insegnare
    mensile del centro di iniziativa democratica degli insegnanti

      il sommario - l'archivio - la redazione - gli abbonamenti

      I limiti di una mediazione (forse non conclusa) - di E.T.

      Siamo stati colti in contropiede. Obbligati dalla pausa estiva e dai tempi di stampa piuttosto lunghi a chiudere anzitempo il numero scorso di "Insegnare" - alla vigilia del voto al Senato sulla legge di parità - ci è sembrato opportuno, in quella circostanza, riproporre all’attenzione dei lettori l’articolato che la Commissione VII, Cultura e Scuola, coordinata dal sen. Biscardi, al riguardo aveva predisposto: quel testo raccoglieva le indicazioni di ben 11 proposte di legge di varie parti politiche, compreso un disegno di legge del governo, e i pareri di numerose associazioni, gruppi, esperti espressi in decine e decine di audizioni. Un impegnativo lavoro di analisi durato due anni sui vari aspetti della questione (storici, giuridici, costituzionali, parlamentari) aveva accompagnato tale attività.

      A quei primi tre articoli del nuovo testo di sintesi (vedi "Insegnare" n. 7-8/99, p.29) ritenevamo perciò che si sarebbe richiamata la maggioranza, costretta un po' a sorpresa dal Polo, il 21 luglio scorso, a misurarsi in aula al Senato sulla parità, (Polo che, nel frattempo, aveva presentato in materia un suo nuovo disegno di legge a firma di Taralli, Ronconi, D’Onofrio e altri). Così non è stato. Un testo diverso, concordato in tutta fretta tra i vertici della maggioranza, privo perciò di adeguato confronto con l’esterno, è stato presentato sotto forma di maxiemendamento, sostitutivo in pratica dell’intero disegno di legge del Polo. Quell’emendamento è stato approvato a maggioranza non senza qualche esplicito dissenso (la vicepresidente del Senato Ersilia Salvato) e, qua e là, alcune astensioni (specie tra i popolari). Sintomatico anche il tono degli interventi a sostegno della proposta del centrosinistra, generalmente critici su vari aspetti del provvedimento anche se conclusi, sistematicamente, con formali dichiarazioni di voto a favore.

      Il confronto tra chi auspicava una parità da intendersi come equipollenza di trattamento scolastico per gli alunni - secondo Costituzione - e chi invece, con evidente forzatura, come riconoscimento di un sistema integrato comprendente sia scuole pubbliche sia private, con il provvedimento votato al Senato è sembrato essersi in parte attenuato. La mediazione raggiunta tuttavia non ha eliminato le critiche su entrambi i versanti: voci autorevoli del mondo cattolico ("Avvenire" e, più recentemente, la Cei: "netto arretramento") lamentano il fatto che non si siano accolte a pieno titolo le scuole cattoliche nel sistema pubblico nonché la scarsità dei finanziamenti previsti; il ministro Berlinguer avrebbe parlato di un "primo passo", non si sa bene se verso un più esplicito riconoscimento delle scuole private nel sistema pubblico, subito contraddetto però da chi nel suo stesso partito si occupa attualmente di quel settore.

      In molti ambienti del mondo laico e democratico si guarda con preoccupazione al provvedimento che presenterebbe non pochi elementi di incostituzionalità: "sistema scolastico nazionale" - si afferma - è un concetto diverso da "ordinamento scolastico"; il primo implica un’organica strutturazione di una pluralità di elementi che hanno regole comuni preordinate alla realizzazione di un fine comune - cosa che non è per scuole pubbliche e private - mentre il secondo è descrittivo delle diverse tipologie di scuole previste dalla normativa vigente: la formula approvata, dunque, rappresenterebbe un primo passo volto a riconoscere alle private la stessa funzione pubblica delle scuole statali, un modo per introdurre surretiziamente un sistema integrato. Inoltre, così formulata, la legge votata al Senato, più che dettare regole per le private, ridefinirebbe impropriamente l’intero sistema scolastico nazionale.

      Un’altra contraddittorietà - secondo le critiche più ricorrenti - nascerebbe dal fatto che nel testo votato, mentre si riconosce alle scuole private lo svolgimento di un servizio pubblico, si afferma che ad esse accedono coloro che "accetteranno il progetto educativo" che può avere "ispirazione di carattere culturale o religioso". Una scuola ‘di tendenza’ può essere aperta a tutti? Aperta al pluralismo, alla libertà di insegnamento e di apprendimento? Può, insomma, svolgere un servizio pubblico, cioè per tutti?

      Circa il riconoscimento della parità, inoltre, il provvedimento votato al Senato si limiterebbe ad attribuire al ministro della P.I. la competenza relativa all’accertamento dell’originario possesso e della permanenza dei requisiti per la parità senza tuttavia nulla definire in concreto; il procedimento e le garanzie per il regolare esercizio di tale attività non sono indicati; la legge conferirebbe perciò al ministro della P.I. ampia discrezionalità in una materia che attiene alle libertà.

      Circa il diritto allo studio, se positivo è il criterio di uguaglianza per tutti gli alunni, sia delle scuole pubbliche sia delle private, risulterebbe invece ambigua l’ultima parte della norma laddove si afferma che "risultano fermi gli interventi di competenza di ciascuna Regione in materia di diritto allo studio": si dovrebbe almeno precisare - si osserva - "nel senso che restano fermi gli interventi adottati dalle singole Regioni in quanto compatibili con i principi affermati dalla legge in questione e che in ogni caso non possono essere previste differenziazioni tra alunni delle scuole private e quelli delle scuole pubbliche", come invece è previsto in numerose leggi regionali (Emilia Romagna, Lombardia, Friuoli ecc.).

      Per quanto riguarda poi il contributo statale alle elementari parificate e alle materne non statali, che la legge accresce di £.347 miliardi, per complessivi oltre 900 miliardi l’anno, esso è chiaramente in contrasto - si afferma - con la Costituzione, secondo cui le scuole private possono essere liberamente istituite ma "senza oneri per lo Stato".

      C’è dunque materia per discutere. Tra l’altro, il provvedimento trasmesso alla Camera, contrariamente a quanto previsto, non andrà subito in aula poiché il Polo ne ha chiesto la discussione preventiva in Commissione. Si allungano dunque i tempi dell’iter parlamentare e aumentano le occasioni (o i rischi) di ulteriori cambiamenti.

      numero 10/'99