Apertura
dei lavori
I lavori del convegno si sono aperti con un minuto di silenzio
in omaggio al prof. Marco Biagi, ennesima vittima della
violenza terrorista. Il silenzio è stato sollecitato
dall'onorevole Alba Sasso, che presiede i lavori di questa
prima mattina. Alba Sasso ha voluto sottolineare in apertura
il disorientamento che questo ennesimo, doloroso attacco alla
democrazia e alle forze del lavoro ha provocato in ognuno di
noi.
E' inaccettabile - ha proseguito - l'idea che molte forze politiche
cercano di diffondere su una presunta contiguità tra
violenza e movimenti di dissenso, ignorando quanto il valore
del lavoro abbia contribuito all'affermazione della democrazia
nel nostro Paese. L'onorevole Sasso ha letto il
telegramma del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio
Ciampi al prof. Domenico Chiesa, presidente nazionale del
Cidi, in cui nell'augurare proficui lavori al convegno, si sottolinea
l'importanza del lavoro della nostra associazione per la crescita
civile della società e per la diffusione della cultura
nel comune spazio europeo.
Ha poi preso
la parola il presidente della Provincia di Pisa, Gino Nunes,
che ha rivolto un "saluto di merito" (come egli stesso
lo ha definito) ai convegnisti riconoscendo al Cidi l'impegno
dispiegato in molti anni di attività per far crescere
la percezione dell'importanza della scuola per lo sviluppo della
società.
Con lo sguardo rivolto ad una realtà territoriale, come
può essere la provincia di Pisa, in tutto simile a molte
altre in Italia, Gino Nunes ha sottolineato quanto in tempi
di alta competitività nel mondo del lavoro si richieda
qualità e intelligenza: qualità della formazione
e delle risorse umane. La scelta che si sta delineando di una
formazione unitaria non corrisponde allo sviluppo dei territori
con sviluppo avanzato, né alle esigenze della parte più
moderna della società.
Pisa ha tentato una sperimentazione del processo di riforma
della scuola delineato dal precedente governo; la Provincia
di Pisa intende continuare a valorizzare il processo di comunicazione
tra le offerte formative del territorio e la scuola, nonostante
la "controriforma in atto". Fondamentale l'idea della
riforma avviata dal Centro sinistra di riorientare la scuola
dall'insegnamento all'apprendimento, mentre l'attuale atteggiamento
del ministro Moratti apparentemente disponibile ad accettare
le obiezioni, in realtà mantiene i punti fondamentali
delle sue modifiche che politicamente significano più
scuola privata e più sostegno alla Confindustria.
L'Assessore
alla P.I. del Comune di Pisa, Bianca Storti, è
intervenuta a nome del sindaco Paolo Fontanelli portando i suoi
saluti ai convegnisti e ribadendo che pur nelle difficoltà
del momento, la scuola resta e dovrà restare il luogo
privilegiaro per affermare la convivenza, per abbattere i pregiudizi
e luogo di crescita globale dei futuri cittadini.
Ha preso
la parola Michele Paradisi direttore generale dell'ufficio
scolastico della Regione Toscana sottolineando la positività
del tema di fondo del convegno, vale a dire "il diritto
di tutti alla cultura", primo dovere di ogni società
democratica ed evoluta. La scuola è il luogo privilegiato
per la diffusione di una cultura dell'accoglienza, dell'integrazione
per tutti i soggetti a vario titolo "diversi", per
il dispiegamento delle potenzialità di ognuno. In questo
ruolo la collaborazione con gli EE.LL, pur nel rispetto dell'autonomia
delle scuole, costruire collaborazione ed evitare diseconomie
e sprechi, giungendo a creare progetti in comune in tutta la
Toscana.
Federico
Enriques, amministratore delegato della casa editrice Zanichelli,
si è detto molto colpito dagli avvenimenti recenti ed
ha sviluppato una critica costruttiva sulla precedente riforma
presentata dal centro sinistra, soprattutto per la scarsa visibilità
di un'idea portante della nuova scuola della Repubblica che,
a suo avviso, ha avuto un ruolo negativo durante la scorsa campagna
elettorale e relative elezioni. Anche
se talvolta un lavoro silenzioso e costante può dare
dei magnifici frutti, c'è un momento in cui il silenzio
deve essere rotto e questo sembra proprio uno di quelli poiché
assistiamo, quasi impotenti, non solo all'annebbiamento del
disegno di riforma del centro sinistra, ma e soprattutto, a
dei colpi decisivi contro la serietà della scuola e basti
citare la riforma dell'esame di Stato e il nuovo organico di
istituto per avere il segno di ciò che ci aspetta.
Prima di
entrare nel merito delle relazioni previste per sviluppare il
tema della prima mattinata di lavori " Il senso del nostro
tempo", ha preso brevemente la parola Alba Sasso
in qualità di ex presidente del Cidi per sottolineare
quanto la scuola immaginata dall'attuale ministro Letizia Moratti
sia lontana dalle parole che esprimono il tema del Convegno.
"Il diritto di tutti alla cultura". Una scuola che
non dà, lesina sui diritti dei cittadini, impoverisce
l'economia del nostro Paese. Vi è un'ostinazione nel
demolire ogni atto del precedente governo. Ne sono testimonianza
la riduzione delle risorse per il sostegno all'autonomia, la
riduzione degli insegnanti, la stessa trasformazione degli organi
collegiali che cancella il governo democratico della scuola.
Ci
troviamo di fronte ad un modello di scuola avara e arretrata
con una canalizzazione precoce che fa crescere le distanze tra
i cittadini. Si tratta, però, di un disegno miope che
si situa tra il familismo, il privatistico e l'aziendale. Se
c'è meno cultura per tutti, che idea di futuro c'è
dentro questa scuola? (Maria Pinzani Tanini)
Il
senso del nostro tempo
Il
diritto di tutti alla cultura - Domenico Chiesa
Infine Alba Sasso dà la parola, per la relazione introduttiva,
a Domenico Chiesa, da alcuni mesi presidente nazionale del Cidi:
il gesto assume anche il valore di un simbolico passaggio di
consegne da parte di chi, in qualità di presidente, ha
guidato il Cidi negli anni passati (il
testo della relazione di Domenico Chiesa).
La
cultura per la cittadinanza, la produttività, la democrazia
- Tullio De Mauro
Gli
atti del nuovo governo in materia di scuola si caratterizzano
per un attacco a ciò che il centro-sinistra nei precedenti
governi aveva avviato; ricordiamo, per esempio, la creazione
dei centri territoriali per l'educazione degli adulti e la riforma
dei cicli: tutto questo viene dal nuovo ministro ignorato o
cancellato. A ciò si aggiunge un sottinteso - e qualche
volta esplicito - attacco all'articolo 3 della Costituzione:
la scelta precoce del percorso scolastico va infatti nella direzione
opposta al dettato costituzionale.
Che fare? Innanzitutto cercare argomenti che facciano presa
sull'opinione pubblica, portare all'esterno le ragioni a sostegno
di una profonda riforma della scuola e del suo miglioramento,
e convincere anche quella parte della sinistra che è
stata finora sorda nei confronti delle ragioni della scuola
e che non ha saputo valorizzare abbastanza il lavoro degli insegnanti.
L'alfabetizzazione della società italiana è stato
il risultato di un processo storico recente: il Paese usciva
dal fascismo con il 66% di italiani che non parlava italiano
e un 60% che non aveva alcun titolo di studio. La scuola della
Repubblica ha fatto sì che oggi il 95% parli italiano
e che i figli degli analfabeti abbiano - per il 75% - un diploma.
Questo lo si deve quasi esclusivamente al lavoro degli insegnanti.
L'Italia è però il Paese dove si leggono meno
libri e meno giornali che in altri Paesi europei e dove quindi
l'analfabetismo di ritorno è un fenomeno frequente. Un
altro dato: il 78% delle famiglie non ha in casa nemmeno un
libro.
Investire nella scuola, nella cultura appare ad alcuni una spesa
necessaria ma non 'produttiva'. Di questa mentalità si
fa portavoce il ministro dell'istruzione, che ha già
ridotto di qualche migliaio il numero degli insegnanti e concorda
i suoi atti con il ministro delle Finanze: si veda la riduzione
progressiva del 3% degli stanziamenti per la ricerca. E invece
è stato dimostrato che l'investimento nella scuola ha
una ricaduta diretta nella produttività!
La scuola non può quindi che essere il centro di una
attività continua di formazione, coordinandosi con le
imprese, con gli enti locali, nella direzione dell'educazione
permanente di tutta la popolazione adulta. (Rosalba
Conserva)
L'informazione nella
società della conoscenza - Giulietto Chiesa
"Cercherò di inquietarvi, il titolo della mia relazione
dovrebbe essere trasformato in "La comunicazione nella
fine della democrazia", perché è evidente
a tutti noi, almeno in questa sala, che siamo sottoposti a un
flusso informativo che ha lesionato tutti gli altri sistemi,
la famiglia in primo luogo e poi la scuola. Tutto questo ha
comportato un abbassamento del tenore etico di questo Paese
e i governi di centro-sinistra non hanno fatto nulla per contrastare
questo flusso, per migliorare il servizio pubblico della comunicazione,
anzi le reti Rai hanno "scimmiottato" la TV privata,
le reti Mediaset.
Non esiste differenza tra servizio d'informazione e di intrattenimento,
ci troviamo di fronte a un pastone indifferenziato, a forte
contenuto ideologico: passano più idee in una "Domenica
in" che non in tanti Tg! E la gente, la maggior parte delle
persone, non può difendersi perché non sa, non
ha gli strumenti. Questa è una delle questioni centrali
- a proposito della formazione al pensiero critico - la scuola
deve dare competenza per decodificare il messaggio televisivo.
I messaggi della TV sono tutti subliminali, perché attraverso
lo schermo televisivo passano non solo contenuti, ma anche una
modalità di apprendimento totalizzante. Siamo immersi
in una situazione orwelliana che colpisce in misura maggiore
i più deboli: le bambine, i bambini, i giovani, coloro
che non hanno strumenti culturali e, questo, ha a che fare con
la democrazia: quanto più si abbassa il tenore etico
di una società, tanto più è a rischio la
democrazia.
L'85% del flusso informativo è nelle mani di sei grandi
multinazionali, tra esse Berlusconi non è uno dei più
forti. Ebbene senza questo sistema mediatico la globalizzazione
non sarebbe stata possibile, arrivo a dire che non lo sarebbe
stato nemmeno l'undici settembre, pensato anche come un grande
evento mediatico e nemmeno la guerra in Kosovo, in Afghanistan
: le guerre avvengono in televisione che le rende mondiali.
Qualcuno dice che sono apocalittico, sì, ma non integrato!
Facciamo qualche esempio concreto: si dice che l'informazione
è l'idea del mondo, l'informazione invece capovolge il
mondo. Pensate a quanto ci hanno detto, tutti i giornali, tutte
le televisioni, rispetto all'Afghanistan: che le donne gettavano
il burka, che gli uomini si tagliavano le barbe
solo falsità!
Non un errore, che è sempre possibile, non un ordine
di scuderia, che non serve tanto lo sanno a memoria che cosa
dire e che cosa no. Una congrega di non più di una trentina
di persone che esercita una vera e propria azione di violenza,
un lavaggio del cervello, rispetto al quale noi, noi sinistra,
non abbiamo fatto niente e rispetto al quale dobbiamo invece
cominciare ad "armarci". Come? Riappropriandoci e
reinventando quei luoghi di vita collettiva - partiti, parrocchie,
circoli ricreativi - che ci sono stati "scippati"
e che hanno invece costituito la ricchezza, la grande rete di
protezione di questo Paese, che ha costruito la sua democrazia
attraverso la partecipazione di una grande società civile.
Oggi invece c'è un unico centro: la TV e allora nostro
compito è costruire la democrazia dentro la comunicazione,
cominciando ad esercitare un controllo democratico di essa.
Chi ha deciso per esempio che Bruno Vespa deve avere cinque
sere di sevizio televisivo pubblico a sua disposizione?
Per costruire questo controllo dobbiamo però dotarci
di strumenti che non abbiamo mai avuto e sapere per esempio
che educare allo spirito critico significa anche aiutare a "smontare"
il messaggio televisivo; e chi riesce a capire è libero
per sempre. Un grande "esercito di insegnanti", dotato
di questi strumenti, diviene un moltiplicatore potente; e questo
vale anche per tanti genitori e tanti politici, perché
questa è oggi l'esigenza prioritaria.
Ecco perché nel dibattito sulla riforma della scuola
il tema della comunicazione deve entrare con tutta la sua valenza.
Ci aspetta una battaglia politica molto difficile e il tempo
che abbiamo è poco. In questo la scuola, gli insegnanti
sono uno snodo decisivo, i protagonisti fondamentali. (Barbara
Accetta)
Presiede
ed introduce la sessione pomeridiana Emanuela Coniglione,
presidente del Cidi di Catania. L'elemento che è scaturito
con più forza nella prima sessione dei lavori del trentesimo
convegno del Cidi è l'importanza del ruolo della scuola
come istituzione democratica nella nostra società;. proprio
perché la scuola è il luogo dove si costruiscono
pensiero - sapere - autonomia gli interventi che tentano di
indebolire democrazia nella scuola sono preoccupanti.
Ma come contrastare questo disegno? Bisogna tenere presente
che se la scuola è uno dei presidi della democrazia non
può essere difeso solo da coloro che vi lavorano, ma
questa battaglia deve essere sostenuta da tutta la società
civile.
Gli ambiti della democrazia non sono definiti una volta per
sempre ma sono influenzati dai differenti contesti. La nostra
associazione cerca proprio di coniugare il concetto di cultura
e democrazia nella ricerca del fare concreto nelle singole scuole
ed è vero che i nuovi diritti di cittadinanza e i valori
di uguaglianza e diversità nelle scuole devono trovare
nuove e più corrette declinazioni. E' giusto anche riflettere
su come imparare a controllare gli strumenti della comunicazione
in modo che la nuova generazione non sia subalterna a modelli
culturali sbagliati.
E' necessario dare un senso politico ai tanti progetti che si
fanno nella scuola e a riflettere sulla procedura dell'apprendimento
e dell'interazione. (Velia
Di Pietra)
Una
istituzione chiamata scuola
Apprendere
a scuola - Pietro Boscolo
Quale è il significato dell'apprendere a scuola? Tre
sono gli aspetti da considerare: la dualità dell'apprendimento,
ovvero il fatto che a scuola non si imparano soltanto "oggetti",
ma anche "significati"; l'apprendimento motivato;
la qualità dell'apprendimento. La seguente tabella, che
non ha pretese di esaustività e prescrittività,
consente di tenere sotto controllo le variabili in gioco.
Apprendere
a scuola
|
OGGETTI
|
QUALITA'
|
VINCOLI
|
CONDIZIONI
FAVOREVOLI
|
RISPOSTA
|
Conoscenze
|
Integrazione
|
Discipline
|
Sostegno
|
Coinvolgimento
|
|
Flessibilità
|
Contesto
|
Condivisione
|
Consapevolezza
|
Regolazione
|
Adattività
|
Contesto
|
Autonomia
assistita
|
Strategie
di
autoregolazione
|
L'esperienza
di apprendimento scolastico non si misura soltanto con le conoscenze
in senso lato, ma anche con un insieme di atteggiamenti, di
comportamenti e di regole che interferiscono variamente con
l'attività cognitiva. L'apprendimento avviene sempre
in contesti di interazione, che sono portatori di significati.
Riguardo alla qualità, va chiarito che il concetto di
integrazione ha a che fare con la continuità tra ciò
che si sa e ciò che si apprende di nuovo, mentre la flessibilità
chiama in causa la capacità di riutilizzo del sapere
in altri contesti. Le discipline rappresentano l'organizzazione
concettuale del lavoro docente, ma anche il "contenitore"
che consente agli studenti di costruire significati dentro il
contesto di apprendimento. La didattica può creare condizioni
favorevoli all'apprendimento non solo quando, attraverso il
linguaggio, compie un'azione di sostegno ai processi cognitivi,
ma anche quando sollecita negli studenti la convinzione che
l'apprendimento è qualcosa di condiviso con i docenti
e con i compagni.
La questione relativa alla risposta dello studente chiama in
causa il problema della motivazione e con esso la possibilità
di un insegnamento che non sia "senza storia", nel
senso che riguardi cioè soltanto il futuro, ma che sappia
intercettare già a scuola, quando ciò è
possibile, l'interesse ed il desiderio di conoscere degli studenti.
Un apprendimento nel lavoro, invece, è un apprendimento
del presente, senza prospettiva. Sul piano regolativo, il percorso
di crescita dell'allievo ha come obiettivo, attraverso varie
fasi, il raggiungimento della capacità di autoregolazione.
(Velia Di Pietra e Maurizio Muraglia)
L'esperienza conoscitiva dalla
scuola dell'infanzia alla superiore -
Giancarlo Cerini
L'indignazione
di Giulietto Chiesa e l'analisi misurata di Boscolo fanno ribadire
a Cerini che la cultura è uno strumento di incontro,
di pace e di conoscenza delle diverse situazioni di vita. Gli
insegnanti rappresentano nella società italiana quel
"ceto medio di reattività costruttiva", capace
di tradurre concretamente un'idea democratica di scuola. A questo
scopo cultura e società sono strettamente connesse e
anche se esiste uno stacco fra la scuola che gli insegnanti
vogliono e le pratiche sociali e politiche che la realizzano,
essi e, in particolare quelli che hanno animato finora il Cidi,
hanno il diritto di impegnarsi nella sfida fra utopia e progetto.
Nessuno schema di riforma scolastica, nessun capitolato legislativo
è soddisfacente alla realizzazione del progetto se non
si parte dai "sentimenti" professionali degli insegnanti.
Le riforme non sono dei modelli di ingegneria strumentale ma
sono collegate alla storia della scuola, al tempo del processo
di apprendimento/insegnamento che la caratterizzano, alla qualità
delle discipline e alle loro relazioni interne.
D'altra parte, il "lavoro culturale quotidiano ben fatto"
è la bandiera degli insegnanti ed essi debbono pretendere
un aiuto da parte della riforma a lavorare meglio. Nello stesso
tempo, non ci si deve irrigidire accettando per compiuti quei
processi che sono ancora in atto, come quello dell'autonomia,
che rischia in questo momento di essere "ingessata da una
routine burocratica e dalle esigenze di localismi strumentali
e che, soprattutto, è largamente incompleta nella riforma
dei curricoli didattici, interrotta e fraintesa dall'attuale
governo. L'autonomia deve ancora rilevare la pertinenza e il
contenuto dei vari percorsi pedagogici. Cerini cita due esempi
di malessere legati alla fisionomia della scuola di base che
viene subita per lo più come una struttura burocratico-
amministrativa. Si dovrebbe ripartire dall'esperienza degli
Istituti comprensivi per valorizzare il curricolo verticale
e le competenze dei centottantamila insegnanti in esso impegnati.
Andrebbero sensibilizzati i rapporti fra la scuola, i genitori
e le comunità locali. Anche la difesa del diritto al
successo formativo dovrebbe incentivare nell'intero arco della
scuola secondaria inferiore e superiore la riflessione critica
sulla centralità dello studente. C'è un processo
di reciproca responsabilità che dovrebbe evitare scorciatoie
metodologiche e far riflettere sui tempi difformi e specifici
dell'apprendimento. Nella piattaforma culturale finora offerta
ci sono impoverimenti e chiusure, in particolare nel rapporto
tra la scuola primaria e secondaria, dove a volte si calca troppo
la mano su una alfabetizzazione eccessivamente strumentale,
più orientata verso il risultato che sensibilizzata al
dinamismo del processo e del percorso. Anche riguardo al rapporto
tra alfabetizzazione disciplinare e multimedialità, la
scuola appare troppo rigida. Dovremmo sapere di più su
come si attivano, trasmettono, conservano le conoscenze; dovrebbero
svilupparsi di più le connessioni, lo smontaggio/montaggio
delle azioni e dei mezzi cognitivi, dei percorsi di approdo
metacognitivo. La scelta sul "core" curriculum, di
per sé legittima, non può irrigidirsi sullo schema
dell'insegnamento frontale: il curriculum non è "un
osso spolpato", ma si deve arricchire del gioco e del dinamismo
multidisciplinare, della vita di relazione e connessione tra
i vari saperi. Anche la distinzione tra i vari saperi "interessati
al gusto della conoscenza" e quelli pratici, atti ad operare
nel mondo del lavoro, non può cristallizzare la società
tra chi è "destinato a capire" e chi deve essere
inquadrato in "ruoli solo esecutivi e passivi". I
contenuti dell'apprendimento e della formazione devono avere
una risonanza esistenziale e ci sono valori su cui dobbiamo
essere intransigenti :lo sguardo sulla formazione deve essere
"lungo". A questo proposito è necessario riprendere
una riflessione critica sull'apprendimento perché "non
c'è stato il coraggio di affrontare i nodi in cui tutti
i settori scolastici dovrebbero mettersi in discussione su cosa
c'è dentro la formazione e quali sono i suoi obiettivi.
Proprio a causa di questa paura, l'attuale politica governativa
è tornata furbescamente indietro, intervenendo su quella
parte della scuola dell'infanzia che è "senza identità"
per la plasticità dei bambini pre-scolarizzati. L'anticipo
dell'accesso all'obbligo primario ai cinque anni fa partire
da lì la discriminante del doppio canale. Si potrebbe
certamente cominciare "prima" ma con che cosa, con
quali incontri? Con i colori, le parole, lo spazio, la natura?
Ci muoviamo su eventi percettivi, su schemi, su immagini, evocazioni
che, se aprono nuove possibilità, devono però
prevedere un'altrettanto ricca trasformazione delle nostre idee
di adulti e di insegnanti verso i bambini, in un disegno legislativo
che "deve diventare come una ballata popolare, cioè
andare in mezzo alla gente. Solo che noi lo vogliamo, la riforma
siamo noi". (Rosanna Angelelli)
Dopo
l'obbligo di istruzione: l'integrazione dei sistemi -
Giuseppe Bagni
La nuova economia globale non sembra perdere l'interesse per
"forza-lavoro a bassa competenza tecnica, frutto d'un addestramento
povero, parcellizzato, alienato"; solo lo allontana da
sé, destinandolo a quei Paesi dove il lavoro non interpreta
una necessità di cittadinanza ma è, molto più
drammaticamente, condizione di sopravvivenza.
E' una visibilità negata, quindi, non un'assenza di "modernità"
del lavoro umile, non riconoscerlo sarebbe aggiungere umiliazione
a coloro, e sono tanti, che ad esso sono tuttora destinati.
Va anche detto, poi, che del valore della formazione scolastica
non sembra nemmeno esserci tutta questa consapevolezza nel mondo
economico.
Ecco allora che la peggior lettura che si può dare di
due canali distinti e fortemente differenziati è tutt'altro
che anacronistica. Corrisponde, infatti, ad una logica tutt'altro
che obsoleta.
Due ruoli possibili nel mondo del lavoro: i gestori dei processi
e delle macchine e i gestiti da queste. La mediazione politica,
introducendo nella lunghezza dei percorsi un modello a "canne
d'organo", ha contribuito a rafforzare il segnale, ma già
nelle "raccomandazioni" della commissione Bertagna
si recitava che "qualche giovane è più attirato
dalle dimensioni grammaticali e teoretiche del sapere; altri
da quelle pragmatiche ed operative del sapere di cui ha bisogno
qualsiasi fare umano. Qualcuno più dalla scienza, altri
più dalla tecnica
".
Si tratta di una vecchia e anacronistica separazione. Tutta
la migliore pedagogia, da Dewey in poi, riconosce che il problema
vero è "in che modo la teoria può criticizzare
il contesto, aiutare la mente a liberarsi dalla "prigionia
del concreto", in che modo la pratica può fornire
quell'apporto di autenticità, di motivazione ed indurre
la teoria a "riconfigurarsi" dando luogo a nuova conoscenza
contestualizzata?" In conclusione la teoria dovrebbe criticizzare
e virtualizzare la pratica, la pratica ancorare e riconfigurare
la teoria stessa
(Calvani, 2002).
E gli insegnanti? Sia la legge delega che il documento "Bertagna"
propongono l'immagine di un docente vuoto: per aggiornarsi deve
tornare all'Università, confermando che il docente è
l'unico professionista non abilitato a ricercare sulla propria
professione. Anche l'autonomia viene di conseguenza svuotata.
Infatti l'autonomia di ricerca si sposta dal terreno interno
della definizione del curricolo a quello esterno, del collegamento
in rete con le altre risorse del territorio.
In effetti, aprire in alto i percorsi della formazione professionale
senza dare più solidità alle basi culturali di
ciascuno, si riduce ad un gesto appariscente ma che nella sostanza
non cambia chi è destinato a subire la. selezione.
Quando si vanno a vedere gli esempi che la commissione Bertagna
ha esplicitato per le qualifiche di base del percorso dell'istruzione
e formazione, si trovano i profili di sempre: laminatore, verniciatore,
saldatore o tornitore, con in più la possibilità
di frequenza in alternanza col lavoro; è difficile pensare
che possa essere qualcosa di diverso dal vecchio addestramento
che ha ben poco in comune con l'idea di un "sapere messo
al lavoro". Aprire alla formazione professionale senza
discuterne finalità e livello e senza domandarsi il perché
della generalizzata assenza di qualità delle proposte
di questi ultimi anni, è molto pericoloso, soprattutto
alla luce dell'esplosione che si è registrata nel mercato
della formazione sulla spinta del crescente interesse di agenzie
private e consorzi misti, proliferati improvvisamente con l'accesso
libero ai fondi europei.
E' possibile che tra i docenti chiamati a confrontarsi con un
numero sempre crescente di allievi "difficili", dalle
motivazioni ogni anno più pallide, si vada espandendo
un atteggiamento favorevole all'ipotesi di canali separati:
i bravi a scuola gli altri nella formazione.
E tuttavia, qual è la scuola italiana nella crisi? Quella
della centralità dello studente, delle ciniche promozioni
elargite a tutti? Sempre più facilitata e squalificata,
caratterizzata dal dominio del saper fare sul sapere? Pura ipocrisia.
La nostra è una scuola divenuta di massa conservando
la struttura di scuola d'élite con cui era nata.
Il fallimento a cui può andare incontro riguarda ancora
il modello gentiliano.
Ma un'altra scuola è possibile, anche se questa nuova-vecchia
teoria della scuola ha il vantaggio di andare incontro alla
pratica dominante nella scuola, da sempre, e al senso comune
che non mette in discussione sapere scolastico ma vuole l'adeguamento
degli studenti a questo.
Alunni che attraversano il tempo della scuola per aprire il
proprio futuro, altri che vengono attraversati dalla scuola
che li trascina all'unico futuro possibile.
Pericoloso occuparsi solo di formazione di base, ampia ma senza
connotazioni in contesti d'esperienza: si rischia di creare
una manodopera aperta a qualsiasi lavoro senza connotati. I
ragazzi a scuola devono imparare, imparando a desiderare un
futuro che la scuola si impegna a far diventare esperienza vissuta.
Non separare gli "ottimi" dai "sufficienti",
senza la ricchezza del contesto culturale in certe classi si
potrà fare solo terapia, non certo didattica,. Far sì
che ogni scelta diventi un'esperienza vissuta e reversibile,
come un ramo che si orienta liberamente. Se si stacca secca
rapidamente. Quel tronco può essere costituito oggi solo
da un livello d'istruzione più elevato. Saranno poi i
percorsi intrecciati e alternati a dare applicazione e senso
al sapere trasmesso nell'istruzione, perché sia generale
senza essere generico, disinteressato senza essere inutile.
Domenico Chiesa ha illustrato quello che potrebbe essere una
posizione su cui convogliare le energie della scuola: "Tra
i percorsi di istruzione e di formazione professionale esistono
differenze tali da renderli non alternativi; essi rappresentano
esperienze formative complementari.
In questo senso va ribadita la centralità della scuola
nella fascia del diritto/dovere all'istruzione, mentre il periodo
appena successivo a tale età (16÷18 anni) costituisce
il tempo del "confine", dell'intreccio e della contaminazione
tra i sistemi formativi. Al percorso di formazione professionale
va garantita, dalla scuola, una base adeguata di formazione
culturale. (Giuseppe Bagni)
La
funzione pubblica della scuola - Luigi Ferrajoli
Intorno
alla scuola si scontrano concezioni diverse, individuabili in
tre questioni:
a)
La scuola deve essere un luogo di educazione a valori, credenze
oppure alla libertà di pensiero e alla ragione critica?
b) Deve essere una sorta di apprendistato per l'inserimento
nel mondo del lavoro oppure un momento primario per la formazione
civile del cittadino?
c) Deve selezionare le classi dirigenti e quindi distinguersi
in scuola di massa e scuola d'élite oppure deve essere
un fattore di inclusione sociale, di rimozione degli ostacoli
che producono disuguaglianza, come recita l'articolo 3 della
Costituzione.
La Costituzione
fornisce una risposta chiara a queste domande. Affermando che
la scuola è aperta a tutti configura l'istruzione e la
cultura come un diritto fondamentale della persona, universale
e inalienabile. Per questo l'istruzione è obbligo dello
Stato, rientra cioè nella sfera degli interessi di tutti.
La scuola è una funzione pubblica proprio perché
soddisfa una esigenza di tutti e perché è affidata
allo Stato: l'articolo 33 della Costituzione non parla genericamente
di scuole pubbliche ma, appunto, di scuole statali.
La scuole esercita tre tipi di funzioni pubbliche riconducibili
ai tre valori fondamentali della rivoluzione francese: libertà,
uguaglianza, fratellanza o solidarietà. La prima funzione,
quella della libertà, non può essere esercitata
dalla scuola privata, perché in questo caso si tratta
di libertà della scuola e non nella scuola. La seconda
funzione, quella della uguaglianza, che significa tutelare uguali
possibilità di accesso a ciascuno, non può essere
esercitata dalla scuola privata che degrada il diritto all'istruzione
di tutti a un diritto patrimoniale, sottoposto al mercato. La
terza funzione, quella della solidarietà, è sempre
stata esercitata dalla scuola statale che storicamente è
stata il principale fattore di unificazione nazionale.
Con il documento Bertagna e la proposta di riforma Moratti si
introducono invece tre tipi di disuguaglianza:
a) nella diversificazione del curricolo;
b) affidando alle famiglie la scelta di parte del percorso formativo;
c) affidando la scuola alla competenza regionale.
A questo proposito la proposta di Bossi prevede programmi scolastici
nell'interesse specifico delle Regioni.
Insomma, attraverso tali proposte di riforma della scuola, è
in atto un attacco non solo al diritto all'istruzione ma ai
presupposti stessi della democrazia.
La battaglia per la salvaguardia della funzione pubblica della
scuola non ha, dunque, carattere settoriale, ma è una
battaglia per la democrazia stessa. (Luciana
Scarcia)
la
sessione termina alle ore 19.00
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