Giungono notizie vaghe e contraddittorie sull'intenzione del Ministro
dell'Istruzione di varare, entro il mese di agosto, un piano di
sperimentazione che dovrebbe interessare un imprecisato numero
di scuole dell'infanzia ed elementari del nostro paese. I contenuti
del progetto sono stati inoltrati al Consiglio Nazionale della
pubblica istruzione, che dovrà esprimere un parere obbligatorio
in merito (trattandosi di un piano sperimentale ai sensi dell'art.
11 del Dpr 275/99-Regolamento dell'autonomia) non prima di metà
settembre.
Le disinvolte modalità dell'iniziativa, i tempi ristretti
al di là di ogni limite ragionevole, le ipotesi discutibili
che sarebbero al centro di questo "test", l'assoluta
reticenza sulle risorse finanziarie e umane disponibili, fanno
dubitare sulla opportunità e sulla serietà dell'iniziativa,
come è stato evidenziato anche all'interno del Consiglio
dei Ministri e nel pubblico dibattito che ne è scaturito.
D'altra parte, il Parlamento ha appena iniziato l'esame del disegno
di legge di riforma degli ordinamenti, senza riuscire a trovare
quegli indispensabili elementi di condivisione almeno sui punti
fondamentali, necessari per dare solidità ad ogni processo
di riforma, come dimostrano i paesi che si sono cimentati negli
ultimi anni in simili imprese.
In questo contesto appare controproducente -attraverso l'escamotage
della sperimentazione dall'alto- "forzare" i tempi nei
confronti dei genitori, delle scuole, degli Enti locali, quasi
per mettere tutti di fronte ad un fatto compiuto che dovrebbe
legittimare la (presunta) bontà delle (future) scelte legislative.
In particolare, i temi della sperimentazione sono talmente delicati
che non sopportano improvvisazioni estemporanee. Questioni così
controverse, come l'anticipo della frequenza alla scuola materna
ed elementare, o il ripristino di una gerarchia tra i "maestri"
(ben al di là di quanto oggi è demandato alla piena
autonomia organizzativa e didattica delle scuole), o l'attuazione
di nuovi indirizzi curricolari di cui è sconosciuta la
fonte, meritano ben altre cautele di quelle esibite in questi
giorni.
La sperimentazione di innovazioni è più che legittima,
come dimostrano gloriose vicende antiche e recenti della nostra
scuola (il tempo pieno, i bienni unitari, l'organizzazione modulare,
gli istituti comprensivi, l'autonomia didattica), ma va preparata
con cura, investendo risorse, e soprattutto creando un clima di
partecipazione, di fiducia, di motivazione tra gli operatori scolastici
e nell'opinione pubblica, verso il miglioramento della qualità
della scuola e l'espansione del diritto all'apprendimento per
tutti.
Bene lo sanno i 3.200 istituti comprensivi che da oltre sei anni
sono impegnati in processi di sperimentazione sulla continuità,
il curricolo personalizzato, la valutazione formativa (e del cui
patrimonio di ricerca nulla si dice nei documenti ufficiali) e
altrettanto esigono le scuole dell'infanzia italiane, che dopo
gli entusiasmi degli scorsi anni (con i progetti di sperimentazione
Ascanio e Alice) si aspettavano proposte assai più convincenti
e condizioni reali per una effettiva qualità pedagogica.
Questi criteri di qualità, al momento, non li ritroviamo
nella affrettata proposta del Ministro, che crea imbarazzo nel
paese, preoccupazione, conflitto, incredulità per la totale
estraneità di rapporti con la scuola reale, i suoi operatori,
la sua cultura.
Sperimentare è possibile, ma va fatto "a regola d'arte":
richiede il pieno coinvolgimento della scuola, mediante un'informazione
preventiva, accurata e capillare sui contenuti del progetto culturale
e didattico (i testi appena diffusi vanno considerati una semplice
"bozza" aperta alla discussione), un processo decisionale
trasparente e consapevole (che veda protagonisti i collegi dei
docenti e gli organi collegiali), la massima disponibilità
al confronto sulle variabili e le ipotesi organizzative in gioco
(che dovranno essere rispettose dell'autonomia delle scuole),
un rigoroso approccio valutativo che sappia apprezzare punti di
forza e di criticità.
Per coerenza, la scelta sperimentale richiederebbe la contestuale
disponibilità a sospendere processi decisionali troppo
affrettati ed unilaterali (come quelli adombrati nel disegno di
legge delega del Governo) per aprire un dialogo vero con le istanze
di una scuola che intende impegnarsi nella riforma, ma che chiede
rispetto, dignità, investimenti significativi (e non tagli)
per la ricerca, la formazione, le strutture, il personale.
9 agosto 2002
La
segreteria nazionale del Cidi