C'ERA UNA VOLTA LA SCUOLA DELL'INFANZIA
La
scuola dell'infanzia che si delinea e prende forma all'interno
del disegno di legge di riforma della scuola approvato dal Governo,
non è la scuola dell'infanzia che conosciamo. Chi opera
in questa scuola ha l'impressione di essere, ancora una volta,
destinatario di una proposta pensata altrove, per altri scopi,
con altre logiche, che non considerano minimamente i bisogni,
le aspirazioni, le speranze di un esplicito e definitivo riconoscimento
del ruolo educativo della scuola per i bambini dai 3 ai 6 anni.
La proposta di anticipare di quattro mesi l'iscrizione dei bambini
di 6 anni alla scuola elementare e, di conseguenza, di consentire
l'ingresso ai bambini di 2 anni e pochi mesi alla scuola dell'infanzia,
risponde forse a una domanda sociale delle famiglie (per carenze
di servizi educativi adeguati per la fascia di età dei
due anni) o a una presunta promozione delle competenze dei bambini
di 5 anni (visibile nel fenomeno sommerso delle cosiddette "primine"),
ma rappresenta un segnale del tutto negativo per la qualità
attuale e futura del progetto pedagogico che è stato costruito
in questi anni con passione e professionalità da tanti
operatori scolastici.
Quando si rendono flessibili e aleatori i "confini"
dell'identità istituzionale e organizzativa di un ordine
scolastico, che possono essere gestiti a completa discrezione
degli utenti (quasi si trattasse di un servizio sociale a domanda
individuale e non della prima istituzione educativa rivolta a
tutti i cittadini), si rende impossibile ogni seria progettazione
e si disconosce l'autonomia culturale e professionale dei docenti.
Ben altro è il livello di consapevolezza maturato in questi
anni tra gli operatori scolastici e gli stessi genitori, anche
grazie agli Orientamenti educativi del 1991, che riconoscono la
scuola dell'infanzia come un ambiente pedagogico caratterizzato
da:
- attenzione
a tutte le dimensioni della personalità infantile (affettive,
cognitive e sociali) senza inutili forzature scolasticistiche;
- equilibrata
successione di momenti educativi che garantiscono "serenità
e distensione, ricorsività e progressività delle
situazioni di apprendimento";
- incontro
dei bambini con i sistemi simbolici, la cultura, le forme di
rappresentazione attraverso l'organizzazione di un contesto
didattico regolato dalla regia "riflessiva" degli
adulti.
Questo
"ambiente di vita, di relazione e di apprendimento"
permette di rispettare le esigenze ed i ritmi di sviluppo dei
bambini, come sono oggi conosciuti grazie alla ricerca psicopedagogica
convalidata nelle migliori esperienze della scuola dell'infanzia
italiana. Tali esperienze invitano a non considerare preminente
una dimensione alfabetica della conoscenza (l'imparare a leggere
e scrivere "prima"
), ma piuttosto l'intreccio
di esperienze ludiche, sociali, cognitive che consentono ai bambini
di crescere, imparare, sviluppare abilità e competenze
fondamentali per gli apprendimenti successivi.
In una "buona" scuola dell'infanzia si avvia la rielaborazione
simbolica delle esperienze e dei vissuti, si sviluppano le prime
forme di socializzazione e documentazione delle conoscenze, si
potenziano linguaggi e modalità di comunicazione ed espressione.
Il curricolo verticale (già largamente sperimentato negli
Istituti comprensivi, che rappresentano oltre il 42 % delle scuole
italiane) ha il suo punto di forza proprio nel lavoro didattico
che viene svolto nella scuola dai 3 ai 6 anni.
La generalizzazione dell'Istituto comprensivo, con adeguati incentivi
professionali, consentirebbe di affrontare correttamente il problema
della continuità/discontinuità nell'esperienza di
apprendimento, anche mediante soluzioni originali di raccordo
tra i diversi livelli scolastici. Il problema dell'incontro con
la lettura e la scrittura può diventare oggetto di ricerca
e confronto tra gli insegnanti, impegnati a riflettere sulle modalità
attraverso le quali si apprende a questa età, in quali
ambienti, con quali tempi, con quali metodologie i bambini possano
costruire consapevolmente competenze stabili e durature nel tempo.
L'anticipo, invece, rischia di diventare un incidente di percorso,
una scelta strumentale dovuta all'incapacità di affrontare
e risolvere i veri nodi della riforma nei livelli scolastici successivi
(questione della scuola di base, durata degli studi secondari,
estensione dell'obbligo scolastico).
L'anticipo non può essere visto solo con gli occhi degli
adulti, siano essi genitori (con le loro aspettative, le loro
attenzioni, ma anche i loro narcisismi) o insegnanti (con le loro
competenze, le loro insicurezze, le loro delusioni). Al centro
di ogni progetto educativo devono essere i bambini, con i loro
bisogni, le loro esperienze, la loro concretezza. Il precocismo
cognitivo non considera le esigenze profonde dei bambini: la ricerca
di fiducia in se stessi, di equilibrio, di positività nelle
relazioni con i compagni e con gli adulti, tutte conquiste che
richiedono tempo, pazienza e serenità, non certamente fretta
e improvvisazione.
Si possono anche immaginare soluzioni innovative ed alternative
rispetto alla attuale struttura degli asili nido (da 0 a 3 anni)
e delle scuole dell'infanzia (da 3 a 6 anni), ma tutto questo
richiede l'apertura di uno spazio di ricerca pedagogica e di garanzia
assoluta di indispensabili standard di qualità dell'ambiente
educativo (strutture adeguate, spazi confortevoli, servizi funzionali,
numero ridotto di bambini per ogni gruppo, preparazione degli
insegnanti e del personale di supporto).
Esistono, invece, indizi certi (anzi, fatti concreti) che oggi,
e ancor più domani, la gestione delle risorse sarà
volta tutta al risparmio e alla riduzione dell'intervento pubblico
(in materia di organici, finanziamenti, progetti ecc.).
Occorre allora ribadire, con serenità e fermezza, che la
credibilità che la scuola dell'infanzia si è guadagnata
in questi anni non può essere messa a repentaglio con una
superficialità che fa pensare a un disegno deliberato di
riduzione dell'intervento pubblico verso le famiglie e l'infanzia.
Il nostro Paese ha elaborato, a tutti i livelli - sociali, istituzionali,
culturali - una consapevolezza progettuale e pedagogica verso
l'educazione dell'infanzia a cui non può rinunciare. C'è
una domanda di generalizzazione e di qualificazione del servizio
che non può essere ostacolata.
La scuola dell'infanzia è assai più "avanti"
di quanto viene prospettato nel modello di riforma del ministro
Moratti, tutto ripiegato su immagini assistenziali e familistiche
del servizio educativo. Se esiste una domanda sociale "forte"
per la fascia di età dai due ai tre anni, si abbia il coraggio
di predisporre investimenti, risorse, progettualità, pari
a quelle messe in campo fin dal 1971 (Legge 1044) per la qualità
dei "nidi", senza intraprendere facili scorciatoie a
tutto danno dei bambini stessi.
Le aspettative degli operatori della scuola dell'infanzia, emerse
nelle numerose occasioni di formazione, consultazione e sperimentazione
(Ascanio, Alice, e Linee di sviluppo, per citare alcuni
grandi momenti di partecipazione allo sviluppo della scuola "reale")
non possono essere aggirate. Gli insegnanti attendono ancora di
conoscere le ragioni per cui è stato ritirato il Dm 91/2001
sulla sperimentazione "guidata" di standard di qualità
del servizio, di approfondimento del progetto degli Orientamenti
del 1991, di realizzazione di modelli organizzativi funzionali
con risorse adeguate.
Occorre al più presto riavviare una stagione di ricerca,
innovazione, sperimentazione, partendo dal "basso",
dall'iniziativa progettuale delle scuole associate in rete, ricercando
alleanze operative con il sistema degli Enti locali, l'Amministrazione
scolastica, le sedi della ricerca educativa, i genitori e le comunità,
anche le scuole "paritarie" che si impegnino a rispettare
standard pubblicamente controllati.
Un processo di riforma della scuola rappresenta un'occasione decisiva
per la valorizzazione e lo sviluppo della professionalità
di chi in essa opera. Gli insegnanti della scuola dell'infanzia
richiedono che questo processo non si interrompa, ma che sia potenziato
e generalizzato attraverso scelte politiche, parlamentari e gestionali
pari al riconoscimento che viene auspicato (temiamo, solo a parole,
da parte di chi ci governa) per la scuola dell'infanzia del nostro
Paese.
la
Segreteria nazionale del Cidi