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L'identità della scuola media
di Elvira Federici

Quale contributo di esperienze gli insegnanti della media porteranno nel primo ciclo unificato?

Di fronte alle prime notizie circa il settennio della scuola di base previsto dal riordino dei cicli alcuni docenti di scuola media osservavano scherzando, ma non troppo, che proprio su questo segmento di scuola sarebbero cadute le cesoie del riordino e si chiedevano se per caso la scuola media non se lo dovesse aspettare.
Questo accadeva qualche mese fa, oggi nessuno sembra più credere che il riordino sia un calderone dove tutto si rimescola a caso, perdendo il suo sapore originario o si fa spaventare dall’ipotesi improbabile di «finire ad insegnare ai bambini delle prime» senza le necessarie competenze.
L’accoglienza destinata agli Indirizzi per il curricolo infatti, sembra improntata a un’attenzione preoccupata ma comunque costruttiva, da una cauta disponibilità a misurarsi con il cambiamento e da una lucida cognizione degli interventi di formazione, consulenza e supporto che saranno necessari.
Ma la domanda lasciata in sospeso circa la scuola media, circa il bilancio delle esperienze e dei risultati merita una riflessione in più.
Certo, la riflessione coinvolge tutti gli ordini e gradi di scuola che devono, integrandosi, diventare un’altra cosa e tuttavia: che cosa di buono porta ciascuno di essi alla nuova scuola? Qual è il valore aggiunto, il contributo peculiare, l’esperienza che non deve andare perduta, il sapore da conservare?
Il fatto è che, se pensiamo agli Orientamenti della scuola dell’infanzia, il più bel documento programmatico mai prodotto - la cui validità è accreditata a livello mondiale anche dai risultati di questa scuola e riconfermata in pieno negli Indirizzi - o pensiamo ai Programmi e alla riforma della scuola elementare, i cui processi sono stati monitorati a livello nazionale e confermati positivamente dalle indagini internazionale (Iea), ci risulta chiaro che cosa salvare. Ma se pensiamo alla scuola media? Ai programmi del 1979?

Che cosa salvare della scuola media?
Partiamo di lì. I programmi del 1979, chiamati fino a ieri - vale la pena di riflettere sul perché - «Nuovi programmi», rappresentano il primo impegno culturalmente e progettualmente coerente e organico dopo la scuola media unica (1962) e la L. 517/77 di realizzare le finalità costituzionali di una scuola formativa di massa, in grado di realizzare per tutti un progetto culturale per il diritto a una cittadinanza effettiva e capace di collocare nel mondo con un bagaglio di competenze atte a orientarsi in esso.
I programmi si caratterizzavano per un impianto disciplinare rigoroso sul piano epistemologico, un approccio fortemente cognitivo, coerenti spunti metodologici.
Il punto di forza era nell’incrocio tra gli aspetti disciplinari, oggetti e sintassi di ciascuna disciplina, e gli assi che, attraversandole tutte, ne consentivano una lettura in chiave di unità del sapere, di interdisciplinarità, di trasversalità: asse semiotico (le discipline sono linguaggi con i loro codici); asse logico (le discipline sono costrutti coerenti e capaci di strutturare il pensiero); asse operativo (le discipline nascono dal contesti di azione e di significato, di risposta, di uso).

I motivi di un rinnovamento solo parziale
È accaduto però, nella maggior parte dei casi, che gli assi trasversali diventassero raggruppamenti di materie a compartimenti stagni: quelle linguistiche, quelle logiche, quelle operative e che, nonostante le ricchissime esperienze che le sperimentazioni e il tempo prolungato hanno consentito, la scuola media non sia riuscita a far registrare appieno il valore della sua identità.
Questo principalmente perché l’impianto fortemente innovativo dei programmi cadeva in una gabbia organizzativa - tempi di insegnamento, tempi di progettazione - estremamente rigida (solo sporadicamente la L. 517/77 è stata valorizzata in funzione di un’organizzazione più efficace); poi perché si confrontava con il segmento non riformato della scuola superiore; quindi perché non è stata elaborata nessuna effettiva documentazione del suo percorso.
Infatti a livello istituzionale non si è cercato di monitorare, tutelare, verificare l’implementazione dei Nuovi programmi, diversamente da quanto accaduto per la riforma della scuola elementare.
Questa mancata valutazione ha significato, alla lettera, una mancata valorizzazione; è stata percepita dagli insegnanti come una scarsa considerazione (che ha consentito a tanti di adagiarsi in una noiosa ma comoda routine); ha disperso un patrimonio ricchissimo impedendone una diffusione che ne rafforzasse anche l’identità (pensiamo a come è forte l’identità della maestra delle elementari e come produca senso di appartenenza e di valore questa consapevolezza).
La scuola media, che si proponeva di realizzare l’istanza democratica dell’art. 3 della Costituzione, abbattendo la canalizzazione e la selezione sociale non ha del tutto raggiunto questo scopo: a fronte della positiva registrazione (vedi Vertecchi) di una riduzione sostanziosa dell’analfabetismo da quarant’anni a questa parte rimangono questi dati: il 10% di respinti all’esame di licenza, il 43% di licenziati con il livello sufficiente; l’enorme livello di dispersione al primo anno di scuola superiore, la scelta verso la scuola superiore determinata nella maggior parte dei casi dai contesti familiari e sociali di provenienza degli alunni.
Questi dunque i limiti che hanno inficiato la piena realizzazione delle finalità della scuola media: le angustie organizzative (cattedre, orari settimanali, mancanza di tempi per la programmazione ecc.) e la disattenzione istituzionale che non ha mai chiesto alla scuola media di rendere conto, di prendere la parola, impedendo il consolidarsi in sapere della scuola delle pur numerose esperienze significative.
Paradossalmente, la scuola media ha potuto dare il meglio di sé in questi ultimi anni di sperimentazione dell'autonomia, che ha liberato anche psicologicamente dalle gabbie organizzative e ha fatto emergere una grande quantità di buone pratiche.
La partita che si apre oggi con il riordino offre invece ai docenti ex scuola media la possibilità di accompagnare in modo qualificato la transizione dagli ambiti alle discipline, e di rafforzare la competenza metodologica nel confronto, interazione, integrazione progettuale con gli insegnanti ex elementari. Purché i tempi di questa transizione siano i più distesi possibile, purché si superi l’ipotesi degli ultimi due anni disciplinarmente molto “hard”, con l’esplosione di un gran numero di discipline, e la corrispondente riduzione dei tempi.
Occorre pensare un’integrazione più ricca tra maestri e docenti medi, una transizione più articolata  lungo tutto il settennio. Se non si vuole accreditare il cattivo pensiero degli insegnanti ex media: dobbiamo fare di meglio, con un anno di meno!

numero 5/2001


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