possibile confine.
Utopie?
Troppo facile scegliere questa via per demolire le proposte di chi pensa a una scuola democratica, cioè per tutti, ben consapevole delle difficoltà dell’insegnamento e dell’apprendimento, in presenza ancora di eccessive rigidità culturali e strutturali nonostante l’autonomia delle scuole.
Si possono coniugare solidarietà ed eccellenza, a patto che evocarle e dichiararle come obiettivi di una possibile riforma della scuola non sia il modo di dividere precocemente la popolazione - come peraltro avviene negli Stati Uniti -  fra coloro che sanno  e coloro che  non sanno.
Per questa via passano un’idea di società fondata sull’ingiustizia sociale e sulla separatezza (pochi producono e dirigono  e molti consumano ed eseguono) e un’idea di futuro fondata esclusivamente sulle ragioni del mondo economico e produttivo.
Ben altro ci attendiamo per il futuro del Paese.

numero 12/2001


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