Spunti per la conclusione

“La questione educativa non è una questione solo per tecnici o per esperti.

Soprattutto nel nostro Paese, che da due secoli, come nessun altro, ha collocato la scuola al centro della sua identità. La questione educativa è al tempo stesso quella del cittadino….”
Il Paese di cui si parla non è evidentemente l’Italia.

Sono parole pronunciate da Claude Thèlot e indubbiamente il lavoro della commissione incaricata di gestire il “grande dibattito nazionale sul futuro della scuola francese”  sta corrispondendo a quella premessa:  partecipazione di circa due milione di persone (26.000 incontri, 400.000 contatti via internet, 1.500 lettere, 300 documenti di associazioni e sindacati). Una partecipazione niente affatto scontata, vista la diffidenza del corpo docente verso il nuovo ministero e visto lo scetticismo dominante dopo i tagli, le misure di regionalizzazione del personale e la modifica del regime pensionistico.

Ripartirei allora dalla domanda centrale: cosa significa riformare un sistema scolastico?

La base per costruire una possibile risposta mi pare l’abbia offerta Tullio De Mauro, quando ricordava che aveva  suggerito al ministro Luigi Berlinguer, che gli aveva gentilmente chiesto un parere sulla riforma della scuola, di avviare singoli  provvedimenti, su contenuti di insegnamento, su aspetti particolari dell’ordinamento scolastico, piuttosto che perseguire una generale e totalizzante riforma, partendo dalla necessità di “rendere sensibile l'intera società italiana alle esigenze reali di sviluppo dell'istruzione e formazione, dalle scuole dell'infanzia all'università, agli enti di ricerca e sollecitare e raccogliere le motivate esigenze di innovazione che vengono dal mondo delle scuole, delle università e della ricerca. Occorre perciò promuovere in tutto il Paese una  consultazione sistematica che individui i punti nodali su cui il governo centrale, il Parlamento, le amministrazioni regionali e locali possono e devono intervenire e su cui, nella loro autonomia, oggi gravemente lesa dai provvedimenti dell'attuale governo, le comunità più direttamente interessate possano esprimersi. Questa consultazione permetterà il pieno e prezioso recupero, la valorizzazione sociale di quanto  insegnanti e ricercatori hanno fatto e fanno e alimenterà e guiderà le nostre scelte”. 

Claude Thèlot ha individuato gli “ingredienti” metodologici necessari:

- Un appello del Presidente della Repubblica

- una commissione “indipendente” in grado di sollecitare e reggere un “immenso dibattito”

- una proposta governativa che sappia leggere la complessità

- un parlamento pienamente responsabilizzato in grado di compiere scelte coerenti.

Insomma un processo di partecipazione reale e diffusa che non rappresenta un’alternativa populista alle procedure democratiche.

Certo, le trasposizioni portano con sé rischi e probabilmente sono sempre inapplicabili, ma a livello di metodo questi elementi rappresentano la radice comune che va aldilà delle specificità dei singoli sistemi:

1. La soluzione di un problema è in buona parte legata alla qualità con cui viene colta, approfondita proprio la natura del problema: alla fine del processo di ricerca di soluzione vi è una nuova definizione del problema, ad un livello più alto e complesso.

=“Scenari e scelte possibili”

=Permettere a ciascuno di meglio conoscere la scuola

=Leggere la realtà in modo da poter contribuire alla sua trasformazione, il “conoscere per cambiare” gramsciano.

2. Il rinnovamento del sistema formativo non può che costruirsi sulle reali potenzialità, sulle prospettive in qualche modo già presenti e da sollecitare: è miope quella politica che non guarda alle migliori esperienze prodotte nella scuola nel corso degli anni. “Il processo del dibattito è importante quanto i suoi risultati” (C. Thèlot). 

=La riforma è maggiormente paragonabile ad un innesto che ad un abbattimento di un bosco.

Vi è un piano del problema che ci viene particolarmente sollecitato dalla via francese alla riforma: la scuola non può essere coinvolta nello scontro politico su terreni e finalità esterni ed estranei. Il dibattito sulla scuola è certamente centrato su confronti e scontri di natura culturale e politica ma questi non possono essere piegati e distorti; la scuola è un bene costituzionale, un “fatto” di cittadinanza e il risultato del “lavoro delle persone che in esso operano”.

Serve allora riuscire a definire l’ambizione e l’impegno che il Paese (la Nazione direbbero i francesi) deve assumersi per la propria scuola come cardine fondamentale della crescita democratica.

(Domenico Chiesa)

Domande:

1. “La scuola non adempie appieno alla propria missione di promozione sociale” per il quale “la responsabilità non è dei professori, ma del sistema nel suo insieme”. Sono parole del primo ministro Jean-Pierre Raffarin.

Quale ruolo si pensa debba essere affidato agli insegnanti sia nella predisposizione che nella realizzazione del processo di innovazione?

Tra gli scopi della commissione vi è anche quello legato alla riflessione sulla professione insegnante

 

2. La scuola francese è, almeno nel nostro immaginario, un sistema con una forte dimensione di centralismo. Il processo di decentralizzazione viene vissuto come un pericolo per il mantenimento dell’uguaglianza delle opportunità sull’intero territorio…

Elevamento della scolarizzazione non coincide necessariamente con uniformità dei percorsi: da noi il dibattito è molto forte…

“Verso quale tipo di eguaglianza deve tendere la scuola?”  (dom3)

“Come deve la scuola adattarsi alla diversità degli allievi?” (dom 6)