IL FARE SCUOLA: sessioni parallele



Understanding national identity: the American experience (C.F. Feldman - C. Morrocchi)
L'uso delle parole in relazione all'identità cambia con l'undici settembre.
Come ci si sentiva prima di quella data.
La visione tipica americana è una visione stereotipata. Non esiste in Italia o in Europa una visione come questa.
Dopo quella data tutto è cambiato e vi sono condizioni specifiche che portano alla completa rielaborazione dell'identità.
Oggi c'è una nuova identità americana che si riconosce nel termine "freedom".
La parola "identità" mette in gioco il rapporto con gli altri. Oggi invece si esagera con le soggettività e l'identità è una percezione soggettiva.
È la scuola che deve costruire cittadini consapevoli di un'identità precisa non indirizzata all'individualismo. (Annachiara Monardo)


La città educativa (A. Alberti - M. Pipicelli)
Dopo l'introduzione sulla gestione delle scuole, viene sottolineata l'importanza del diritto allo studio, cioè di tutto ciò che serve per garantire lo studio anche a ragazzi che non hanno la possibilità (soprattutto di natura economica) di usufruire dei servizi scolastici.
Negli ultimi anni, invece, vi sono stati miglioramenti qualitativi: progetti, vale a dire finanziamenti su richiesta delle scuole al comune e pensati soprattutto dalle scuole stesse, anche se spesso alcune proposte possono provenire dal comune che fornisce la preparazione adatta agli addetti ai lavori che dovranno attuare il progetto nelle scuole.
Bisogna considerare la città come un prodotto di discipline applicate: si offre come un trattato di diverse discipline, diventa oggetto di conoscenza ma anche stimolo di studio, ci si impone di fare ricerche.
Riferimenti e considerazioni della città come:
- palestra di partecipazione culturale e democratica;
- oggetto di ricostruzione concettuale: nel momento in cui si vive nella città non ci si deve adattare ad essa ma ci si deve modificare secondo le proprie attitudini.
Dalla visione del servizio realizzato per illustrare le varie attività della città educativa di Roma, viene sottolineata l'interazione tra la città e le scuole. Oggi non esistono più situazioni "canoniche", ma ciò che la città educativa si propone è di far interagire sapere disciplinato e sapere vissuto, interazione tra competenze consapevoli e competenze inconsapevoli.
Dai vari interventi:
- la necessità di considerare l'autonomia scolastica importante non dal punto di vista materiale, ma attivo in un processo culturale
- positività dell'autonomia dal punto di vista organizzativo, minori risultati sul piano formativo. (Annalisa Sirianni)


Didattica museale (E. Nardi - A. Mazzoni)
La Didattica Museale si occupa di trovare le forme che consentano di accedere ad un museo e che incuriosiscano sempre più persone e soprattutto gli studenti a visitarlo. A questo proposito viene citato un progetto che è stato promosso dalla regione Campania che ha istituito dei fondi per creare un museo chiamato "Real Museo Mineralogico". L'obiettivo del progetto, o meglio la sfida che è stata lanciata, è di mettere a punto quello che fosse l'itinerario più adatto per cercare di attirare in un museo persone dei livelli culturali più bassi, giovani…
Ebbene, tutto questo è avvenuto suscitando un grande interesse da parte dei visitatori e dimostrando che in realtà la gente ha voglia di conoscere.
Ma quale vuole essere il messaggio di questa esperienza?
Innanzitutto ha voluto trasmettere l'importanza del contributo della Pedagogia Sperimentale nella Didattica Museale e poi ha ridefinito i compiti di un Museo che sono essenzialmente quattro: raccogliere, conservare, educare, comunicare.
Raccogliere e conservare per trasferire questi beni alle generazioni successive. Educare significa anche trovare dei contrasti fra le generazioni e arricchirsi a vicenda. Comunicare per aprire la conoscenza che un museo raccoglie anche ad un pubblico di non esperti.
Il contributo della Pedagogia Museale può sintetizzarsi in tre punti: inserire l'attività in un contesto più ampio, organizzare l'attività museale secondo il modello sperimentale, incrociare dati appartenenti a contesti diversi.
Gli interventi hanno sollevato il problema fondamentale che è quello della catalogazione e dei criteri espositivi che richiedono un grande studio da parte degli esperti ma che i visitatori ignorano. Il museo è, dunque, un oggetto culturale complesso. (Marialuisa Damaso)


La scuola e il territorio (E. Barbieri - D. de Scisciolo)
E' necessario costruire un rapporto tra scuola e territorio, vedere come la scuola risponde alle esigenze territoriali e viceversa.
Un esempio di questo rapporto è il "Settembre pedagogico", una esperienza del Cidi in collaborazione con l'ANCI, che vedrà una seconda edizione nel prossimo anno scolastico.
Ci si concentra sul binomio centralismo (modello rigido) e autonomia (sistema a rete) , rapporto ancora in atto, non definito, in cui bisognerebbe capire bene come funzionano sottolineando aspetti negativi e positivi di entrambi i sistemi. Il riferimento è al sistema centralistico, ponendo l'accento sul fatto che non bisogna considerarne solo le forme inopportune ma anche e soprattutto quelle concretamente valide.
La legge 59 del '97 rovescia l'impostazione tradizionale:
al centro c'è il cittadino e i suoi diritti, lo stato centrale decide obiettivi e funzioni ma altri venti (comuni, province e regioni…) concorrono a garantirli. Si sottolineano le diverse competenze di regioni, province, comuni e dirigenti scolastici che dovrebbero confrontarsi nelle conferenze territoriali sulla scuola e sulla scuola. La scuola è chiamata ad organizzare e progettare interventi formativi e obiettivi. Questo presuppone anche elementi di valutazione. L'autonomia è garanzia di libertà di insegnamento e la scuola, organizzando l'offerta formativa, non può non tenere conto del rapporto tra l'istituzione scolastica e il territorio. La scuola dell'autonomia ha senso perché è in grado di coniugare il dettato nazionale con le esigenze territoriali. Fino al 2001 si può parlare di organizzazione piramidale dove era prevista una partecipazione, oggi si chiede alla singola scuola di inventare nuovi modelli di partecipazione. Le scuole dovrebbero attivare dei momenti pubblici con l'ente locale. (Carmina Ielpo)


Modelli culturali/modelli organizzativi (M. Ambel - B. Mezzina)
Siamo in piena crisi di modelli culturali: già da tempo si risente degli effetti devastanti della mancanza di un modello culturale forte, che si è andato sempre più riflettendo nella scuola. È palese come essa, infatti, abbia perso progressivamente la funzione che ha avuto per gran parte del '900 come sistema messo a punto per educare, governare attraverso codici di comportamento, valori, regole, organizzazione del sociale, "generazione del consenso". Allora ad un modello culturale piuttosto rifinito corrispondeva un modello organizzativo funzionale all'idea di scuola che discendeva da quello stesso modello culturale. La risposta che si è data nella scuola alla crisi dei modelli culturali è stata di certo l'autonomia. Tutto il decennio degli anni '90 ha visto l'incubazione del discorso sulla necessità della normativa sull'autonomia. Dopo una stagione di grande speranza si sta constatando che essa è di molto limitata e non per incapacità delle scuole. Sono mancati quegli indispensabili dispositivi che potessero consentire opzioni organizzate alte. Uno strumento utile poteva essere l'organico funzionale che aveva lo scopo di agire sulla flessibilità dell'utilizzo delle risorse umane di un'istituzione scolastica, in specifici compiti funzionali all'organizzazione della stessa scuola.
La sensazione è che l'idea di scuola che avevamo elaborato sia stata sconfitta. Ci è stato rubato il significato delle nostre parole; sono state desemantizzate le nostre utopie e sembriamo vittime del consumismo pedagogico della peggiore specie. Siamo in piena crisi dei modelli culturali che si riflette in particolare sulla scuola. In questo momento sembra che molte contingenze richiedano un modello più tradizionale. Dobbiamo ripartire per evitare che la scuola trasmissiva continui ad essere devastante. Bisogna ripartire dalla conoscenza, ripensare la disciplinarietà, per fornire agli studenti gli strumenti per trovare la voglia e il piacere di fare domande.
Bisogna evitare di cadere nella dicotomia tra discorso teorico e scuola reale. Bisogna rimettere all'ordine del giorno della discussione l'organizzazione del lavoro, il progetto culturale, la verifica e la valutazione... (Rosa Seccia).


Stato giuridico dei docenti e libertà di insegnamento (W. Moro - I. Summa)
Nelle recenti proposte legislative in merito allo stato giuridico degli insegnanti si fa riferimento solo all'autonomia ma non alla libertà di insegnamento. Dopo l'autonomia, in realtà, sarebbe stato necessario in nuovo stato giuridico anche per gli insegnanti, come è avvenuto per Dirigente scolastico e Dirigente dei Servizi Generali e Amministrativi.
Questa però non è la stagione giusta per affrontare il problema, perché non si può pensare ad uno stato giuridico in astratto, ma come supporto della funzione docente quale essa si presenta realmente nella scuola.
Ma qual è oggi la funzione docente? C'è un attacco alla collegialità, introdurre oggi un nuovo stato giuridico significherebbe scardinare completamente il ruolo docente. Inoltre si deve parlare anche di reclutamento: si sta distruggendo oggi ciò che di buono si è fatto con le SIS. Non si può fare in ogni momento punto e a capo. Dall'art. 5 della legge 53 la formazione iniziale è completamente appaltata all'università, secondo una visione della docenza scolastica come completamente subalterna all'accademia. Ciò significa che la scuola non fa ricerca e che quella dell'insegnante è considerata una mera funzione esecutiva.
C'è in atto nella scuola un cambiamento complesso. Il dibattito sullo stato giuridico è soprattutto politico-legislativo, ma non c'è una vera riflessione nelle scuole. Tuttavia sarebbe necessaria una modifica per via legislativa, perché l'attuale stato giuridico risale al 1974 e nel frattempo si è profondamente modificata la scuola e il lavoro dell'insegnante.
L'insegnante è in crisi perché sono cambiati i compiti e non è facile riconoscere il proprio ruolo in uno scenario profondamente mutato. In questi trent'anni in realtà lo stato giuridico è stato aggiornato tramite i contratti nazionali: in particolare il CCNL 1994-97, all'art.38, ha introdotto un duplice aspetto della funzione docente, individuale e collegiale (ripreso dall'art 1 del DPR 275). Questo punto viene ripreso con il CCNL 98-2001, in cui viene ridefinito il profilo professionale dell'insegnante aggiungendo alla funzione didattica quella organizzativo-relazionale e di ricerca in funzione della progettualità d'istituto.
Oggi, quindi, l'attività dell'insegnante non si gioca solo sulla classe, ma nella scuola e nel territorio, con la creazione, ad esempio, di reti di scuole per affrontare problemi più ampi come quello della dispersione. Questi aspetti dovrebbero essere tenuti presenti anche a livello normativo, articolando la figura docente su tre assi: classe-scuola-territorio.
Lo scenario si è reso ulteriormente complesso perché, a parte la sovrapposizione tra aspetti contrattuali e legislativi, la riforma del Titolo V ha affiato nuove responsabilità alle Regioni cui spetterebbe, secondo la recente sentenza della Corte Costituzionale sul contenzioso Governo - Emilia Romagna, anche la responsabilità del personale scolastico.
Per capire in quali direzioni si sta modificando lo stato giuridico, quindi, non si deve guardare solo alla legge specifica i cui tempi di attuazione sono molto ristretti e contro la quale l'opposizione dei sindacati è decisa, ma anche altri provvedimenti come la legge 53, il decreto attuativo relativo all'art. 5 della stessa e la proposta di legge sugli organi collegiali.
Da questi testi viene fuori un profilo docente fortemente impoverito: viene esaltato il lavoro individuale a danno di quello collegiale, scompare la funzione di ricerca e sperimentazione, non è più previsto come organismo autonomo il consiglio di classe.
E questo profilo è coerente con l'intero spirito della Riforma Moratti che prevede uno spezzettamento del tempo-scuola e un ridimensionamento della figura docente, che può essere sostituita in molti momenti da esperti esterni. Alcuni punti della proposta di legge sullo stato giuridico possono essere discussi, come l'idea di "carriera" ma nel complesso essa è poco condivisibile perché incoerente con il principio dell'autonomia scolastica... (A. Maiorano)


Lingua /Lingue (C. Gammaldi - M. Muraglia)
Nell'introduzione, Maurizio Muraglia evidenzia come si ci trovi ormai di fronte ad un guado. La riforma in atto genera preoccupazione nelle associazioni disciplinari perché sembra minacciare il lungo percorso di elaborazione dei decenni passati in tema di educazione linguistica. Il GISCEL segnala una vera e propria "discontinuità"; Colombo parla di "disprezzo" per l'autonomia delle istituzioni scolastiche. Per non parlare dell'assenza di riferimenti al quadro complessivo dell'educazione linguistica, intesto in chiave di PLURILINGUISMO. Nelle indicazioni della riforma in atto si ritorna indietro, ad una separatezza tra L1 e lingue straniere che sembra azzerare l'educazione integrata. Filo rosso nel convegno è stata l'insistenza sull'idea che l'educazione linguistica abbia a che fare con l'esercizio della cittadinanza e dunque sia una dimensione fondativa della democrazia. Definizioni e stimoli che si possono cogliere: lingua come strumento dell'uguaglianza (Chiesa); lingua che ci fa uguali (Don Milani); lingua come elemento che struttura la conoscenza. Gli stimoli diventano domande, dubbi:
1) Come l'educazione linguistica può diventare strumento di inclusione e/o esclusione?
2) "De-standardizzazione": la definizione di Simone, per quanto pessimistica, segue un problema rilevante: non è forse anche vero che - suggerisce Muraglia - un eccesso di lingua Standard possa impoverire l'universo linguistico dei discenti, reprimerne l'espressività? Nelle indicazioni della riforma sembra imperare lo standard!
3) Il " grammaticalismo" come unico accesso alla lingua che pure sopravvive sulla scuola non è esso stesso dannoso?
Ultimo stimolo da tener presente: Silvia Minardi scrive che in tutti i documenti ministeriali non ci sono riferimenti al quadro europeo; a questa esigenza si contrappone solo l'inserimento della lingua inglese nella scuola di base. La 2° legge comunitaria viene con una diminuzione del monte ore complessivo.
Conclusa l'introduzione, Caterina Gammaldi apre il dibattito
Negli interventi si segnala, tra i demeriti della riforma in atto, la distinzione di alcune certezze che nella scuola media erano consolidate, frutto di un ricco bagaglio di esperienze. Nella I media il dramma del docente oggi è non poter assicurare ai (bambini) una costante verifica e valutazione degli apprendimenti, a causa della decurtazione dei tempi. La riforma Moratti fornisce un profilo, un catalogo di "OSA" e per il resto l'atteggiamento del mistero è caratterizzato da ambiguità e silenzio. Le scuole nel settembre scorso hanno dovuto programmare al buio le unità di apprendimento. Se alle spalle, la scuola aveva modelli di riferimento progettuale certi (ad es. la modularità), poteva partire da quelli; ma in caso contrario, come in molte scuole è accaduto, il confronto con la programmazione di tipo "trasversale" ha generato problemi difficili da affrontAltro problema rilevante è stato rappresentare. Altro problema rilevante è rappresentato dalla differenza/personalizzazione dei percorsi: senza indicazioni chiare ci si è mossi per lo più per evitare i danni di una differenziazione che rischiava di tradursi in disuguaglianza di obbiettivi.
Nella scuola elementare si mettono in evidenza due aspetti drammatici della riforma:
1) non vi si parla di letteratura né si parla di lettura, lettura adulta, piacere di leggere
2) c'è il ripristino di distinzioni disciplinari:
La discussione sposta l'asse di riflessione sul problema dell'educazione linguistica che, a trenta anni dalle Dieci Tesi, è ancora serio e irrisolto. Nella scuola reale si insegna italiano e non si discute con le altre lingue, non ci sono aperture inter-pluri-culturali. Quale lingua si insegna nella scuola reale?
In conclusione si sottolineano, pur nei problemi ancora aperti, le esperienze significative della scuola, e le difficoltà del presente, rappresentate dal quadro di riferimento delle Indicazioni nazionali che, benché transitorio, sta creando seri problemi nella concreta azione educativa. In questo momento è importante proseguire sul terreno della ricerca e in modo diffuso riprendere la questione del curricolo verticale... (Anna Maria Palmieri)


Matematizzare il mondo (A. Iavasile - G. Spirito)
Non si può non evidenziare la situazione difficile che la scuola vive in questo momento. Gli interventi normativi, i cambiamenti nella popolazione scolastica dovuti anche alla presenza di alunni stranieri, le diversità di approccio alla conoscenza. Quale contributo può dare la matematica? La matematica non è solo un insieme disciplinato e fortemente strutturato di forme, regole e tecniche ; è anche un territorio aperto e multiforme in cui si incontrano problemi, si è esposti a sollecitazioni, ci si cimenta con avventure della mente. Alcuni spunti di riflessione: - la centralità dell'asse algebrico - analitico dei programmi della scuola secondaria superiore e che retroagisce sull'intero percorso, è davvero funzionale a un approccio problematico alla matematica? - quali ruoli possono rivestire la geometria, l'informatica e la "matematica dell'incerto" nell'ottica di un approccio più ricco e motivante alla disciplina? - come evitare che la formalizzazione "oscuri" la semantica della matematica? Più in generale: come si governa, nelle varie tappe del processo di apprendimento, la dialettica forma significato? - nel contesto disciplinare, come si traduce in attività e esperienze significative la necessaria attenzione alle abilità linguistiche e logiche? - quali significati assumono i termini "operatività" e "laboratorialità" nell'ambito della didattica della matematica? - Con quale linguaggio si parla di matematica? È possibile "liberare" la comunicazione matematica dalle "rigidità" che la caratterizzano frequentemente? (Margherita D'Onofrio)


La narrazione della scienza (C. Fiorentini - C. Olivari)
Per avere un insegnamento significativo sono necessari tempi lunghi - tempi adeguati - per ciascuna problematica affrontata; se viceversa i tempi impiegati sono più simili a quelli degli spot televisivi, o detto in altre parole, sono quelli di un insegnamento nozionistico, trasmissivo, libresco, ove è compito principale dello studente comprendere, leggendo e studiando a casa le pagine assegnate, come è immaginabile che resti nello studente qualche conoscenza e che si sviluppi contemporaneamente, seppur gradualmente, il gusto del conoscere?
Indubbiamente una delle caratteristiche dell'insegnamento scientifico dovrebbe essere quella di sviluppare nello studente una "forma mentis" logica, sistematica, rigorosa. Lo studente può, tuttavia, gradualmente sviluppare questa "forma mentis" soltanto se questi aspetti fondamentali della disciplina adulta li potrà gradualmente costruire durante tutto l'arco della scolarità preuniversitaria, se si troverà costantemente nella situazione di vivere situazioni problematiche - sul piano sperimentale e/o teorico e/o culturale e/o sociale - che lo porteranno a comprendere l'utilità o la necessità, o la possibilità di una nuova ipotesi, di un nuovo concetto, di una determinata generalizzazione, di una formula, di una teoria più generale. Se, viceversa, tutto ciò gli viene proposto nella modalità usuale dei manuali, in modo asettico, non contestuale, non problematico, già ripulito e rifinito, il risultato, nella mente dello studente, non è il rigore , la razionalità, la logica, ma la mancanza di comprensione, di significato, e quindi l'opposto di tutto ciò.
Molte proposte alternative a questo modello deduttivistico sono state prospettate negli ultimi trenta anni, arrivando anche ad essere formalmente sancite in un programma ministeriale, che è, tuttavia rimasto confinato in poche scuole sperimentali, il programma del Laboratorio di fisica e chimica del Progetto Brocca. In esso veniva ribadita con enfasi l'importanza di un'impostazione operativa, laboratoriale anche nel biennio della scuola secondaria superiore. Questo programma rimane una pietra miliare, ma è caratterizzato dal alcuni limiti: non teneva sufficientemente conto del dibattito epistemologico e pedagogico più aggiornato, in particolare del contributo di Bruner, che sintetizzava esigenze e proposte che si erano sviluppate nei venti anni precedenti.
"Non intendo sottovalutare l'importanza del pensiero logico-scientifico… Ma non è un mistero che a molti giovani che oggi frequentano la scuola la scienza appaia "disumana", "fredda" e "noiosa", malgrado gli eccezionali sforzi degli insegnanti di scienze e di matematica e delle loro associazioni. L'immagine della scienza come impresa umana e culturale migliorerebbe molto se la si concepisse anche come una storia degli esseri umani che superano le idee ricevute - Lavoisier che supera il dogma del flogisto, Darwin che rivoluziona il rispettabile creazionismo, o Freud che osa gettare uno sguardo al di sotto della superficie soddisfatta del nostro autocompiacimento. Può darsi che abbiamo sbagliato staccando la scienza dalla narrazione della cultura. Una sintesi è forse necessaria. Un sistema educativo deve aiutare chi cresce in una cultura a trovare un'identità al suo interno. Se quest'identità manca, l'individuo incespica nell'inseguimento di un significato. Solo la narrazione consente di costruirsi un'identità e di trovare un posto nella propria cultura. Le scuole devono coltivare la capacità narrativa, svilupparla, smettere di darla per scontata".
E' quindi necessario comprendere che cosa Bruner intende quando attribuisce alla narrazione questo ruolo centrale anche nel rinnovamento dell'insegnamento scientifico: "Partirò da alcune affermazioni ovvie. Una narrazione comporta una sequenza di eventi, ed è dalla sequenza che dipende il significato". La narrazione è giustificata quando narra qualcosa di inatteso, di imprevisto, di apparentemente assurdo o contraddittorio. L'obiettivo della narrazione è di chiarire i dubbi, di spiegare lo "squilibrio" che ha portato all'esigenza di narrare la storia. La narrazione è, inoltre, strettamente connessa con l'interpretazione e non con la spiegazione. La comprensione, a differenza della spiegazione, comprende sempre più interpretazioni; "né l'interpretazione di una particolare narrazione esclude altre interpretazioni…la regola è la polisemia".

Il senso della storia (C. Amadio - E. Coniglione)
"Sono pochi a credere, per ragionamento e non per fede, che la storia abbia senso", dalla suggestione di questa citazione tratta da un libro di Bodei, proprio sul senso della storia, sono partite le relazioni introduttive di Emanuela Coniglione e Caterina Amadio.
Sono stati affrontati alcuni nodi fondamentali riguardanti la storia e il suo insegnamento.
Con riferimento anche agli spunti venuti dalla relazione di De Luna sulla contemporaneità, sull'uso pubblico della storia, sulla periodizzazione, Emanuela Coniglione è entrata nel vivo del "fare storia"che significa operare delle scelte, selezionare, porsi il problema di quali competenze storiche far acquisire agli allievi, quale storia insegnare, come rendere il suo studio motivante e capace di fornire strumenti critici.
Ritorna allora forte l'idea della costruzione di un curricolo verticale, ma anche "orizzontale".
Caterina Amadio ha toccato quelle che sono le motivazioni dell'attenuarsi del senso della storia nei giovani riprendendo, oltre il già citato testo di Bodei, un altro libro molto interessante di due psichiatri francesi, M. Benasayang e G. Schmit " L'epoca delle passioni tristi" che indaga sul senso di impotenza e di incertezza che attraversa i nostri giovani rispetto ad un futuro visto come cupo e pensato con paura. Cosa può fare la scuola e in particolare la storia?
Da qui nasce una serie di questioni comprese quella riguardante la dimensione mondiale della storia, il rapporto con gli accademici, i riferimenti paradigmatici.
Il racconto di un'esperienza di tipo laboratoriale, in alcune scuole di Torino, in un percorso verticale, chiude le relazioni introduttive.
A questo punto gli interventi di insegnanti di diverso ordine e grado e/o provenienti dai diversi Cidi hanno dato un contributo significativo al dibattito e hanno indicato alcuni punti di condivisione:
l'importanza della narrazione, del racconto, dell'argomentazione, del ragionamento storico, l'uso di una didattica laboratoriale, l'uso delle fonti e della loro contestualizzazione, la necessità di adeguare i percorsi all'età dei ragazzi, per dirne solo alcuni.
Aperto è rimasto il problema della definizione di quei contenuti imprenscidibili nella formazione storica dei ragazzi. (Filomena Pisciotta)


Saperi "deboli" per un nuovo umanesimo (P. Citran - A. Musciacco)
Da tempo il gruppo telematico del Cidi friulano sta lavorando alla progettazione di un curricolo verticale aperto a differenti discipline, tra cui la filosofia e le Scienze sociali. Non si intende importare nella scuola dell'obbligo anticipazioni disciplinari proprie della secondaria superiore né di rimanere prigionieri di una logica modulare. Si tratta di sviluppare una lontana intuizione avuta da Citran negli anni ottanta. Allora il Cidi stava discutendo sulla continuità d'approccio ai vari saperi lungo l'intero arco della secondaria. L'idea di un itinerario che cerchi di eliminare le rotture cognitive e socializzanti tra i vari passaggi del ciclo oggi riappare non solo opportuna ma addirittura necessaria. Si è detto più volte che la riforma Moratti, oltre ad avere abbassato l'obbligo scolastico, ha creato un grave iato culturale e sociale tra un ciclo e l'altro. Il guasto oggi è reso ancora più evidente dalle indicazioni di contenuto e dalle conseguenti scelte disciplinari della riforma. Le Scienze sociali sono state tolte dal curricolo scolastico e sostituite dalle Scienze umane, questo nel tentativo di ricondurre la riflessione sull'uomo in una prospettiva etico-esistenziale, costruita su buone storie esemplari e ipotetiche felici alleanze tra scuola e famiglia. Sullo sfondo, una società distante, rarefatta, di maniera. E i valori? Strettamente legati alla classicità e al merito personale. Dopo la morte di "Dio" anche gli assoluti cognitivi si sono frantumati e con essi la delineazione delle discipline per categorie. E' diventato difficile distinguere i vari saperi tra debolezza e forza dei loro ambiti ed intenti. Non si può più parlare di una valorialità e oggettività universali. L'esigenza di un sapere "umanistico"non può che fare interagire tutte le discipline senza campi separati, dove anche il metodo sia solo un paradigma di riferimento e i valori entrino in gioco senza essere assolutizzati e assolutizzabili. Ambiente e società appariranno finalmente luoghi aperti, concreti, e problematici. A proposito della filosofia dei bambini, si è discusso del curricolo di Lipman, esperienza stimolante ma non frettolosamente applicabile. Per quanto un insegnante voglia rispondere con tempestività alle "domande" dei bambini, non si possono realizzare esperimenti senza adeguata preparazione. L'importante è stimolare nei bambini "un'incertezza" cognitiva entro un chiaro ambito di sicurezza socio-affettiva. (Rosanna Angelelli)




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