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I docenti e l'autonomia scolastica
di Sofia Toselli

Sommario: La “questione degli insegnanti” può trovare soluzione in un’interpretazione autentica dell’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo e non in scelte, di fatto corporative, che non rafforzano e non qualificano la categoria docente.

Le innovazioni e le riforme che stanno trasformando il nostro sistema di istruzione ripropongono con urgenza la questione degli insegnanti e la necessità di riflettere su come rivisitarne ruolo, funzione, profilo professionale.
Oggi, sempre più si sente il bisogno di  insegnanti non genericamente bravi ma di   professionisti  eticamente  responsabili, autorevoli, colti, capaci di autonomia progettuale;
 in grado  di:

- governare e regolare, in ogni situazione, l'azione didattica;
- scegliere percorsi culturali adottando strategie didattiche coerenti con gli obiettivi di apprendimento;
- valutare l'efficacia dei percorsi  realizzati;
- riflettere sul lavoro che svolgono, fare ricerca, sperimentare;
- lavorare e  confrontarsi con  altri colleghi;
- negoziare con  soggetti anche  esterni alla scuola;
- aggiornarsi continuamente.
Non c’è dubbio allora che, se sono questi i tratti  caratterizzanti il "mestiere", la conseguenza dovrebbe essere quella di considerare gli insegnanti professionisti della conoscenza e dell’insegnamento-apprendimento.
Rafforza questa considerazione l'articolo 6 del Regolamento dell'autonomia, sul quale ancora  troppo poco si è ragionato: le Istituzioni scolastiche, singolarmente o tra loro associate, esercitano l'autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo …
Infatti, l'attribuzione dell'autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di fatto, consegna alle scuole due elementi di straordinaria importanza:
  1. le Istituzioni scolastiche vengono riconosciute come  centri   di ricerca in materia  di innovazione metodologica, disciplinare e didattica, e come sedi di progettazione formativa. In altre parole, le scuole non possono  essere  considerate terminali di decisioni prese in altre sedi, luoghi di trasmissione di conoscenze secondo programmi rigidamente fissati. Alle scuole e agli insegnanti viene ora  riconosciuto un ruolo centrale,  strategico e autonomo nelle decisioni e nelle scelte.
  2. le Istituzioni scolastiche sono  riconosciute come il contesto  scientifico di riferimento relativo al sapere scolastico e gli insegnanti  gli esperti di tale sapere.
Formalmente si dichiara che il sapere scolastico ha una sua  “dignità” e “specificità”.
Si riconosce, insomma,  che le  discipline - il cui contesto scientifico di riferimento è senza dubbio l’Università - quando entrano nella scuola e diventano materie acquistano una loro "autonomia".
Gli insegnanti sanno infatti che i contenuti disciplinari per essere formativi e produrre apprendimento devono intrecciarsi con l'esperienza e le motivazioni di bambine e bambini,  di ragazze e ragazzi, con i loro ritmi e stili di apprendimento,  con gli obiettivi che si vogliono raggiungere, con metodi efficaci di insegnamento. Ed è solo dall’incontro e dall’equilibrio che si riesce a stabilire  fra  questi elementi e il sistema organizzato delle conoscenze,  che  il “sapere”, dentro la scuola,  può diventare apprendimento per tutti.
 Saper insegnare richiede perciò una professionalità specifica che non si improvvisa né si costruisce in astratto:  è il risultato di un  faticoso cammino  che può essere percorso solo  nella scuola, in un confronto fra pari che hanno in comune progetto, interessi, obiettivi.
Certamente la scuola - perché la  ricerca  non diventi  autoreferenziale e la riflessione non sia di breve respiro - avrà bisogno di confrontarsi, in altre sedi, con gli altri soggetti della ricerca in un organico, costruttivo, paritario rapporto.

La Formazione in servizio come progressione dell’autonomia scolastica
Allora per dare concretezza alle intenzioni  andrebbero  definiti - anche in vista del prossimo contratto di lavoro - spazi, tempi, funzioni che rendano praticabile dentro le scuole e fra le scuole del territorio, il confronto continuo sull'azione didattica, la riflessione sul lavoro che si svolge, la messa a punto della sperimentazione.
E andrebbero resi coerenti, con il profilo che si vuole costruire, scelte politiche e atti legislativi e regolamentari, per esempio, in fatto di reclutamento, di prima formazione, di formazione in servizio, di articolazione e valorizzazione del lavoro.
Per quanto riguarda il reclutamento,  non si può più pensare che sotto la spinta delle emergenze, per ritardi ed esigenze - anche legittime - vengano immessi nella scuola insegnanti non qualificati. La professione dell’insegnare deve scaturire da un sistema organizzato efficacemente che abbia come obiettivo la qualità.
Ma anche la prima formazione andrebbe ridefinita al più presto, guardando gli interessi generali della scuola, e a partire da alcune domande: qual è la scuola che vogliamo,  a che cosa e a chi deve servire;  quindi: quale identità professionale corrisponde meglio alle nuove finalità e ai nuovi bisogni del sistema. Servono insegnanti con competenze disciplinari forti, come nelle altre professioni, oppure no? E quali altre competenze sono necessarie per insegnare?
Una cosa però dovrebbe essere scontata: qualunque sia la scelta del  percorso, la formazione dei docenti deve concludersi  “in situazione”, sotto la guida di chi realmente  padroneggia gli “attrezzi del mestiere”.
La formazione in servizio poi - per essere coerente con l’articolo 6 del Regolamento dell’autonomia - dovrebbe essere consegnata alle scuole, scommettendo  sulla  capacità dei docenti di analizzare i propri bisogni e di perseguire  percorsi di crescita personale. Andrebbe perciò abbandonata l’idea di un sistema nazionale che, in modo  verticistico e rigido, guarda solo a piani nazionali (non importa se strutturati a livello centrale o periferico),  e si assume il monopolio delle scelte e delle decisioni.
Quello che serve agli insegnanti nella scuola dell’autonomia è un supporto vero che si costruisce con centri di documentazione, centri multimediali, con biblioteche e laboratori, con luoghi di coordinamento della ricerca e della riflessione sulla didattica, dove possano avvenire scambi, confronti fra le scuole e consulenze. Serve riconoscere che  gli insegnanti devono  poter scegliere i loro percorsi di aggiornamento in piena autonomia, all'interno di  un sistema che si basa sulla pluralità e sulla qualità dell'offerta.

Investire nella professione docente
Certo, investire nella professionalità dei docenti ha dei costi, nel caso specifico ha dei costi particolarmente alti, dato il numero degli insegnanti (circa 800 mila). Ma se sono giuste e condivisibili  le motivazioni che hanno portato a trasformare la scuola così profondamente, -cosa che impegna gli insegnanti tutti a un lavoro che richiede più tempo, più fatica e più responsabilità, e se si vogliono, in breve tempo, raggiungere quei risultati che anche l’Europa ci chiede, non si possono non investire risorse consistenti sulla scuola e non stabilire per gli insegnanti   un’adeguata retribuzione.
Contestualmente si può cominciare a ragionare di articolazione e di valorizzazione della professione,  partendo dalla considerazione che alcuni insegnanti, per motivazioni diverse, possono mettere a disposizione della scuola, o di una rete di scuole, maggior tempo (che andrà quantificato), e specifiche competenze (che andranno comunque certificate).
E che una delle piste da privilegiare - per dare gambe all’art. 6 del Regolamento dell’autonomia – sarebbe quella di mettere a disposizione della scuola l’esperienza accumulata nel campo della ricerca didattica; di dare supporto e competenza ad altri colleghi  sulle strategie e i percorsi  che hanno  prodotto gli esiti migliori sul piano dell’apprendimento.
 
Serve un codice deontologico?
Certo, investire sulla professione docente a partire da questi punti può  apparire la strada più lunga ma  si potrebbe rivelare come quella più proficua. Altri percorsi sembrano  solo distraenti.
Oggi infatti  prende corpo  un dibattito sul codice deontologico che fonda le proprie ragioni sulla necessità di dare alla categoria docente regole di comportamento che aiutino a costruire quell’identità professionale di cui si sente il bisogno. In qualche modo si vorrebbe mettere per iscritto l’etica della professione attraverso un protocollo che regolamenta e articola diritti e doveri cui fare riferimento. Senza preconcetti su questo tema, si può continuare a ragionare pacatamente se serve a mettere meglio a fuoco un profilo e i tratti che lo compongono. Se serve  a trovare la strada per tutelare i diritti di quella che ormai viene chiamata “utenza”, anche se, a ben guardare, l’utenza della scuola è il Paese nel suo complesso e, quindi, quando si parla della tutela dei diritti di terzi (genitori e studenti) basterebbe parlare di regolamenti di Istituto come molte scuole già fanno.
C’è però da interrogarsi su quanto sia utile costruire in astratto un modello, c'è da chiedersi se l’etica di una professione si possa costruire a tavolino, e se, nelle altre professioni, il codice deontologico sia servito a sanzionare le situazioni di inerzia, a valutare il lavoro, a migliorarlo, a costruire consapevolezza. E a chi spetterebbe  sanzionare  il demerito: si pensa a un Consiglio superiore degli insegnanti, a un comitato di saggi interno alla scuola, ai capi di Istituto?
Qualcuno, poi, vede il codice deontologico come il primo passo  per arrivare alla costituzione di un ordine professionale. Ma qui le perplessità sono molte: un ordine professionale non corre il rischio di trasformarsi in una "congregazione" di interessi di categoria, come è diventato quello di altre professioni, che nulla ha a che vedere con la tutela degli interessi di terzi (malati o studenti che siano)?
Se invece si guarda l’ ordine con lo scopo di definire  un albo di liberi professionisti della scuola da cui i Dirigenti scolastici direttamente  “attingono” quegli insegnanti che abbiano le caratteristiche professionali desiderate, allora il disaccordo è assoluto.
La libertà professionale dei docenti, la loro autonomia si inquadra in una funzione che essi esercitano in quanto pubblici dipendenti. Tale funzione si definisce in conseguenza del  progetto - quello  della  scuola pubblica - pensato in risposta  agli interessi generali del Paese. Progetto  delineato, nelle sue finalità e nei suoi obiettivi,  non dai singoli ma dalla comunità intera attraverso le sue rappresentanze istituzionali. E pertanto anche i criteri e i meccanismi di selezione e di reclutamento degli insegnanti devono corrispondere a quei principi generali a garanzia, appunto, della  tenuta unitaria - e perciò anche democratica - del sistema stesso. In nessun caso quindi potrebbero essere determinati da un principio di “affinità” o di “appartenenza”, per esempio, a un particolare Piano di offerta formativa. Tanto più che l’offerta formativa della scuola  si costruisce certamente attraverso un delicato intreccio di interessi e motivazioni, ma sempre in coerenza con le finalità e gli obiettivi del sistema  di istruzione e dentro  paradigmi culturali definiti a livello nazionale (a cui tutti gli insegnanti – nella loro libertà e autonomia professionale - devono fare riferimento). A meno che non si intenda privatizzare il sistema, ma questo sarebbe un altro discorso.

numero 11-12/2000


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