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Riconvocata la Commissione De Mauro.
Non si parte da zero*

di Alba Sasso

Utilizzare e valorizzare quanto in questi anni le scuole, singoli insegnanti, associazioni, istituti di ricerca, docenti universitari, hanno elaborato e prodotto sul terreno del rinnovamento didattico e culturale della scuola.

«Non si parte da zero. Il lavoro che questa Commissione ha di fronte non parte da zero. Già nella prima fase di attività molto è stato scritto e molto si è discusso sull’impianto curricolare, già sono state presentate ipotesi di curricoli verticali per alcuni ambiti. Ma, soprattutto, non si parte da zero perché la Commissione potrà fare riferimento a un patrimonio di esperienze realizzate da moltissime scuole e da singoli insegnanti, a una ricerca didattica e disciplinare condotta in questi anni da riviste scolastiche, associazioni professionali e disciplinari, istituti di ricerca, università. Risulterà essenziale e decisivo riuscire a valorizzare e a far contare in questo difficile e complesso cammino questa sapientia e questa esperienza. Perciò bisognerà ritrovare i modi, già in questa fase, di una comunicazione, e rendere stabile un collegamento tra ricerca nella scuola e ricerca sulla scuola. Affinché, poi, tutto questo possa ritornare a essere sapere della scuola, pratica quotidiana.

Dal programma al progetto
È certo  la scommessa più difficile quella di  riuscire a dare alle scuole indicazioni, indirizzi, contenuti essenziali perché poi esse siano in grado di costruire i loro curricoli, i loro percorsi coerenti nella scelta di contenuti, metodi, obiettivi e verifiche. Certo, molte già lo fanno, moltissime devono imparare a farlo.
È qui l’equilibrio difficile fra i tre “lati” del curricolo: indirizzi nazionali, contesto, esigenze di apprendimento. Per quello che a noi compete ci chiediamo: come si passa dalla scuola del programma alla scuola del curricolo senza perdere il riferimento, lo sfondo di quel  patrimonio di conoscenze e valori, che ogni società ha il compito di consegnare alle generazioni che si succedono e che costituisce l'identità culturale del Paese, della sua storia, delle sue prospettive di futuro, proprio perché  riesce a raccontare di quali trame, di quali domande e aspirazioni comuni, di quali interpretazioni esso sia fatto.
Qui ci sono alcune questioni già poste dal documento dei saggi che dovranno essere riprese nel percorso che si sta aprendo.

Finalità forti della scuola
Nel documento finale dei saggi si ragionava delle finalità forti della scuola: formare alla cittadinanza, costruire identità a partire dalle differenze; sappiamo come oggi, rispetto alle continue trasformazioni della società, all’allargarsi e al restringersi continuo dei territori dello spazio e del tempo, questi temi assumano una connotazione sempre più ricca e storicamente complessa.

Scuola come luogo di riordino dei saperi
In quel documento si ribadiva, inoltre, la funzione della scuola come luogo di «riordino delle istituzioni dei saperi», sorretto però da un costante impegno di «ricerca e di proposizione». Sappiamo come oggi sia difficile ripensare a una mappa dei saperi necessari, che parta sì dalle discipline che, per dirla con Gardner, «comunque rappresentano gli esiti migliori dei nostri sforzi di pensare il mondo in maniera sistematica», ma non resti prigioniera di vecchie e obsolete frantumazioni e compartimentazioni del sapere; che sappia, insomma, ricostruire un credibile quadro d’insieme e comunque dichiari sempre i criteri e la motivazione storica e contingente delle scelte.
Altrimenti correremmo il rischio di difendere singoli corporativismi disciplinari o di accrescere il quadro sinottico dei saperi scolastici: «Un’ora di più di……»

Mettere al centro l’apprendimento
Il documento dei saggi sottolineava la necessità di mettere al centro l’apprendimento. Occorre cominciare - nel costruire i curricoli verticali - a ragionare del rapporto tra esperienza, discipline, apprendimento, a individuare nuove scansioni, a capire, per esempio, come conoscenze necessarie per tutti diventino, a un certo momento del percorso conoscitivo, sapere di approfondimento per alcuni. Nel costruire allora programmi, linee di lavoro, percorsi possibili bisognerà fare i conti con la tradizione tutta culturalista e tutta descrittiva delle discipline della nostra scuola, ripensare criticamente a tradizionali e non più motivate compartimentazioni dei saperi. Nel costruire i programmi si è sempre partiti da quanto ogni corporazione disciplinare ha ritenuto indispensabile che in essi ci fosse; oggi occorre ragionare di curricoli verticali che riescano a fare i conti con le culture, l’esperienza, il modo di apprendere delle bambine e dei bambini, delle ragazze e dei ragazzi, occorre saper costruire il percorso scolastico come continuo e reciproco passaggio dalla problematicità dell’esperienza alla conquista del mondo organizzato delle conoscenze. Ma per riuscire a fondare e a costruire sapientia come capacità di ricerca, a partire dalla conoscenza del presente e dalla memoria del passato, occorre allora ridefinire i confini delle discipline; anche qui però con saggezza ed equilibrio: non si può rinunciare a entrare negli oggetti, nella sintassi e nei linguaggi formalizzati delle discipline.

Scuola che si confronta
Il documento dei saggi faceva inoltre riferimento a una scuola che si confronta con i linguaggi, con le più ampie dimensioni del sapere, con la cultura del lavoro, con le tecnologie come veicoli per l’apprendimento, come ambienti significativi di esperienza e conoscenza.

Traguardi irrinunciabili
Infine, il documento dei saggi ribadiva che le discipline di studio vanno pensate come orizzonti di significato, che l’istruzione non può essere enciclopedica e che si deve sviluppare una modalità di organizzazione della stesura dei programmi, che preveda l’indicazione dei traguardi irrinunciabili e una serie succinta di tematiche portanti.

L’impianto culturale del nuovo sistema formativo
L’esternalizzazione della memoria, la quantità di intelligenza o di silenzio presente nelle reti, l’idea insomma della traduzione del mondo in un problema di codifica o decodifica, ci può tranquillizzare o impaurire allo stesso tempo, può disegnare immagini di descolarizzazione assoluta, ma non può sottrarci alla responsabilità di fare delle scelte. Di costruire un progetto educativo che ci esoneri certo dalla prepotenza di un principio gerarchico e ordinatore della cultura e del sapere, ma che sappia ragionare allo stesso tempo di conoscenze, di valori, di identità.
 Ma per costruire una cultura per il cambiamento, per ragionare di un sapere che sappia collocarsi tra complessità e convenzionalità delle forme della conoscenza e domanda di senso, dobbiamo anche confrontarci con «le grandi tensioni della contemporaneità»:
- la sfida della multiculturalità, la capacità di vivere il cambiamento senza voltare le spalle al proprio passato;
- l’esigenza di conciliare l’espansione straordinaria delle conoscenze con l’impossibilità degli esseri umani di assimilarle, la necessità di costruire legami tra memoria biologica e memoria artificiale.
Dobbiamo riflettere su che cosa voglia dire, dunque, produrre oggi conoscenza in una scuola che vive nella società della moltiplicazione dei codici e degli alfabeti, dell’incontro/scontro tra culture, del veloce sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e del costante ridefinirsi del sapere tecnologico. Vuol dire forse ridisegnare confini di un sapere semplice, ma non semplificato (poche cose, ma fatte in profondità) ; di un sapere utile nel tempo perché sfugge all’obbligo dell’utilità immediata, dell’immediata spendibilità; di un sapere che sappia confrontarsi con la contemporaneità senza perdere lo spessore della memoria; di un sapere che sappia fare i conti con le nuove esigenze di conoscenza e di approcci problematici quali richiede una moderna cittadinanza; di un sapere che permetta a ognuno di affrontare il mondo; di un sapere, però, che, per poter essere condiviso, dichiari sempre  i suoi perché,  sveli  i suoi percorsi e le sue ‘finzioni’.

Le grandi coordinate del sapere e del saper fare
Le grandi coordinate di un sapere e un saper fare dei nostri tempi non possono allora che essere:
- il possesso e la capacità d'uso della lingua e la capacità di padroneggiare i linguaggi. Se è vero che resta centrale l’obiettivo della padronanza del linguaggio verbale, del codice scritto e orale - che rimane comunque lo strumento privilegiato della capacità di comprendere, analizzare, interpretare - è vero anche che occorre frequentarne tutte le possibilità espressive per saper vivere con passione e competenza nel patrimonio letterario artistico e culturale delle civiltà contemporanee e di quelle passate. Ma una scuola che si apre al mondo deve riuscire a confrontarsi con la molteplice ricchezza dei linguaggi: quelli audiovisivi e multimediali; e così anche con i suoni, il movimento, i colori, le immagini che entrano ormai con forza nella nostra vita, che sono lo sfondo costante della vita delle nostre bambine e dei nostri bambini, delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi;
- l’acquisizione del senso della storia: riconoscere la dimensione storica del presente e insieme rendere contemporaneo il passato, senza smarrire la percezione della distanza e della diversità, comprendere il passato mediante il presente, diceva Bloch; rafforzare lo spessore di una memoria collettiva che si va sempre più appannando e che rischia di divenire oggi fragile e incerta dietro l’incessante incalzare della ricerca del nuovo. Vivere in un presente senza storia rischia di sollecitare la ricerca dei valori rassicuranti delle identità minime: il locale e le appartenenze di gruppo. In un mondo in cui i giovani sembrano capire sempre meno in che spazio e in che tempo vivono, forse occorre   ripartire dalla memoria, ragionare della molteplicità delle prospettive,  saper  problematizzare il passato  per costruire la fiducia nella possibilità  di intervento nel presente;
- la dimensione dell’operatività: saper fare con quello che si sa, saper usare le conoscenze, il saperle connettere e contestualizzare;
- la padronanza del sapere scientifico e tecnologico, la capacità di rapportare il suo contenuto storico culturale con quello logico-empirico dell’impresa scientifica, con i suoi fondamenti, i suoi presupposti non sempre esplicitati.
Insomma, un sapere per acquisire conoscenze, competenze, consapevolezza, responsabilità; un sapere abilitante,  ma un sapere che sappia destare anche passione e meraviglia.

Discipline sì, discipline no
Che cosa vuol dire oggi essere cittadine e cittadini istruiti? Sappiamo bene che il sapere non può essere definito una volta per tutte - come illusoriamente  in passato si è pensato potesse avvenire - che oggi si costruisce a partire dalle esperienze e dalle storie di ognuna e ognuno, che deve avere come obiettivo quello di moltiplicare le prospettive conoscitive e di fornire chiavi di interpretazione della realtà.
Di fronte a una sempre maggiore integrazione di campi di ricerca, linguaggi, concetti, metodologie come  cambia il " sapere insegnato"?

  • C’è in primo luogo un  problema di contesto conoscitivo: l’impossibilità di tenere rigidamente separati i confini delle discipline, separatezza che non esiste in natura ma nella cultura scolastica sì;
  • un problema di approccio alla conoscenza:  nello studio di una disciplina scientifica conta certo la capacità di riconoscere e nominare oggetti e fenomeni, ma soprattutto conta - come dice Tagliagambe - quella di individuare problemi, formulare ipotesi, interpretare, progettare osservazioni ed esperimenti, padroneggiare concetti; e, forse, proprio un  approccio che metta in moto meccanismi appassionanti di ricerca e  scoperta trasforma in memoria, in sapere posseduto, in competenza, quanto si è appreso;
  • un problema storico-epistemologico: in che modo si possono intrecciare presupposti, teorie, fondamenti e dimensione storica processuale, contestuale della conoscenza; spiegazione storica e spiegazione scientifica? Per esempio, nel percorso della scienza, o dell’arte, o del pensiero filosofico, o della poesia, quali sono i fatti e gli eventi, i cambiamenti, le scoperte, che segnano fratture e aperture?
  • un problema di contenuti: come individuare quelli essenziali e irrinunciabili, quelli più significativi culturalmente e più idonei a sviluppare la capacità di apprendere?
Infine, essere istruiti non significa anche “governare”, di una conoscenza, le interdipendenze con le altre discipline, le implicazioni storiche sociali e politiche, le etiche soggiacenti?
Ecco, se pensiamo che la scuola debba abituare al ragionamento e alla consapevolezza, a praticare il dubbio e la curiosità, a collegare l’esperienza alla riflessione, a sviluppare criticità ma anche a costruire un senso di sé e del mondo, ci sono discipline, intrecci tra discipline e, all’interno dei campi disciplinari, contenuti, approcci, concetti più fecondi di altri.
Tutto questo non presuppone che si superi quella divisione tra cultura umanistica e cultura scientifica, nata nel secolo XIX e che ha percorso tutto il secolo XX? Può esistere una cultura umanistica, una “scienza dell’uomo”, incapace di alimentarsi dei messaggi, concetti, acquisizioni che derivano da un procedere della ricerca scientifica (neuroscienze, biologia, genetica…) che sempre più affronta argomenti intimamente legati alle domande essenziali della vita? E può esistere una cultura scientifica incapace di pensare i “problemi umani e sociali che pone”?
Problemi troppo complessi per i tempi brevi della Commissione; tuttavia non dobbiamo qui riaffrontare questi temi quanto avere questo dibattito come sfondo. Tuttavia su tutto ciò, in conclusione, ribadisco: non si parte da zero.
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* Dopo l’approvazione da parte di Camera e Senato - secondo quanto previsto dalla legge 30/2000 - del Piano quinquennale per l’attuazione della riforma dei cicli scolastici messo a punto (giugno-settembre 2000) dalla Commissione di esperti nominata dal ministro De Mauro, si è passati, a fine dicembre 2000, alla seconda fase dei lavori, la più impegnativa e complessa in quanto - definiti i criteri generali – è stata affidata alla Commissione il compito di indicare modalità e contenuti (curricoli, traguardi – parziali e finali - , tematiche portanti, criteri di valutazione, formazione docenti ecc.) per dare concretezza alla riforma. Tale compito è reso ancor più complesso a seguito dell’indicazione, ribadita dal Parlamento, di far partire la riforma nelle prime due classi del ciclo di base già dal prossimo settembre 2001 e nella prima classe del secondo ciclo dal 2002 . La Commissione, convocata in giugno per la I sessione, è stata allargata in occasione dell’attuale II sessione ad altri esperti. Sui compiti della Commissione pubblichiamo qui, per esteso, l’intervento tenuto da Alba Sasso – facente parte del Comitato di coordinamento della Commissione stessa – nella seduta plenaria che ha segnato la ripresa dei lavori.

numero 2/2001


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