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    mensile del centro di iniziativa democratica degli insegnanti

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      Forum:
      La "carriera" dell’insegnante nel nuovo contratto di lavoro - a cura di Lina Grossi

      Riprendendo il filo di un discorso avviato al 26° Convegno Nazionale del CIDI con la tavola rotonda su "Professione docente" - in relazione all’ipotesi di nuovo contratto di lavoro - a cui hanno preso parte i dirigenti dei quattro più rappresentativi sindacati della scuola, si è svolto presso la redazione di "Insegnare" un Forum con Enrico Panini (segretario generale Cgil-Scuola), Massimo Di Menna (segretario nazionale Uil-Scuola), Sandro D’Ambrosio (segretario generale aggiunto Cisl-Scuola), Daniela Silvestri (vice-segretario nazionale Snals), per discutere in particolare - all’indomani dell’approvazione del contratto nazionale di lavoro del comparto scuola - sulle questioni aperte dall’art.29 ("Trattamento economico connesso allo sviluppo della professione docente").Queste dovranno trovare specifiche risposte in sede di contrattazione integrativa tra i sindacati della scuola e il ministro della P.I..

      Al Forum ha partecipato anche Alba Sasso (presidente nazionale del Cidi). Un gruppo d’ascolto di insegnanti e capi d’istituto che aveva collaborato all’individuazione e all’elaborazione dei temi da discutere, ha infine rivolto ai presenti alcune domande* .
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      * Ermanno Testa (direttore di Insegnare) che ha coordinato il Forum. Velia Di Pietra (docente di scuola superiore). Elvira Federici (preside di scuola media). Lina Grossi (docente di scuola superiore). Loriana Pupolin (docente di scuola superiore). Sandra Rebecchi (docente di scuola superiore). Giuliano Spirito (docente di scuola superiore). Luciana Scarcia (docente di scuola media). Sofia Toselli (docente di scuola media). Stefania Valentini (direttrice didattica).

      Questi alcuni dei quesiti dai quali ha preso le mosse la discussione:

      • Il nuovo contratto nazionale della scuola prevede uno sviluppo della professione docente: in base a quali considerazioni?
      • L’art. 29 rappresenta uno dei nodi del nuovo contratto: un 20% (forse 30%) dei docenti con almeno dieci anni di servizio può accedere, a domanda, a un trattamento economico accessorio equivalente a sei milioni l’anno lordi. Ciò pone una molteplicità di questioni:

      1) Le procedure: quale la base numerica e quale il livello (nazionale, regionale, distrettuale, di Istituto?) su cui definire la quota del 20%? Per discipline? Per ordine di scuola? In base ad un criterio geografico?

      2)I criteri: per titoli (accademici, professionali...)? Con accertamento in situazione? In base al curricolo professionale? All’esperienza di insegnamento? Alla capacità di relazione? Alla presenza assidua alle attività pomeridiane (Consiglio di classe, Collegio dei docenti, attività interclasse ecc.)? E inoltre: come misurare la specificità della funzione docente nell’ambito della classe?

      3) Chi accerta e valuta: le commissioni? Formate da chi e in base a quali competenze? E secondo quale dimensione (nazionale, provinciale, scolastica ecc.)? Come evitare il rischio di gerarchizzazioni all’interno della scuola? Come continuare a favorire la cooperazione?

      4) Che ruolo avranno i dirigenti scolastici e il Comitato di valutazione di Istituto, in relazione anche alla revisione degli Oo.Cc.?

      5) Quale possibile ricaduta potrà esserci, all’interno della scuola, di tale innovazione? Si determinerà un aumento della motivazione? Ci sarà uno sviluppo della professionalità? In quale direzione? Saranno richiesti nuovi compiti in rapporto alla definizione del ruolo professionale?

      • La valutazione dei titoli e della qualità dell’insegnamento (art. 29) si lega con l’art. 28 che pone due questioni essenziali per i docenti: a) la formazione in servizio; b) il ruolo, lo spazio, i soggetti dell’aggiornamento individuale. Che cosa è previsto in questa direzione?
      • Due, dunque, le articolazioni della professione docente: a) concorso a domanda (10 anni); b) funzioni di sistema (2 anni). Ciò comporta lo sviluppo di alcune specifiche professionalità, e poi cosa succede?
      • E infine, sul versante della formazione in servizio e dell’aggiornamento, quale il ruolo dell’Osservatorio (art.12, c.3-4)?

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       M. Di Menna. Trovo un po' complicato e difficoltoso ragionare soltanto sull’articolo 29 del contratto di lavoro (ex art. 22 nell’ipotesi di contratto), perché nella sostanza questo aspetto è strettamente connesso all’insieme dell’accordo contrattuale. Il riconoscimento della professionalità docente è un obiettivo che era già presente nella piattaforma rivendicativa; non si è trattato dunque di una questione imposta nè dall’Aran, nè dal ministro della P.I. e dal Governo ma è il frutto di una rivendicazione sindacale.

      Nell’impianto generale del contratto, inoltre, la Uil ha evidenziato l’esigenza di un equilibrio tra una parte di retribuzione aggiuntiva per i docenti, legata al maggiore impegno richiesto per l’articolazione del profilo professionale, e una parte che riguarda un riconoscimento generale degli insegnanti nel loro complesso , soprattutto per ciò che riguarda il rapporto diretto con gli studenti.

      Questa possibilità del contratto va considerata infine come un’opportunità per tutti gli insegnanti, non un elemento valutativo a posteriori, di certificazione di competenze o di capacità ma, essendo a domanda, su base volontaria, e non essendo richiesto nulla in più rispetto a ciò che si fa, si tratta di verificare il livello dell’impegno, delle competenze, delle ricadute sul piano didattico: di qui l’opportunità di riconoscere una "carriera" professionale.

      Per quanto riguarda i singoli aspetti evidenziati nei punti introduttivi di discussione, rispetto alle procedure ritengo debba essere privilegiato il livello di singola scuola, perchè è nel contesto di ciascuna Istituzione scolastica che si può espletare al meglio una verifica delle competenze professionali in rapporto a tanti aspetti. Per quanto riguarda i criteri sono contrario a un accertamento che sia di titoli cartacei, ciascuno dei quali dovrebbe portare un certo punteggio; si tratta invece di accertare - su base volontaria - soprattutto in situazione, l’insieme della professionalità acquisita dal docente. Tale accertamento riguarda l’insieme della professionalità e quindi anche i titoli aggiuntivi: l’aver partecipato a momenti formativi, l’avere effettuato determinate esperienze, concorrono alla formazione della specifica professionalità.

      Rispetto alla composizione delle commissioni - che sarà oggetto di scelta da parte del ministro, sentito il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione - essa dovrà comprendere persone esterne alla singola scuola, con una possibilità di intreccio tra una certificazione dell’attività svolta, fatta dalla scuola stessa, e il momento invece di verifica e di valutazione fatta dall’esterno.

      Quale ricaduta all’interno della scuola? Ritengo che la ricaduta consista in uno sviluppo della professionalità, in un miglioramento della qualità della prestazione, nella valorizzazione di un impegno professionale più ampio che può diventare uno stimolo per tutti, una sorta di incentivazione. Escluderei però che a questi insegnanti si debba richiedere un lavoro aggiuntivo, perchè verrebbe meno l’impianto, la filosofia del contratto stesso, della scelta che è stata fatta: non una retribuzione aggiuntiva per particolari prestazioni di lavoro ma come riconoscimento professionale della docenza che serve a "costruire" una retribuzione del docente più vicina a quella di altri Paesi europei. Il fatto poi che sia limitato al 20%, in prima applicazione, è un problema soltanto di disponibilità finanziaria.

      D. Silvestri. Tutto ciò che appare sullo sfondo della contrattazione non può essere ignorato; la norma riguardante il trattamento economico, connesso allo sviluppo della professione docente, ha come riferimento generale questa prospettiva: da un lato la necessità di adeguare i livelli economici, retributivi e le norme che riguardano la professione docente, fra l’Italia e gli altri Paesi; dall’altro un salto di qualità riconosciuto, innanzitutto nel Paese, alla professione docente che è stata molto spesso ignorata, misconosciuta, non considerata, che ancora adesso non gode di quel prestigio che dovrebbe avere. Andare a verifcare la qualità della didattica e dell’innovazione è un passaggio che solo apparentemente può essere regolato da una norma di contratto poichè guarda dietro di sè, guarda ad un processo culturale professionale più complessivo. L’articolo 29 del contratto di lavoro certamente non può essere di soddisfazione piena, ma è l’avvio di un processo importante, perchè innalza economicamente e professionalmente il lavoro dell’insegnante, perchè guarda a tutti gli insegnanti del nostro Paese e quelli del resto d’Europa. Su tali questioni certamente il dibattito deve essere approfondito e la norma contrattuale non può essere soddisfacente perchè fissa dei paletti troppo stretti, sui quali deve esserci l’impegno delle organizzazioni sindacali - e certamente un grande dibattito culturale anche da parte delle associazioni professionali e di tutto il mondo della scuola, della cultura e, possibilmente, dell’opinione pubblica.

      Il calmiere che è stato messo su una percentuale - che già nella norma quadro viene elevata compatibilmente con le risorse, ad almeno il 30% del personale - implica che si tratta comunque di un paletto economico e quindi di un paletto duro da subire. Non si dà per scontato che soltanto il 15 o il 20% degli insegnanti della scuola italiana abbia qualità, non si dice che anche solo elevando al 30%, gli altri debbano rimanere fuori ma si dà soltanto un riferimento di rapporto fra le risorse disponibili e la percentuale dei docenti che potrà accedervi. Su questo lo Snals darà battaglia.

      La norma stabilisce di portare, fino al 2001, almeno il 20% del personale docente che abbia certi requisiti per godere di questa possibilità e che, qualora le risorse siano ampliate, si possa pervenire ad almeno il 30% del personale docente. Bene, allora il problema è questo: le risorse dovranno esserci se i docenti meriteranno di poter godere di questo incentivo, di questa opportunità, di questa possibilità e le risorse bisognerà trovarle dal momento che sarà opportuno che la verifica formativa della qualità riguardi tutti i docenti. Allora noi proponiamo: primo, che ci siano dei momenti aperti di formazione a cui tutti i docenti possano accedere perchè possano verificare se la loro attività didattica, le capacità e le competenze strumentali riguardanti la propria disciplina o le discipline che insegnano, le competenze educative professionali, trasversali siano in loro possesso. Secondo, perchè possano verificare se sul piano dell’innovazione e della qualità del loro insegnamento, ci possano essere insieme a università, enti, associazioni professionali, forme di certificazione attraverso monitoraggi dell’Amministrazione, anche attraverso la formazione a distanza, della propria professionalità. C’è un sistema nazionale di valutazione che sta partendo e che consentirà di monitorare effettivamente le proprie competenze sul campo, in modo che tutti possano godere della possibilità di andare in futuro a dei miglioramenti delle proprie competenze didattiche, e a questo fine possano trovare aiuti su tutto il territorio nazionale e non soltanto nelle zone più ricche o servite da maggiori opportunità.

      È importante, infine, che si proceda alla compilazione di un elenco di tutti coloro che hanno ritenuto, o voluto, o potuto offrire il proprio curriculum formativo in modo che l’eventuale percentuale che entro il 2001 dovesse godere di questo incentivo, non sia scelta con criteri poco chiari o non sia ristretta ad una selezione intesa come promozione/bocciatura, ma sia invece ricavata da un lungo elenco di disponibilità di risorse umane, in termini di qualità, entro cui nel futuro possa essere ampliata la base di coloro che beneficeranno di tale possibilità.

      S. D’Ambrosio. Tutta questa vicenda - non tutta la vicenda contrattuale, ma questi aspetti specifici su cui ragioniamo oggi - si possono leggere in due direzioni: l’una, in senso stretto, riguarda la politica retributiva che abbiamo messo in atto e l’altra è l’attenzione a quel che avviene nel sistema.

      Sul primo versante c’è da dire che tutti siamo convinti di un’insufficienza retributiva del personale docente e che forse alcuni istituti come quello introdotto con l’art.29, che oggi fanno discutere, sarebbero discussi meno se ci fosse una politica risarcitoria per quanto riguarda la retribuzione per tutti.

      L’altro versante riguarda la scelta di articolare le retribuzioni, per cento ragioni, forse anche per equità, nel senso che sono decenni che ci aspettiamo una politica retributiva che superi un riformismo legato a una disuguaglianza di fatto, di qualità e di impegni quantitativamente diversificati. Una scelta, dunque, che è tutta sindacale, di politica retributiva attenta però anche all’autonomia che dal punto di vista contrattuale e sindacale determina un’articolazione, per forza di cose, dei profili e dei ruoli.

      Sull’articolo 29 mi riconosco in molte delle cose che ha detto Di Menna. Innanzitutto questo articolo è una scommessa e probabilmente non può rimanere così com’è: noi siamo d’accordo che teoricamente questo istituto si giustifica perchè diventa un’opportunità offerta a tutti.. . Il che non vuol dire non essere selettivi ma significa che a tutti gli insegnanti - per i quali, essendo insegnanti della scuola pubblica, esiste una presunzione di equivalenza delle prestazioni - vogliamo riconoscere un pezzo dello stipendio legato a verifiche. Quando questo istituto non avrà più vincoli economici e sarà a disposizione di tutti, la lettura che ne verrà fatta sarà diversa dall’attuale; e il 20% della categoria, possibilmente innalzato al 30, è già qualcosa di significativo: se si pensa che la platea è solo quella di chi ha più di 10 anni di servizio, ragionevolmente si arriverà, già oggi, a un 25-30% dei destinatari (un insegnante su tre tra chi ha più di 10 anni di anzianità).

      Adesso il grande nodo è quello delle procedure e "chi valuta chi". Di Menna diceva opportunamente che noi oggi cominciamo da zero e, probabilmente, quando questo istituto sarà in atto non solo faremo tesoro dell’esperienza fatta, ma potremo anche utilizzare gli insegnanti così individuati non per particolari ruoli: per esempio, nella valutazione della professionalità, potremmo utilizzare questi insegnanti all’interno di un sistema di valutazione che ragionevolmente sarà nato.

      Chi valuta chi, dentro la scuola fuori dalla scuola?: per ora è stata fatta la scelta d individuare il target, che è l’insegnante normale che insegna bene e su questo alcune cose ce le siamo dette, altre cose dobbiamo dircele. Riteniamo inoltre che la storia professionale di ciascuno è fatta di cento cose, anzi è fatta di tutto quello che l’insegnante soggettivamente ritiene utile a descrivere questa sua vita professionale: i titoli, i corsi (che non sono il perno di questo giudizio, ma sono solo il corredo di un giudizio possibile). Nessuno sarà valutato sulla base dei certificati che ha, ma i certificati e le esperienze che ha devono contribuire alla descrizione di un profilo che poi ha il suo perno nella qualità della prestazione di insegnamento. L’insegnante che intende accedere a questo istituto - non abbiamo idea della risposta ma mi auguro che gli insegnanti non siano pochi, parliamo di 150.000 unità, tant’è il 20% degli insegnanti di ruolo - raccoglie tutti gli elementi, tutte le esperienze che ha fatto dentro la scuola e fuori dalla scuola, cioè tutto ciò che ritiene utile a descrivere se stesso, dopodichè il giudizio sarà fatto in situazione. Come? Questa è una pagina ancora da scrivere; noi saremmo orientati a ritenere che la percentuale - scuola per scuola - sia un terreno da privilegiare rispetto, per esempio, ad una graduatoria provinciale, perchè capace di riflettere un giudizio collettivo. Pur sapendo che questa scelta ha dei limiti molto grandi.

      E. Panini. Considero il contratto appena sottoscritto equilibrato perchè cerca di tenere insieme più aspetti della dimensione professionale del personale della scuola, in particolare degli insegnanti, ed innovativo nel senso che non rinuncia a confrontarsi con i processi di riforma in atto e a guardare avanti rispetto a questi processi. Avvia anzi un percorso che dovrà concludersi con la prossima stagione contrattuale e che segna il passaggio da un sistema casuale della nostra professionalità (casuale nell’accesso, nella formazione in servizio o nella non formazione in servizio, molto spesso anche nelle stesse dimensioni ed esperienze professionali) ad un sistema delle opportunità.

      Il ragionamento sotteso all’articolo 29 e anche ad altre parti di questo rinnovo contrattuale - la formazione in servizio, la mobilità professionale, la possibilità di considerare la scuola come un luogo di formazione utile per il territorio, le scuole collocate in aree a rischio o con forti processi immigratori - si fonda su alcune considerazioni:

      - la prima riguarda la professione docente. È una professione lunga nel suo svolgimento: un insegnante che inizia adessso a lavorare ha una prospettiva lavorativa di 35-40 anni, e questo cambia immediatamente la percezione del proprio lavoro, della propria carriera e, in qualche modo, delle proprie aspettative;

      - la seconda riguarda la competenza professionale, ormai diffusa nel personale docente della scuola, che non è riconosciuta se non come utile per fare altro dall’insegnamento, siano attività aggiuntive (per altro utili al funzionamento della scuola) o altra prestazione professionale in un’altra carriera (per esempio, il concorso a capo d’Istituto) o voglia di sperimentarsi nei comandi; quanti, per esempio, chiedono con insistenza come si fa ad andare all’Irrsae, all’estero o in una pubblica amministrazione, anche per la voglia di sperimentare altro da sè rispetto alla propria dimensione professionale?

      L’art. 29 è uno dei nodi del nuovo contratto, per due ragioni:

      - la nostra storia professionale e retributriva ha sempre visto una contrattazione uguale per tutti, e ha sempre considerato la diversità sull’aggiuntività della prestazione;

      - in Italia non esiste - è solo stata declamata - una cultura della valorizzazione delle persone e delle competenze professionali: tutti gli inviti e le esortazioni al ruolo indispensabile degli insegnanti spesso si sono tradotte in un elenco di esortazioni, mai in impegni veri, che portassero in un qualche modo dall’indicazione all’operatività, al fare.

      L’obiettivo dell’articolo 29 è innanzitutto per noi quello di realizzarlo, perchè non possiamo consentirci la terza falsa partenza rispetto a precedenti esperienze contrattuali (se pur più generiche nella loro definizione di quanto invece puntualmente è definito nell’articolo 29). Questa realizzazione, inoltre, deve essere trasparente, verificabile, oppure il rischio è che il salario diventi un salario di carattere territoriale: mentre infatti aflluiscono nuovi fondi alle scuole, anche direttamente, attraverso convenzioni col territorio, è evidente che una parte di questi fondi rischia poi di diventare salario e quindi un salario che ripristina in qualche modo una diversità territoriale fra le diverse scuole e le diverse situazioni. Ancora due questioni: andati a regime a giugno 2001 (considero oggi ineludibile il fatto che innanzitutto si realizzi nel migliore dei modi, questo sistema) si potrà anche ragionare se le competenze di questi insegnanti, in un modo o nell’altro, si mettono a disposizione della scuola, ma ritengo oggi pericoloso caricare troppo questo istituto che ha le dimensioni quantitative che si sono dette.

      È stato posto anche un problema rispetto alla formazione e di questo molto si dovrà definire con la contrattazione integrativa. Nel definire lo spazio per l’aggiornamento individuale si deve tenere conto che oggi il nostro sistema ha una specificità che altri sistemi non hanno e cioè che, insieme ad una domanda organizzata dalle scuole e da altre agenzie, c’è una presenza forte di un associazionismo professionale di qualità che va riconosciuto, non per definire uno spazio di tutela ma per far fronte a una caratteristica fondante della scuola oggi nel nostro Paese.

      Infine l’Osservatorio: come sindacato non vogliamo entrare nel merito dell’aggiornamento, però rifiutiamo che ciò che è lettura del fabbisogno formativo - parola sconosciuta nel nostro sistema scolastico istituzionale - e ciò che è riconversione e riqualificazione sia gestito unilateralmente dall’Amministrazione della Pubblica Istruzione: l’Osservatorio cerca di ragionare e di ricucire un intervento su questo spazio.

      A. Sasso. Rispetto al dibattito che c’è stato finora sulla questione della professionalità (articolo 29) vorrei partire da due "ovvietà": un contratto è un contratto e non è una riforma; questo contratto si colloca all’interno di una situazione in movimento. Non solo, ma questo contratto in qualche modo - ed è stato già detto - prende atto di una modifica della professionaità docente già in atto da anni. Di questo va tenuto conto perchè può aiutarci a capire che i docenti hanno già, in molti, cambiato il modo di lavorare e sanno benissimo che per essere "bravi docenti" non basta saper fare lezione nel chiuso delle proprie aule, ma che c’è anche una parte di progettualità, di collegialità, di lavoro comune.

      C’è anche un altro elemento da considerare, ossia la scarsa conoscenza che noi abbiamo del sistema scolastico, sia a livello di singola scuola sia a livello di sistema, perché manca un sistema di valutazione. È cambiato il modo di lavorare, di cooperare all’interno della scuola, di progettare, però nessuno sa se questo ha cambiato la produttività della scuola. La dispersione è rimasta, le difficoltà sono rimaste, sicuramente il modo di lavorare ha cambiato le cose però non abbiamo una capacità di lettura dei risultati.

      Perchè dico queste cose? Perché questo contratto e questa autonomia hanno bisogno di punti di riferimento e di cambiamento della situazione, altrimenti si rischia di lanciare dei boomerang, e questa è la nostra prima preoccupazione. La cosa importante che il contratto ha fatto è sottolineare che, se carriera dell’insegnante deve esserci, non può essere la "fuga" dall’insegnamento. Questo è un punto importantissimo e noi da sempre lo abbiamo sostenuto. Inoltre, i docenti ( 20, 30% ?) che usufruiranno di questa nuova possibilità lasciamoli stare nella scuola, nella classe.

      Il meccanismo deve essere però trasparente e chiaro: che cosa si deve valutare di queste persone? Non porrei la questione nei termini: accertamento disciplinare sì, accertamento disciplinare no; metterei piuttosto nella valutazione tanti pezzi, ognuno dei quali ha la sua importanza e, tra questi, perché no? l’accertamento disciplinare. Se un insegnante non conosce la propria disciplina è comunque un problema. Anche perché da quando si è laureato nessuno gli ha chiesto più di approfondire la disciplina e tutti sappiamo come siano cambiate proprio le discipline con l’accumulo delle conoscenze. Giancarlo Cerini, nel dibattito che c’è stato all’interno del Cidi, ha formulato una proposta dei quattro quarti: primo, la capacità di saper organizzare un curricolo delle proprie esperienze professionali e culturali; secondo, la validazione in situazione di questo curricolo; terzo, un accertamento disciplinare; quarto, un accertamento in situazione.

      Personalmente sarei dell'ipotesi di escludere coloro che svolgono un secondo lavoro dalla possibilità di accesso ai sei milioni annui. Ho insegnato per tanti anni negli Istituti tecnici e ho conosciuto il valore di alcuni colleghi bravissimi proprio perché avevano un secondo lavoro (commercialisti, agronomi ecc.) ma spesso partecipavano poco alla vita della scuola.

      Ma veniamo alla questione della valutazione scuola per scuola: è questo un problema sindacale, politico, di associazione, enorme. Tutta questa partita non si realizza senza uno scatto di soggettività dei Collegi, se non si supera quella tendenza alla passività molto forte nella categoria. C’è bisogno che i docenti riuniti in Collegio diventino realmente protagonisti e superino quella forma di cooperazione verso il basso che genera a volte una sorta di un autoreferenzialità.

      Infine l’Osservatorio, verso il quale ho delle perplessità forti. Non può essere il ministero della P.I. a definire le direttive, però stiamo attenti che l’Osservatorio non perda di vista la realtà delle scuole, che non intenda alla fine definire le linee fondamentali della formazione in servizio sulle grandi innovazioni e intromettersi anche in quello che è l’aggiornamento che le singole scuole, i singoli Collegi, i singoli docenti, devono decidere. Sul terreno dell’aggiornamento questo contratto è un po' carente perché è vero che garantisce i cinque giorni l’anno di permesso ma i meccanismi per cui poi l’aggiornamento diventa non solo un diritto ma anche uno strumento forte per il miglioramento della professionalità sono più deboli rispetto a quelli del precedente contratto.

      L. Grossi. Dal nuovo contratto - e questo è un elemento estremamente positivo - potrà finalmente prendere l'avvio una riflessione sugli elementi che caratterizzano la specificità della funzione docente, ai vari livelli di scolarità e in relazione ai diversi ambiti di insegnamento. Si tratta di una questione complessa, sulla quale si è detto molto, in termini generali, senza mai però tentare una definizione chiara e analitica degli aspetti che la compongono. L'esigenza di una valutazione di tali aspetti induce, inevitabilmente, ad una loro rilevazione: non si può valutare senza sapere cosa valutare. Mi farebbe piacere capire, a questo proposito, se ci sono elementi sui quali si è già riflettuto in modo più approfondito.

      L. Scarcia. Circa il nuovo istituto della "carriera" introdotto con l’art. 29 la mia preoccupazione riguarda l’accettazione o meno da parte della categoria di questo istituto che per la prima volta introduce elementi di differenziazione sulla qualità; se è vero che non c’è un rifiuto di principio, c’è diffusa una preoccupazione sulle procedure per realizzarlo. Proprio per questo credo che sia assolutamente necessario essere prudenti e soprattutto aver cura che la categoria sappia gestirlo. Siccome l’auspicio è che questo istituto abbia delle ricadute sul funzionamento della scuola e si traduca in un aumento della sua qualità, mi chiedo rispetto al "che cosa valutare", se non sia meglio prendere in considerazione ciò che al momento non è ordinario, non è di tutti: attraverso, per esempio, la capacità che alcuni docenti hanno di documentare le esperienze che hanno fatto. Infine, se si tratta di andare verso la formazione di un’anagrafe di persone con determinate competenze, non ci sarebbe nulla di negativo nel chiedere a queste persone anche compiti aggiuntivi, oltre allo stare in classe, con funzioni, per esempio, di tutoraggio.

      S. Rebecchi. Ritengo che la competenza disciplinare non sia tutto perché man mano che passano gli anni un insegnante si allontana da certe competenze specifiche disciplinari e acquisisce tutta una serie di competenze, molte volte assolutamente non misurabili, che sono quelle di cui si è parlato a proposito di analisi di situazione. Quanto al tipo di valutazione, invece, mi rendo conto che una valutazione nazionale è necessaria, anche se lontana dalla realtà del singolo insegnante, della singola scuola; dall’altra parte vedo pericolosa la valutazione a carattere locale per il fatto che possono mescolarsi alla valutazione questioni troppo legate alla specifica situazione. E poi mi chiedo: ai docenti che eventualmente chiedano di sostenere questa prova di valutazione e vengano, per così dire, "respinti", che cosa succede? Come si sentiranno dopo? E ancora, con l’autonomia, ogni scuola non cercherà di valorizzare al massimo, attraverso il Collegio, il capo d’Istituto, il Comitato di valutazione interno i propri insegnanti? Visto che tra le scuole ci sarà della competizione, è chiaro che ognuna tenderà ad avere il maggior numero di insegnanti, per così dire, "promossi".

      S. Valentini. Mi sembra importante dalle vostre parole che questa innovazione che il contratto introduce non faccia registrare un fallimento. Allora, considerando quello che è il contesto della singola scuola e anche pensando a tutte le preoccupazioni che gli insegnanti manifestano, non in merito all’istituto in sé ma alle procedure, mi chiedo se non sia il caso di definire dei paletti per le commissioni. Questo istituto va un po' sostenuto attraverso l’individuazione di punti chiari rispetto ai quali la scuola possa agire e rispondere. La stessa autonomia implica, tra l’altro, un'assunzione di responsabilità ma all’interno di una cornice certa. Questa cosa deve essere un’occasione di crescita per la scuola e non di conflitto e di ritorno indietro, con le persone più brave, più competenti che si tirano indietro per non affrontare una situazione che non è chiara. Un’altra cosa: la scuola, oltre a compensare il terzo degli eccellenti forse, in qualche modo, dovrebbe incentivare gli altri due terzi.

      S. Toselli. La questione, sempre evocata, di un’autonomia che è anche autonomia di ricerca e sperimentazione mi sembra vada scomparendo. La scarsa attenzione all’aggiornamento a livello di Collegio, di singolo Istituto e come opzione individuale, limita la possibilità che la ricerca didattica diventi anche un fatto di auto- aggiornamento che, in qualche modo, possa essere recuperata al fine di una spendibilità anche per questo concorso.

      M. Di Menna. Quando stavamo definendo il contratto di lavoro sembrava dovessero prevalere gli aspetti gestionali e quindi il ruolo della dirigenza e non la centralità della docenza che poi è la vera ragione per cui tutto il resto esiste. Se si sta passando dalla scuola centralizzata alla scuola dell’autonomia è per migliorare la qualità della formazione, per ampliarla, per dare risposte più adeguate, ma il tutto esiste perchè c’è un momento in cui l’insegnante è in classe con gli studenti e insegna; si trattava per noi, in tal senso, di recuperare anche attraverso il contratto questo elemento importante. Per questa ragione la scelta che personalmente privilegio è quella connessa con un modello di valorizzazione professionale e con una verifica del lavoro prestato nel rapporto con gli alunni. Quello che andiamo a introdurre concorre a valutare l’insieme della prestazione. La competenza disciplinare non è tutto, è vero, però è qualcosa, perchè se insegno storia e geografia e sono rimasto fermo alla struttura dei Balcani che ho appreso all’università e ho difficoltà ad orientarmi, probabilmente ai miei ragazzi darò meno opportunità di conoscere la geografia e la storia di oggi, di chi invece, nel frattempo, si è aggiornato.

      Noi rifiutiamo il meccanismo di tipo concorsuale però nella verifica in situazione l’intreccio con la disciplina pensiamo sia un elemento che possa avere la sua influenza.

      Sono molto d’accordo con quanto affermava Stefania Valentini che questo istituto non può essere lasciato alla solitudine delle scuole e che quanto più si interverrà in modo di supportarlo, con elementi di certezza, tanto più migliorerà. La scelta di una percentuale da definire scuola per scuola deriva principalmente dalla maggiore possibilità di avere una ricaduta nella qualità della prestazione professionale. Tale scelta avrebbe inoltre il pregio di maggiore controllo e trasparenza.

      D. Silvestri. Questo dibattito dà l’idea di due cose che noi siamo riusciti a fare come sindacati e di una che dovremmo fare insieme nella contrattazione integrativa, con questo ampliamento della base di discussione; quella che siamo riusciti a fare insieme è che nessuno, proprio nessuno, in questo dibattito, (ma anche nelle scuole durante i momenti della consultazione e delle assemblee) ha pensato che l’ipotesi fosse burocratica bensì semmai questo istituto è chiamato in causa per la complessità dei problemi che pone, in un momento in cui tutti hanno l’idea chiara che questa professione vada premiata e incentivata soprattutto se resta in aula e fa didattica.

      Per quanto riguarda la formazione e l’aggiornamento, si tratta di un diritto e di un’opportunità che nel contratto sono soltanto abbozzati ma che nella contrattazione integrativa dovranno trovare, a detta di tutti, uno spazio maggiore.

      Per la questione della valutazione ho alcune perplessità: la primo riguarda senza dubbio il problema della conflittualità dentro le singole istituzioni scolastiche autonome. È molto vero infatti quello che è stato detto e cioè che molto spesso alcune scelte, espresse da un Collegio dei docenti che non ha qualificato tali scelte o da parte dei capi d’Istituto, per motivi puramente discrezionali o soggettivi, potrebbero creare grossi conflitti: quindi attenti alle verifiche in situazione, di aula, di classe o di scuola se questo può significare buttare un cerino e accendere una polveriera. Non era quello che volevamo, la verifica in situazione è difficile, va ponderata molto bene. Secondo punto: certamente non si tratta di premiare coloro che sono portatori di esperienze le più diverse, dai comandi Irrsae , agli stessi esoneri sindacali in cui pure si è accesa una capacità relazionale, ai comandi presso le associazioni, quanto invece chi resta in aula e porta il proprio contributo, che sia a part-time o che sia a tempo totale. Per chi dovesse scegliere il rientro a scuola le esperienze fatte, se qualificanti della didattica, andranno completamente premiate, anche nel caso, per esempio, di un ingegnere, libero professionista, che porti in un Istituto per geometri le proprie competenze in raccordo con il mondo del lavoro e che non scappi dalle riunioni e sia presente nei momenti delle verifiche.

      S. Valentini. Uno di quei paletti di cui parlavo prima, anche facilmente documentabili, potrebbe essere proprio la partecipazione attiva alle attività collegiali. Mi sembra un punto da tenere ben presente, che anche a livello di scuola non crea conflitti perché tutti possiamo essere d’accordo su che cosa si intenda essere presenti e in modo fattivo.

      S. D’Ambrosio. Sono d’accordo che se si fa la scelta dell’insegnante che sta a scuola e a scuola resta, siano esclusi da questo meccanismo coloro i quali chiedono l’autorizzazione ad un secondo lavoro ma, per coerenza, escluderei anche chi è a part-time proprio per dare il segno che questo istituto si rivolge a chi centra la sua vita professionale in questo lavoro.

      Dobbiamo usare questa tornata per costruire un ipotetico equilibrio tra aspiranti e posti, cioè dobbiamo trovare un punto di equilibrio tra coloro i quali ritengono soggettivamente di meritare "l’accesso a" e la disponibilità. Questo punto di equilibrio tra domanda e offerta mi sembra centrale nel dibattito.

      Seconda questione: non abbiamo neppure - come è emerso da questo dibattito - non solo lo strumento ma neppure i parametri di giudizio; a noi non interessa avere un sistema di valutazione così raffinato che entra nelle scuole e guarda il singolo docente- il che presupporrebbe un valutatore ogni cinque docenti, - ci serve invece iniziare a costruire una griglia di parametri possibli e se non cominciamo non lo faremo mai. Finora non siamo d’accordo neanche sugli assi portanti di una valutazione possibile di questa professionalità; mettere in atto questo istituto, magari male, può aiutarci a costruirla. Ma che cos’è che misura la professionalità? Se si dice: il giudizio degli studenti, noi inorridiamo; il giudizio dei genitori, inorridiamo; il giudizio del capo d’istituto, inorridiamo; il giudizio dei colleghi, inorridiamo. Forse il complesso di questi parametri comincia a essere abbastanza indicativo e qui si apre in casa sindacale, ma credo anche dentro le associazioni, un grave problema che è quello che riguarda i capi d’istituto. Quelli di sincera vocazione democratica , come quelli iscritti ai nostri sindacati, pongono il problema di ritenersi non estranei a questa valutazione e allora siccome l’autonomia si centra anche in una parte significativa sul loro ruolo, l’esclusione pregiudiziale, un po' ideologica, rischia di trasformarsi in un boomerang: il concorso a una cosa non vuol dire la decisione sulla cosa.

      Terza questione, le "bocciature": nessuno è bocciato, non è un un meccanismo concorsuale

      Penultima considerazione: io vorrei sottolineare la dimensione anche fortemente sindacale di questa scelta perché è un cuneo che eleva la retribuzione media del comparto scuola. Ultima cosa è questa: questa categoria professionale (parlo dei docenti) è una categoria alla quale nessuno parla, non parlano i sindacati, non parlano le associazioni, nessuno parla, non esiste un dialogo tra corpo professionale e soggetti, nemmeno il ministero, che parla con le circolari ma si rivolge ai suoi, alle appendici dell’amministrazione. La sindacalizzazione di questa categoria è la precondizione per iniziare un dialogo anche professionale; le Rsu sono un’altra scommessa che può finire nel modo A o nel modo B: estremizzando, nel modo A, quello grande, di una sindacalizzazione che fa discutere del proprio vissuto professionale.. grande luogo di dibattito sul proprio lavoro; nel modo B che fa aumentare la microconflittualità nelle scuole. Le Rsu possono diventare quell’elemento di alfabetizzazione sindacale e quindi professionale di una categoria che non ce l’ha e l’assenza, che è stata qui ricordata, alla partecipazione alle assemblee è un segnale pericolosissimo sotto tutti i punti di vista.

      E. Panini. Abbiamo fatto in meno di un mese qualcosa come 4.960 assemblee, con il 66% circa di quanti hanno votato - corrispondente ad alcune centinaia di migliaia di persone - che ha espresso un consenso rispetto all’ipotesi di accordo contrattuale; da quel 66% che si è espresso a favore come da quelli che non hanno votato o si sono espressi contro o per una qualche ragione non hanno partecipato, provengono alcuni interrogativi, un bisogno di capire che va soddisfatto. Da un lato c’è un contratto integrativo da fare, in modo compiuto, rapidamente e all’altezza delle aspettative che abbiamo messo in campo; dall’altro il bisogno di riflettere insieme sulle possibili applicazioni di questo istituto. Cosa valutare, come definire gli elementi che caratterizzano la professionalità? Innanzitutto parliamo delle cose sulle quali possiamo intervenire contrattualmente; ciò che non è materia di contrattazione, per esempio la libertà d’insegnamento ecc., sta da un’altra parte. Contrattualmente la professione docente è costituita da competenze disciplinari, pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali e di ricerca che si sviluppano e approfondiscono attraverso il maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio, di ricerca e di sistematizzazione della pratica didattica. Questo è il profilo che dà già un elemento di certezza. Ognuna di queste voci - ecco i pezzi, ecco le parti - va, su griglia nazionale, indagata punto per punto. L’esclusione di quelli che hanno il secondo lavoro mi sembra che sia, più che una pregiudiziale, una conseguenza del modello che scegliamo, sulla base di due considerazioni: uno, c’è una centralità oggi di una funzione che vogliamo riconoscere, che è l’insegnamento, due, una funzione complessa che non si esaurisce solo nel saper insegnare ma dentro ad una dimensione di relazioni che fanno della scelta di questo lavoro una scelta prioritaria.

      Sull’Osservatorio: se fosse quello che si paventa - un soggetto slegato dalle scuole che poi si intromette rispetto alle loro questioni - devo dire che per primo non sarei daccordo. L’Osservatorio va inteso come un luogo nel quale si esercita la dimensione della bilateralità fra le parti , quando si parla di risorse umane, di loro riconversione, di loro riqualificazione. Il senso dell’Osservatorio è questo, e non a caso la discussione è stata, durante la contrattazione, lunga e difficile proprio su questo punto.

      Circa la "carriera", si parlava prima di che cosa succede per chi viene bocciato. Non ci sono dei bocciati in questa procedura, che prevede solo una sanzione positiva, con almeno un 20% che accede a questo tipo di riconoscimento e con una verifica che è a tappe, su più segmenti, il curricolo e il parere del Comitato di valutazione nella simulazione ecc. ecc.

      A. Sasso. Per chi non accede si puo ipotizzare una graduatoria di scorrimento....

      S. Valentini. Il problema è del ventunesimo che ha tutti i requisiti ma non rientra....

      E. Panini. Non c’è una risposta a questa forma di penalizzazione , nel senso che si tratterebbe di garantire un aumento di risorse...

      S. Valentini. La risposta è che allora la commissione distingua tra chi ha titoli per accedere, e viene escluso perché mancano i soldi, e chi invece proprio non ha titolo.

      E. Panini. Io non vorrei che succedesse quello che inevitabilmente purtroppo succederà e cioè che noi assisteremo a un fenomeno inevitabile che è la spaccatura che ci sarà necessariamente tra coloro i quali vinceranno e riconosceranno la bontà dell’istituto, e l’80% che invece parlerà male dell’istituto in quanto escluso, perlomeno coloro i quali hanno partecipato; questo è nel conto. La divisione è nel conto, la frattura è nel conto. Per questo insisto nel trovare il punto di equilibrio tra i potenziali aspiranti: quanti sono quelli che vorrebbero avere i soldi? Tutti? Quanti sono coloro i quali si ritengono soggettivamente bravi insegnanti, che centrano la loro vita professionale sulla scuola? Il 30, il 40%, non di più?! Bisognerà trovare una risposta possibile per questa percentuale: allora il 20% non basta, la quota deve essere più alta, fino a raggiungere quel punto di equilibrio tra chi soggettivamente si sente bravo e la spesa stabilita.

      S. Toselli. Questo tipo di meccanismo è già iniquo in partenza, non tanto perchè il 20% può essere il 30%, perché più si allarga la base e più si dà la possibilità, più si incentiva... il premio ai meritevoli, come si diceva una volta per gli studenti. Il punto è che - e conosciamo tutti la realtà delle scuole - ci sono realtà assolutamente differenziate; per questo dico che è iniquo in partenza, per dover riconoscere per forza il 20% per ogni scuola. Perché non pensare a un meccanismo che in partenza non chiuda la possibilità di domanda a tutti quelli che in questa categoria pensano di potervi accedere. Ragioniamo tutti insieme tenendo conto del contributo che anche le associazioni possono dare...

      S. D’Ambrosio. Tutti gli insegnanti che hanno più di dieci anni e ritengono di essere bravi insegnanti possono fare la domanda....

      E. Panini. L’alternativa sarebbe procedere su base provinciale, ma c’è subito un’ulteriore considerazione: cioè, se è provinciale è per disciplina, per classi di concorso, noi dobbiamo garantire il 20%, da Religione a Lettere. Potrei capire l’angoscia, e lo dico positivamente, se questa fosse una tantum ma questo 20- 30%, connesso ai 1260 miliardi di questo contratto, è l’avvio di una procedura che entro il prossimo quadriennio contrattuale deve completarsi fino a esaurire la totalità degli aventi diritto.

       V. Di Pietra. Se si definisce il 20% per tutte le scuole, obiettivamente la griglia deve essere molto larga a livello nazionale. Se si fa una griglia ristretta molte scuole potrebbero non raggiungere neanche il 20% e questo non è una motivazione per voi che volete ottenere un rapporto tra aumento della professionalità e riconoscimento della professionalità speso all’interno di una scuola . Il rischio sarebbe, al limite, di assegnare questo 20% a scuole in cui non lo merita nessuno.

       E. Panini. Il ragionamento che fa Velia Di Pietra legittima anche il senso di una commissione provinciale, capace di equilibrio al suo interno, garantendo una omogeneità complessiva di valutazione.

      Chiudiamo con l’Europa. La proposta che noi abbiamo fatto dentro il contratto integrativo tiene conto di due modelli europei: quello dell’autovalutazione, profilo con griglia, e quello della verifica in situazione, sia essa la lezione simulata, sia essa la verifica in classe. Tenete conto che in diversi altri Paesi europei esistono forme più o meno apprezzate di "carriere", dal modello francese, concorsuale, con ciò che ne deriva per gli insegnanti che hanno superato questa prova, al modello finlandese che invece è tutto mirato sulla scuola; questi modelli sono in difficoltà, nel senso che ci si sta interrogando sulla loro validità e sull’eventuale necessità di riadattare questi modelli di valutazione ad una nuova dimensione dell’insegnamento. È un problema non solo italiano ma europeo se non oltre; perciò questa discussione ci serve in parte per l’articolo 29, ma anche per stare dentro ad una discussione di carattere europeo che riguarda tutti i Paesi, anche quelli che hanno consolidate forme decennali di valutazione, anche molto selettiva, del profilo degli insegnanti. Tra noi una parte di difficoltà derivano sicuramente dal fatto che è la prima volta che si mette in piedi un meccanismo di questa portata.

       

      Contratto nazionale di Lavoro

       Art. 29 - TRATTAMENTO ECONOMICO CONNESSO ALLO SVILUPPO DELLA PROFESSIONE DOCENTE

      1. E’ offerta l’opportunita di riconoscimento della crescita professionale nell’esercizio della funzione docente per favorire una dinamica retributiva e professionale in grado di valorizzare le professionalita acquisite con particolare riferimento all’attivita di insegnamento. Essa consiste nella possibilita per ciascun docente, con 10 anni di servizio di insegnamento dalla nomina in ruolo, di acquisire un trattamento economico accessorio consistente in una maggiorazione pari a £ 6.000.000 annue. Il diritto a tale maggiorazione matura a seguito del superamento di una procedura concorsuale selettiva per prove e titoli attivata ordinariamente nell’ambito della provincia in cui Ë situata la scuola di titolarita. La maggiorazione ha effetto in tutte le posizioni stipendiali successive, salvo esito negativo delle valutazioni periodiche di cui al comma 3.

      2. Alla maggiorazione di cui al comma 1 potra accedere almeno il 20% del personale di ruolo al 31 dicembre 1999 e comunque un numero di destinatari del beneficio economico da determinare in sede di contrattazione integrativa nazionale sulla base delle disponibilita di cui all’articolo 42, comma 3. Subordinatamente all’acquisizione di ulteriori risorse rispetto a quelle indicate all’art. 42, comma 3, la percentuale dei percettori della maggiorazione retributiva di cui al presente articolo potra essere aumentata fino al 30% del personale di ruolo alla stessa data del 31 dicembre 1999. La decorrenza della maggiorazione Ë fissata al 1∞ gennaio 2001.

      Con le stesse procedure si provvedera, a cadenza biennale, alla reintegrazione delle predette quote percentuali. A tal fine, le procedure saranno avviate, in ciascuna provincia e per posti o per raggruppamenti di cattedra individuati per aree disciplinari omogenee, secondo i seguenti criteri:

      1. la procedura si articola nella valutazione del curricolo professionale e culturale, debitamente certificato, e in prove riguardanti la metodologia pedagogico - didattica e le conoscenze disciplinari, da svolgersi anche mediante verifiche in situazione;
      2. i contenuti delle prove ed i criteri per la costituzione delle commissioni giudicanti sono definiti dal Ministro della Pubblica Istruzione, sentito il Consiglio Nazionale della P.I.;
      3. la procedura può prevedere momenti formativi da realizzare eventualmente in collaborazione con l’Università e con l’impegno dell’Amministrazione ad offrire opportunita distribuite sul territorio.

      3. La contrattazione integrativa nazionale fisserà le procedure concorsuali, gli ulteriori criteri operativi della selezione di cui al presente articolo, e disciplinerà le modalità delle valutazioni periodiche necessarie per conservare il diritto alla maggiorazione anche nelle posizioni stipendiali successive.

      4. Entro il 30 giugno 2001, le parti si incontreranno per esaminare, anche ai fini del successivo rinnovo contrattuale, l’esperienza applicativa della presente normativa sulla base dei dati forniti dal Ministero della Pubblica Istruzione su richiesta dell’ARAN.