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Il riordino dei cicli:
aspetti culturali e professionali

di Caterina Gammaldi

Già nel 1997 («Insegnare», n.5) il Cidi valutava positivamente la proposta di riforma della scuola italiana, presentata dal ministro Berlinguer, per le sue caratteristiche di progetto complessivo (dalla materna alle soglie dell’Università), considerando necessario un ripensamento del sistema di istruzione e formazione stante «i cambiamenti della società, dei modi di vivere e di produrre» e «i nuovi bisogni di formazione, di cultura, di cittadinanza».
Non rinunciavamo allora a segnalare i problemi e con una punta di orgoglio possiamo dire di avere contribuito con le nostre iniziative e con le proposte fatte pervenire al ministro e al Parlamento alle modifiche del disegno di legge allora presentato - oggi legge 30/2000 - segnalando, tra l’altro:

  • Il delicato problema istituzionale posto dall’obbligo dell’ultimo anno di scuola materna e l’esigenza di definire una politica finanziaria, amministrativa, organizzativa di qualificazione e generalizzazione della scuola dell’infanzia.
  • I problemi della fascia d’età 11-14 anni, l’età del cambiamento più complesso e difficile e le difficoltà di un anticipo a 12 anni dell’ingresso nel ciclo secondario.
  • L’esigenza di considerare il significato autentico del termine “orientamento” (mettere tutti i ragazzi e le ragazze in condizione di scegliere).
  • La preoccupazione per l’inserimento di moduli di Formazione professionale nei due anni conclusivi dell’obbligo (altra cosa è «l’operatività, il saper fare con quanto si sa» rispetto all’addestramento al lavoro).
  • I rischi di un triennio superiore troppo professionalizzante a vantaggio di una scelta culturale in grado di fornire strumenti di conoscenza e di interpretazione del mondo.
  • La questione degli insegnanti e dei dirigenti scolastici (professionalità, carichi di lavoro, stato giuridico, politiche formative).
Il testo della Legge, il Programma quinquennale di progressiva attuazione della legge 30/2000 e la Relazione di fattibilità, le risoluzioni di Camera e Senato, i contributi della Commissione De Mauro in attuazione di quanto previsto dall’art. 8 del Dpr n. 275/99 ci consentono oggi di immaginare, a partire dai contenuti dei testi prodotti in questi anni, un percorso significativo, affidato alla responsabilità delle Istituzioni scolastiche autonome nella direzione della scuola «secondo Costituzione».

Aspetti culturali
Quali aspetti culturali e professionali considerare, in questa sede, per una migliore comprensione dei contenuti della legge, in una fase in cui si assegna alle Istituzioni scolastiche e ai docenti il compito delicato di costruire i percorsi curricolari in autonomia e responsabilità?
Un primo aspetto culturale su cui concentrare l’attenzione è il “senso della riforma”.
Nel Programma quinquennale di progressiva attuazione e ancor più nel Documento appena licenziato dalla Commissione De Mauro (Indirizzi per l’attuazione del curricolo) è esplicitato il senso della riforma del sistema scolastico italiano: «migliorare l’offerta di formazione e innalzare il livello  culturale del Paese».
Il richiamo esplicito e non retorico al dettato costituzionale (articoli  33  e 34  e articoli 1 - 11) ci consente di riflettere in modo inedito sulla portata di un sistema pubblico (statale e paritario), in cui si snodano i percorsi dai 3 ai 18 anni («di studio e formazione») verso la formazione tecnico superiore e l’educazione degli adulti, una riflessione non rituale sul passaggio dal diritto allo studio al diritto all’apprendimento, al successo formativo, all’estensione dei «saperi di cittadinanza e responsabilità» evocati anche in ambito internazionale.
La ricerca di un obbligo non formale, già presente nella storia personale e professionale di molti docenti, impegna tutti a garantire la piena scolarizzazione, quelle competenze culturali durature necessarie per vivere e lavorare da cittadini nella società contemporanea.
Un secondo aspetto di natura culturale su cui avviare, nel contempo, una riflessione, è il concetto di curricolo, coerentemente con lo strumento dell’autonomia.
L’approccio curricolare non è nuovo, ma è cosa altra in un sistema rigido qual è quello che abbiamo ereditato, nonostante i tentativi generosi di far funzionare l’individualizzazione dell’insegnamento, la flessibilità didattica e organizzativa e quant’altro è stato praticato nell’attuale scuola di base (elementare e media) e nella scuola superiore (nelle numerose sperimentazioni) per garantire apprendimenti.
La novità sta nel fatto che «il curricolo» – è scritto nel Documento di indirizzo -   è elaborato dai docenti e non centralmente dal ministero; non è unico dappertutto e per sempre, ma è commisurato alla condizione degli allievi e delle singole realtà scolastiche e ambientali», una modalità che non rinuncia né a un sistema nazionale di istruzione, né ai contenuti («il curricolo – si legge nel Documento – parte naturalmente dai contenuti, delinea l’articolato e complesso processo delle tappe e delle scansioni dell’apprendimento; (…) i contenuti [sono] non tanto guida dell’insegnante ma via per far conseguire alle allieve e agli allievi conoscenze solidamente assimilate e durature nel tempo»).

Aspetti professionali
Un passaggio, quest’ultimo, che ci introduce a considerare alcuni aspetti di natura professionale.
Tocca ai docenti - si è detto - l’elaborazione del curricolo, un’occasione culturale e professionale di rilievo che ci impegna sul terreno progettuale, nella ricerca didattica, nella ricerca di spazi e tempi flessibili, coerentemente con il principio dell’autonomia assegnato alla scuola dall’articolo 6 del Dpr n. 275/99.
Una scelta a vantaggio della valorizzazione delle professionalità esistenti nella scuola che, come si sa, sono segnate dalle storie personali (occasioni, esperienze, formazione).
Ci attende un periodo di transizione lungo, ma rilevante sul piano culturale e professionale, per garantire profili in uscita dalla scuola di base e dalla scuola secondaria coerenti con quanto atteso normativamente, nella direzione di competenze stabili.
E si impone una domanda di nuova professionalità docente connessa con le riforme in atto e con i cambiamenti profondi della società.
Un lavoro delicato,  quello degli insegnanti, di tutti gli insegnanti, di cui spesso non si hanno chiari i contorni e si parla con troppe approssimazioni.
Dobbiamo esigere riconoscimenti (anche economici), e non solo in presenza di un maggior tempo di lavoro, sapendo che è mutata l’organizzazione del lavoro, che i contesti educativi sono divenuti complessi, tutte ragioni più che sufficienti per ripensare il mestiere dell’insegnante, esplorando a partire dal tema dell’identità professionale: ruolo, contesto di riferimento, struttura della professione, carriera, formazione iniziale e in servizio.
C’è bisogno di una definizione più chiara dei compiti connessi con l’esercizio della funzione docente in regime di autonomia, c’è bisogno di ri-scrivere un patto fra datore di lavoro e  lavoratori.
D’altro canto non possiamo – da docenti – non essere responsabilmente consapevoli dei nuovi compiti.
L’esigenza di un docente colto, riflessivo, competente, capace di interazione e di lavoro in équipe qual è quello che ci viene proposto nel Piano di progressiva attuazione… diventa una necessità, ma dovrà corrispondere necessariamente a domande di formazione consapevoli, a politiche formative non generiche nella logica dello sviluppo professionale, dovrà corrispondere a un nuovo stato giuridico più coerente con le trasformazioni in atto.

Una riforma “conveniente”
Guadagneremo dalla riforma? È conveniente impegnarsi nella sua realizzazione?
La risposta è certamente sì e non solo perché se ne condivide l’impianto.
La memoria aiuta a porre domande e non aiuta il dibattito spesso confuso nel Paese, sui giornali, in Tv, lo scontro in atto fra maggioranza e opposizione sulla scuola. Ma è convinzione profonda e sempre più diffusa che il dettato costituzionale debba essere attuato, e che le riforme non possano essere realizzate se non in presenza di docenti colti e consapevoli del mandato loro affidato; che una cultura estesa sia per un Paese un bene e una scelta irrinunciabile, e che una legge di ordinamento (“il riordino dei cicli”) che finalizzi il sistema nazionale educativo di istruzione e di formazione «alla crescita e alla valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza  con le disposizioni in materia di autonomia delle Istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo», sia più che un buon inizio.
La gradualità del processo di attuazione della riforma, e una presenza vigile nel dibattito in corso, ci consentono di avviare un percorso culturale e professionale di grande rilievo,  difficile certo, in cui potremo e dovremo utilizzare il patrimonio di esperienze fin qui fatte (della scuola tutta: infanzia, elementare, media, secondaria superiore).
Non partiamo da zero - ha scritto Alba Sasso in un recente articolo su «Insegnare» - ma se partiamo da 3 (dall’articolo 3 della Costituzione) dobbiamo avere in questa fase il coraggio di selezionare e far vivere le esperienze migliori.
Non possiamo rinunciare a una scuola che sia luogo di «riordino delle istituzioni dei saperi», che metta  al centro della propria ricerca l’insegnamento e la persona che apprende. Ciò sarebbe grave.
Se ne avvantaggerebbe chi ritiene che la scuola sia per pochi, che gli insegnanti siano esecutori; nel nostro caso se ne avvantaggerebbe chi ha sempre enfatizzato proposte di riforma della scuola nella direzione di una canalizzazione precoce e conseguenti scelte di istruzione superiore in cui vale ancora la discriminante sociale e la selezione: un’idea inaccettabile per chi ha sempre lavorato per sostenere il principio della democrazia dell’istruzione e dell’inclusione.

numero 4/2001


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