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    mensile del centro di iniziativa democratica degli insegnanti

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      Mediascuola - La scuola non deve arrendersi - di Enrico Menduni
      Il rapporto tra la scuola e i media non è sempre facile. Taluni insegnanti scelgono di non degnare della loro attenzione il fatto che i loro alunni, dalla materna al liceo, trascorrano ogni giorno un tempo significativo davanti ai media domestici, principalmente televisione e radio. Altri liquidano questa esperienza mediale, che non condividono, con poche battute critiche talvolta sprezzanti. È possibile cogliere in queste reazioni la gelosia per un mondo mediale che attrae a sé molti ragazzi, diventa parte fondante della loro conoscenza del mondo e contemporaneamente li distrae dalla scuola e da ciò che essa cerca d'insegnare, proponendo altri linguaggi e altre forme culturali in cui l'insegnante individua bassa qualità, commercializzazione, volgarità.
      In molti insegnanti però c'è un gran desiderio di comprendere meglio: in parte per capire ciò che attrae i propri alunni, un po' per la curiosità di conoscere forme di espressione diverse senza accontentarsi di una distinzione logora tra cultura "alta" e "bassa", e forse anche perché si ha la sensazione che questa esperienza mediale copra aree della socializzazione a cui la scuola non dà, o non dà più, una risposta efficace. Questa rubrica cercherà - se ci riuscirà - di fornire qualche elemento per rispondere o per porsi nuove domande.
      La prima riflessione che vorremmo proporre riguarda il ruolo della lettura e della scrittura (dell'alfabetizzazione) nell'insegnamento. L'alfabetizzazione è il prerequisito per poi imparare ogni altra cosa; ma leggere e scrivere non è intuitivo, non è facile, a meno che non si abbia accanto qualcuno che ci aiuti. È una conoscenza che ha bisogno di un mediatore. La società riconosce questa necessità e istituzionalizza un'agenzia apposita, la scuola, il cui compito è portare i bambini verso l'alfabetizzazione e poi, una volta raggiunta questa, a tutte le mete ulteriori. Essa è l'istituzione specializzata in questo compito fondamentale per la riproduzione sociale, e ad essa sono riconosciute una competenza ed una autorità in merito. Il libro ha in questo paradigma un valore formale e simbolico unico: è lo strumento della conservazione e della trasmissione di quel sapere.
      Nel corso del nostro secolo però si sono progressivamente diffuse forme di conoscenza che non hanno bisogno dell'alfabetizzazione né di libri o giornali.
      La fotografia, il cinema, il disco prescindono totalmente dall'alfabeto. Di esse può usufruire anche un analfabeta; esse recuperano, piacevolmente, una forma di percezione basata su immagini e suoni e non su segni convenzionali (lettere e numeri) da decodificare; non si avverte il bisogno di un operatore specializzato che insegni ad usarle.
      La radio e la televisione hanno moltiplicato l'importanza di queste pratiche, collocando nella vita domestica un terminale che diffonde continuamente un flusso di suoni e di immagini avvertite come del tutto gratuite, molto seducenti, accessibili anche ai bambini. Esse richiedono solo in parte uno stanziamento di tempo ad hoc perché sono sovrapponibili a molte operazioni della vita domestica di cui entrano a far parte.
      Ciò non costituisce necessariamente un male o un pericolo o una forma di degradazione culturale. Certo la televisione, per qualità e quantità, per la sua pervasività e per il suo collocarsi dentro il domicilio, lontana dalla sfera pubblica, e per il fatto che di essa il bambino comincia ad usufruire quando ancora non va a scuola, costituisce per la prima volta una forma di socializzazione non alfabetica, paratattica e non sintattica, basata sull'immagine in movimento, veramente senza né padri né maestri, ma rivolta piuttosto al gruppo dei pari, che tralascia una trasmissione verticale e libraria del sapere; oltre a svalutare la presenza di un "educatore autorizzato" come l'insegnante.
      Di fatto i media offrono una forma di socializzazione in concorrenza con quella fornita dalla scuola, che si presenta come "facile" e "paritaria" perché evita gli scogli della scrittura e della memoria, non richiede applicazione e fatica, presenta un mondo più luccicante, patinato, avvincente di quello che la scuola può presentare. Finché la radiotelevisione è stato un monopolio di Stato, esso ha costituito un apparato para-pubblico, improntato ad un ideale pedagogico, e quindi più complementare che competitivo rispetto alla scuola (anche perché anch'essa apparato pubblico, e "cane non mangia cane"). Ma l'irrompere della concorrenza privata ha reso necessaria la conquista del più largo pubblico, bambini compresi, senza andare tanto per il sottile. La scuola deve comprendere che la concorrenza è oggettiva. Deve conoscere e studiare il suo concorrente (e cerchermo di farlo nei nostri prossimi appuntamenti); ma non arrendersi, perché il valore della trasmissione intergenerazionale di una conoscenza complessa non è affatto ridotto dalla modernità, anzi è esaltato dal più elevato tenore culturale e tecnologico delle scelte.