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Terra incognita
di Maria Pinzani Tanini

L'interdipendenza che ci attende o piuttosto attende le prossime generazioni è quasi "terrificante". Il giudizio non è nostro, ma emerge con grande forza di convinzione nel saggio di Edward W. Said, Culture et imperialisme. Non dobbiamo stupirci di condividere tesi che erano già state enunciate dallo stesso Said più di venti anni fa con il suo saggio sull'orientalismo che aveva aperto finalmente un'interpretazione critica e radicale sulla "dominazione" occidentale del mondo.
È proprio da questo nostro passato di dominio che dovremmo riprendere un dibattito che si anima solo quando i grandi della Terra si riuniscono per configurare il futuro del mondo a loro immagine e somiglianza.
In realtà è bene sia chiaro ai nostri occhi che mai come negli anni che viviamo la Terra è stata più incognita  nel senso che nessuno sembra più possedere una bussola (che non sia quella del puro economicismo) sia sul piano intellettuale che filosofico, etnico e persino immaginario.
«Centinaia di milioni di persone, il cui numero e le cui speranze sono senza precedenti - si legge in Said (pag. 455 del libro citato)- vogliono poter nutrirsi meglio e più spesso. Centinaia di milioni vogliono anche viaggiare, esprimersi, cantare, vestirsi. Poiché i vecchi sistemi non possono rispondere a queste esigenze, le gigantesche immagini che ci vengono dai media, che scatenano la violenza di Stato e il furore xenofobo, non serviranno a niente. Hanno un effetto momentaneo, e poi perdono la loro forza di mobilizzazione. Ci sono troppe contraddizioni tra quegli schemi riduttivi e le spinte irresistibili che ci provengono da quei popoli».
Ci sembra che il compito maggiore che ci attende o attende i nostri giovani sia quello, immane, di armonizzare i capovolgimenti attuali e le attuali prospettive economiche e socio-politiche alla sorprendente prospettiva di un “interdipendenza” umana mondiale.
Secondo Said l'educazione sarà il solo strumento capace di creare questa nuova coscienza critica che potrà permettere agli studenti occidentali di orientarsi in una geografia diversa, in cui accanto agli elementi culturali che formano la propria identità, la propria storia, le proprie tradizioni, le proprie specificità, si trovino naturalmente altre identità, altri popoli e altre culture. Studiare come, nonostante le differenze, tutti questi aspetti si siano sempre sovrapposti, attraverso un'influenza reciproca:  le frontiere sempre più labili, l'integrazione, i ricordi, l'oblio deliberato e, ovviamente, i conflitti.
C'è oggi accordo generalizzato almeno su due questioni fondamentali: la salvaguardia delle libertà individuali e l'ambiente terrestre da difendere, ma le strategie per raggiungere questi obiettivi sono ancora una volta avvolte nel mistero o mistificate da una logica che possiamo definire imperialista.
Eppure democrazia ed ecologia, che sono concretamente legate a specifici contesti e si giocano spesso in determinate battaglie locali, non possono più prescindere da una prospettiva cosmica.
«Il fatto - è ancora E. W. Said che parla - è che siamo legati gli uni agli altri a un livello tale che la maggior parte dei sistemi nazionali dell'educazione non ha mai preso in considerazione, neppure in sogno. Adeguare il sapere umanistico e scientifico a questo contesto reale d'integrazione costituisce la sfida culturale e intellettuale dell'ora presente».
Non possiamo infatti non accorgerci che questa prospettiva si sta affermando nel quadro politico mondiale. A causa, tra l'altro, di questo grave ritardo occidentale nel prendere atto dei disastri dell'imperialismo nei due secoli appena trascorsi (nelle forme pur profondamente diverse ch'esso ha assunto) dobbiamo contare su un bilancio altamente negativo, un numero di rifugiati, di emigranti,di persone trasferite, esiliate che non ha avuto precedenti nella storia.
«Ma nessuno oggi è più questo o quello, indiano, donna, musulmano, americano, queste etichette non sono che punti di partenza (...) L'imperialismo ha agglomerato a livello planetario innumerevoli culture e identità. Ma il peggiore e il più paradossale di questi doni è stato quello di lasciar credere ai popoli ch'erano solo, essenzialmente, essenzialmente Bianchi, Neri, Occidentali e Orientali.
(...) Non dobbiamo cercare di dominare tutto questo, di etichettare, di gerarchizzare questi "altri" e soprattutto dobbiamo smetterla di ripetere che la "nostra" cultura, il nostro "Paese" sono i primi. L'intellettuale ha abbastanza lavoro serio davanti a sé per dimenticare queste classificazioni.»
E noi siamo con Edward W. Said.

numero 10/2001


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