Approvato
dal Consiglio dei Ministri il 12 settembre 2003
L’iter
legislativo
L’approvazione dello schema del primo decreto
legislativo riguardante le norme generali per la scuola dell’infanzia e del
primo ciclo dell’istruzione (attualmente in fase di elaborazione e discussione)
rappresenta la condizione necessaria per l’avvio della riforma nella scuola
dell’infanzia, nella scuola primaria e nelle scuola secondaria di I grado,
ai sensi della legge delega n. 53 del 28 marzo 2003.
L’iter procedurale è stimabile in alcuni mesi
di tempo a partire dalla prima approvazione dello schema di decreto da parte
del Consiglio dei Ministri (avvenuta il 12 settembre 2003). Sono infatti necessari
per completare l’iter:
-
il parere obbligatorio (ma non vincolante)
della Conferenza unificata Stato-Regioni (45 giorni) e delle competenti commissioni
parlamentari della Camera e Senato (60 giorni);
-
la formalizzazione del testo definitivo;
-
la definitiva approvazione del Consiglio
dei ministri;
-
la pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale.
In caso di (probabili) proposte di modifiche
in sede di commissioni parlamentari, il decreto potrebbe avere un iter procedurale
più lungo e complesso. L’ipotesi di un possibile slittamento dei tempi sembra
ragionevole, alla luce del disagio manifestato nelle scuole rispetto a molti
contenuti del decreto e dei contrasti emersi all’interno della stessa maggioranza,
i quali già hanno determinato una preliminare attenuazione di alcune rigidità
presenti nelle precedenti versioni. In modo particolare:
-
al comma 5, art. 7, viene introdotta
una formula che richiama il principio della “contitolarità didattica dei
docenti”;
-
al comma 6, art.7, si afferma che:
“Il docente al quale sono affidati i compiti previsti dal comma 5 assicura,
nei primi tre anni della scuola primaria, un'attività di insegnamento agli
alunni non inferiore alle 18 ore settimanali”. La formula precedente prevedeva
un tempo compreso tra le 18 e le 21 ore settimanali (con un esplicito riferimento
alla maggiore presenza nello stesso gruppo classe, che in questa versione
scompare).
Le modifiche apportate nella versione del
12 settembre 2003 appaiono assai marginali, tali da non intaccare nella sostanza
il precedente testo del decreto legislativo, rispetto al quale esprimiamo
profondo dissenso e sul cui contenuto i gruppi nazionali Infanzia, scuola
elementare, scuola media del Cidi hanno compiuto un’analisi approfondita,
nel merito dei singoli commi, analisi che è riportata in allegato alla presente
nota. In questa sede ci preme sintetizzare solo alcuni punti che consideriamo
irrinunciabili.
1)
La salvaguardia dei principi e degli
spazi di autonomia organizzativa, didattica e culturale delle scuole. Un decreto,
infatti, non può regolamentare nel dettaglio gli aspetti organizzativi ormai
affidati all’autonomia (per esempio la
configurazione del team docente, l’articolazione delle funzioni, la definizione
degli ambiti disciplinari, ecc.), introducendo fra le discipline gerarchie
ingiustificate dal punto di vista pedagogico ed estranee alla cultura professionale
dei docenti.
2)
La garanzia della
quantità e della qualità del tempo scuola obbligatorio per gli allievi
(e le famiglie), mentre il decreto ne propone una consistente riduzione e
tace sulle condizioni concrete - a cominciare dall’organico docente e dalla
compresenza - indispensabili per progettare e costruire percorsi didattici
ed esperienze di apprendimento di qualità per ogni
ragazzo. La flessibilità ipotizzata dal decreto, invece, finisce con
l’impoverire l’offerta formativa della scuola, in una logica del tutto marginale
e facoltativa.
3)
La palese incongruenza tra alcuni
articoli del decreto ed i capitoli “vincoli e risorse” contenuti nei diversi
documenti allegati (Indicazioni), che intervengono illegittimamente sugli
aspetti organizzativi del nuovo ordinamento. Rileviamo anche che le bozze
di Indicazioni nazionali non sono il frutto (come invece
è sempre stato nella storia scolastica repubblicana) di un dibattito
pedagogico e culturale ampio, approfondito, condiviso dalla comunità scientifica
e professionale. La stessa legge 53/2003
(art. 7) indica un ben diverso iter procedurale per la elaborazione
del “nucleo essenziale dei piani di studio scolastici”.
ll Cidi segnala pertanto la necessità di istituire
commissioni di studio pluralistiche e rappresentative del mondo della cultura,
della scuola e della società del nostro Paese, per procedere alla definizione
dei piani di studio nazionali, come prescrive anche l’art. 8 del Regolamento
dell’autonomia (Dpr 275/99).
L’avvio di una fase costruttiva di confronto
con gli insegnanti e con le scuole, anche attraverso il supporto ad attività
di ricerca e di formazione, è ben più opportuna e conveniente delle dispendiose
campagne pubblicitarie promosse in questi mesi.
Mera opera di propaganda deve intendersi anche
la recente “velina” interpretativa diffusa dal MIUR, che tenta di spiegare
il decreto, introducendo elementi di rassicurazione (come nel caso del tempo
pieno) non contenuti nell’articolato né nella relazione di accompagnamento.
Oltre tutto, si tratta di un gesto di rara indelicatezza nei confronti del
Parlamento e della Conferenza Stato-Regioni che ancora devono esprimersi sul
contenuto del documento legislativo.
Invitiamo invece a riflettere attentamente
sulle conseguenze delle numerose abrogazioni contenute in calce al decreto
legislativo perché, con una procedura asettica e apparentemente tecnica, si
modificano nella sostanza aspetti fondamentali della attuale scuola di base
(finalità educative, continuità curricolare, orari di funzionamento, organizzazione
delle cattedre, ecc.) peggiorandone la struttura organizzativa ed il profilo
culturale.
Roma, 10 novembre 2003 Segreteria nazionale
Cidi
UN COMMENTO ANALITICO*
*A cura dei Gruppi nazionali Infanzia, Scuola elementare, Scuola
media del Cidi.
1° |
1. La scuola dell’infanzia, di durata triennale,
concorre all’educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo,
morale, religioso e sociale delle bambine e dei bambini promovendone
le potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento,
e ad assicurare un’effettiva eguaglianza delle opportunità educative;
nel rispetto della primaria responsabilità educativa dei genitori, contribuisce
alla formazione integrale delle bambine e dei bambini e, nella sua autonomia
e unitarietà didattica e pedagogica, realizza la continuità educativa
con il complesso dei servizi all’infanzia e con la scuola primaria.
|
Si riconferma la triennalità del percorso formativo,
ma il meccanismo dell’anticipo, con l’opzione delle famiglie, determina
una scuola dell’infanzia a durata variabile (di 2 o 3 o 4 annualità),
mettendo a repentaglio l’identità pedagogica, curricolare ed organizzativa
della scuola dai 3 ai 6 anni. Al di là delle affermazioni di principio, mutuate
dalla legge 30/2000, con la significativa accentuazione dell’educazione
morale e religiosa, resta assai fragile la connotazione giuridica e
istituzionale della scuola dell’infanzia nell’ambito del primo ciclo
di istruzione, visto che tale percorso non viene considerato nel profilo
di uscita dopo il primo ciclo d’istruzione (si parla infatti di ciclo
6-14 anni anziché 3-14).
|
2° |
2. È assicurata la generalizzazione dell’offerta
formativa e la possibilità di frequenza della scuola dell’infanzia.
|
L’effettiva generalizzazione del servizio viene
rinviata a successivi decreti interministeriali (v. comma 2, art. 12),
vincolati alla disponibilità di risorse finanziarie. Il concetto di
“possibilità” non richiama certamente un diritto soggettivo pienamente
tutelato.
|
1° |
1. Alla scuola dell’infanzia possono essere iscritti
le bambine e i bambini che compiono i tre anni di età entro il 30 aprile
dell’anno scolastico di riferimento.
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Tale possibilità viene limitata di fatto da una
serie di condizioni (v. comma 1, art. 12) e comunque assume un carattere
sperimentale e graduale. Al momento, non sono state aperte le iscrizioni
per i bambini di età inferiore ai tre anni, per l’esplicita opposizione
dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni d’Italia) in relazione a risorse,
tempi, condizioni pedagogiche necessarie.
|
1° |
1. L’orario annuale delle attività educative per
la scuola dell’infanzia, comprensivo della quota riservata alle Regioni,
alle istituzioni scolastiche autonome e all’insegnamento della religione
cattolica in conformità all’Accordo che apporta modifiche al Concordato
lateranense e relativo Protocollo addizionale, reso esecutivo con la
legge 25 marzo 1985, n. 121, ed alle conseguenti intese, si diversifica
da un minimo di 875 ad un massimo di 1700 ore, a seconda dei progetti
educativi delle singole scuole dell’infanzia, tenuto conto delle richieste
delle famiglie.
|
Riportando l’orario
annuale al tempo scuola settimanale ci troviamo di fronte ad un minimo
di 25-26 ad un massimo di 48-50 ore settimanali (in relazione alle 33
o 35 settimane di funzionamento), con decisioni che sembrano dipendere
fortemente dalle richieste delle famiglie. Ad esempio, se
non si indicano soglie di compresenza garantite, c’è il rischio concreto
di dar vita ad un servizio di carattere prettamente assistenziale. Nulla si dice circa la determinazione degli organici,
né – come per la scuola primaria e per la scuola secondaria di primo
grado – quale quota del curricolo orario potrebbe essere riservata alla
Regione o alle scuole autonome e quale invece dovrebbe essere garantita
a livello nazionale.
Sembra delinearsi un servizio con pochi limiti
e garanzie e con una ampia gamma di flessibilità. L’orario breve di
25 ore settimanali, che viene ora “ufficializzato”, oggi è limitato
alle situazioni deboli e marginali (servizio antimeridiano, senza mensa,
senza doppio organico).
|
2° |
2. Al fine del conseguimento degli obiettivi formativi,
i docenti curano la personalizzazione delle attività educative, attraverso
la relazione con la famiglia in continuità con il primario contesto
affettivo e di vita delle bambine e dei bambini. Nell’esercizio dell’autonomia
delle istituzioni scolastiche sono attuate opportune forme di coordinamento
didattico, anche per assicurare il raccordo in continuità con il complesso
dei servizi all’infanzia e con la scuola primaria.
|
Vengono sottolineati i principi della personalizzazione
delle attività educative ed il ruolo delle famiglie, ma si trascurano
concetti pedagogici essenziali, come quelli relativi al gruppo dei pari,
al contesto sociale e cognitivo della scuola, alla vita di relazione
in sezione, ecc.
Con la formula “coordinamento” non è chiaro se
ci si riferisce al coordinamento pedagogico, al coordinamento di sezioni
o plessi o ad altre funzioni. Si conferma, comunque, il principio della continuità
verso il basso (compaiono anche i nidi) o verso l’alto (con la prima
elementare, che si presenta come monoennio). |
3° |
3. La scuola dell’infanzia cura la documentazione
relativa al processo educativo e, in particolare, all’autonomia personale
delle bambine e dei bambini, con la collaborazione delle famiglie.
|
Interessante appare il richiamo alla documentazione
del processo educativo, principio che era fortemente raccomandato già
negli Orientamenti del 1991. |
1° |
1. Il primo ciclo d’istruzione è costituito dalla
scuola primaria e dalla scuola secondaria di primo grado, ciascuna caratterizzata
dalla sua specificità. Esso ha la durata di otto anni e costituisce
il primo segmento in cui si realizza il diritto-dovere all’istruzione
e formazione.
|
Il richiamo al diritto-dovere conferma la scomparsa
del concetto di obbligo scolastico. Resta aperto il problema della sanzionabilità
del mancato esercizio del dovere all’istruzione. Resta il fatto che la scuola dell’infanzia non
è inserita in questo primo percorso formativo (primo ciclo), e ciò,
alla luce della scoparsa del concetto di obbligo scolastico, appare
ancora più incomprensibile.
|
2° |
2. La scuola primaria, della durata di cinque anni,
è articolata in un primo anno, raccordato con la scuola dell’infanzia
e teso al raggiungimento delle strumentalità di base, e in due periodi
didattici biennali.
|
Questo tipo di articolazione in periodi didattici
può favorire il rapporto con la scuola dell’infanzia, ma sanziona ulteriormente
la separatezza interna al primo ciclo (tra scuola primaria e scuola
secondaria di primo grado). Inoltre, la scansione in tre periodi sembra
introdurre una eccessiva frammentazione del percorso, con moltiplicazione
di obiettivi e verifiche. L’ipotesi di articolazione 1+2+2 (elementari)
e 2+1 (medie) è stato inserito nel corpo della legge nonostante la Commissione
Bertagna avesse optato per un percorso unitario 2+2+2+2, con un migliore
intreccio tra quinta elementare e prima media.
|
3° |
3. La scuola secondaria di primo grado, della durata
di tre anni, si articola in un periodo didattico biennale e in un terzo
anno, che completa prioritariamente il percorso disciplinare ed assicura
l’orientamento ed il raccordo con il secondo ciclo.
|
L’articolazione 2+1 della scuola media è ufficialmente
motivata con l’esigenza di favorire un migliore rapporto con il secondo
ciclo d’istruzione, ma non incoraggia la continuità verso la scuola
primaria; apre inoltre dubbi ed interrogativi sull’effettivo significato
del “monoennio” finale, che può essere variamente interpretato, fino
a prefigurare una forte differenziazione dei percorsi ed un’anticipazione
della canalizzazione precoce che si registra a 14 anni.
|
4° |
4. Il passaggio dalla scuola primaria alla scuola
secondaria di primo grado avviene a seguito di valutazione positiva
al termine del secondo periodo didattico biennale.
|
Il richiamo alla valutazione (alla fine del secondo
periodo didattico, cioè della quinta classe) fa pensare alla conclusione
di un percorso e conseguentemente rafforza
l’identità differenziata dei due segmenti di scuola. L’affermazione
del decreto pare comunque contraddittoria rispetto all’abolizione dell’esame
di quinta elementare.
|
5° |
5. Il primo ciclo di istruzione si conclude con
l’esame di Stato, il cui superamento costituisce titolo di accesso al
sistema dei licei e al sistema dell'istruzione e della formazione professionale.
|
Resta il valore legale del titolo di studio, che
consente di accedere ai due percorsi formativi successivi (doppio canale:
sistema dei licei e sistema di istruzione-formazione professionale).
|
CAPO III LA SCUOLA PRIMARIA
1° |
1. La scuola primaria promuove, nel rispetto delle
diversità individuali, lo sviluppo della personalità, ed ha il fine
di far acquisire e sviluppare le conoscenze e le abilità di base, ivi
comprese quelle relative all’alfabetizzazione informatica, fino alle
prime sistemazioni logico-critiche, di fare apprendere i mezzi espressivi,
la lingua italiana e l'alfabetizzazione nella lingua inglese, di porre
le basi per l'utilizzazione di metodologie scientifiche nello studio
del mondo naturale, dei suoi fenomeni e delle sue leggi, di valorizzare
le capacità relazionali e di orientamento nello spazio e nel tempo,
di educare ai princìpi fondamentali della convivenza civile.
|
|
1° |
1. Sono iscritti al primo anno della scuola primaria
le bambine e i bambini che compiono i sei anni di età entro il 31 agosto
dell’anno di riferimento. |
Sono obbligati solo coloro che compiono i sei anni
entro il 31 agosto. I nati dal primo settembre al 31 dicembre, sono
considerati virtualmente “anticipatari”, mentre fino ad oggi erano tenuti
all’iscrizione alla prima elementare. Oltre all’anticipo, si prefigura
anche un posticipo.
|
2° |
2. Possono essere iscritti al primo anno della
scuola primaria anche le bambine e i bambini che compiono i sei anni
di età entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento.
|
I nati dal 1 settembre
al 30 aprile hanno la possibilità di iscriversi al primo anno della
scuola primaria. La legge non configura un diritto soggettivo, perché
lo condiziona alla presenza di idonee risorse (organici, strutture,
servizi…). I primi provvedimenti attuativi hanno messo a disposizione
specifiche risorse aggiuntive.
Dal punto di vista
della composizione anagrafica della classe, una prima elementare potrebbe
essere formata da alunni di 5 anni e 4 mesi e di alunni di 7 anni (quindi,
con un’escursione possibile di ben 20 mesi).
Resta una diversità giuridica tra i termini:
-
Sono iscritti (comma 1);
-
Possono essere iscritti (comma 2)
|
1° |
1. Al fine di garantire l’esercizio del diritto-dovere
di cui all’articolo 4, comma 1, l’orario annuale delle lezioni nella
scuola primaria, comprensivo della quota riservata alle Regioni, alle
istituzioni scolastiche autonome e all’insegnamento della religione
cattolica in conformità alle norme concordatarie di cui all’articolo
3, comma 1, ed alle conseguenti intese, è di 891 ore.
|
Il monte ore annuale previsto per la scuola primaria
corrisponde a 27 ore settimanali, che rappresenta la soglia minima attualmente
garantita dalla scuola elementare. Il monte-ore su base annua consente ulteriori flessibilità,
con la possibilità di settimane a diverso carico di impegno. Nulla si dice circa gli eventuali rientri pomeridiani,
che erano uno dei cavalli di battaglia della precedente riforma del
1990. Attualmente, nella quasi totalità delle classi 3^-4^-5^ l’orario
scolastico si è assestato sulle 30 ore (inoltre, il 25 % delle classi
funziona a 40 ore, con il tempo pieno).
Non sono definite la quota riservata alle Regioni
e quella riservata alle istituzioni autonome (15 % in base al DM 234/2000
tuttora vigente). Mentre per la religione cattolica permangono le due
ore settimanali, così come previste dagli accordi concordatari.
|
2° |
2. Le istituzioni scolastiche, al fine di realizzare
la personalizzazione del piano di studi, organizzano, nell’ambito del
piano dell’offerta formativa, tenendo conto delle prevalenti richieste
delle famiglie, attività e insegnamenti, coerenti con il profilo educativo,
per ulteriori 99 ore annue, la cui scelta è facoltativa e opzionale
per gli allievi. Le predette richieste sono formulate all’atto dell’iscrizione.
Al fine di ampliare e razionalizzare la scelta delle famiglie, le istituzioni
scolastiche possono, nella loro autonomia, organizzarsi anche in rete.
|
Le ulteriori 99
ore annuali corrispondono, secondo l’attuale articolazione del tempo
scolastico, a 3 ore settimanali, che sono facoltative ed opzionali.
Quindi, la scuola
deve mettere obbligatoriamente a disposizione una serie di opportunità,
ma sono le famiglie che sceglieranno. Esse potrebbero optare solo per
una parte delle ore messe a disposizione o addirittura limitarsi alle
27 ore delle attività garantite. C’è da chiedersi se l’orario obbligatorio,
che comprenderà anche la lingua straniera (mentre oggi concorre ad aumentare
il monte-ore delle 3 ore corrispondenti) sarà sufficiente per assicurare
il raggiungimento degli obiettivi specifici di apprendimento e delle
competenze delineate nel profilo dello studente a 14 anni. Così come è formulato il comma, inoltre, sembra
che la personalizzazione del piano di studi si debba concretizzare nella
diversa fruizione della quota facoltativa. Ciò naturalmente metterebbe
in discussione uno dei cosiddetti “punti di forza” di tutta la riforma.
La personalizzazione finirebbe per diventare una specie di “supporto
pubblico” alle fasce sociali meno abbienti e non una vera opportunità
per tutti, ivi compresi i migliori talenti. Resta poi opinabile definire un curricolo “stringato”
di 27+3 ore, quando per la scuola media si propone un modello 27+6 (con
più tempo offerto, quando invece i ragazzi potrebbero gestire con maggiore
libertà i loro tempi).
|
3° |
3. L’orario di cui ai commi 1 e 2 non comprende
il tempo eventualmente dedicato alla mensa.
|
Si pone il problema
del futuro del tempo pieno, perché la formulazione drastica del comma
lascia trasparire la dismissione secca di una quota di servizio scolastico
(pari a 10 ore settimanali), oggi garantita dallo Stato con il doppio
organico dei docenti per ogni classe a tempo pieno. Gli Enti locali
non sembrano nelle condizioni di fornire servizi e figure professionali
adeguate per la mensa e il dopo mensa (le risorse degli EELL sono allo
stato attuale fortemente diminuite); inoltre verrebbe a snaturarsi lo
stesso significato di “tempo pieno” così come fino ad oggi è stato realizzato
nella nostra realtà scolastica (cioè una giornata educativa integrata,
con una equilibrata successione di tempi per l’insegnamento, le relazioni,
il pasto, ecc.). Il
dispositivo suscita motivate preoccupazioni, soprattutto laddove la
percentuale di tale modello di scuola raggiunge cifre molto alte (attorno
al 50%, in alcune regioni come Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia dove,
solo nella provincia di Milano, oltrepassa la quota dell’80%). E’ pur vero che
l’assistenza educativa ai pasti rientra nella funzione docente e quindi
l’organico docente potrebbe essere commisurato anche a questa esigenza
sociale. Il testo del decreto, però, tace in merito (e quindi rende
prive di fondamento “giuridico” le rassicurazioni fornite dal MIUR sulla
permanenza del “tempo pieno” e delle relative risorse).
|
4° |
4. Allo scopo di garantire le attività educative
e didattiche, di cui ai commi 1 e 2, è costituito l’organico di istituto.
Per lo svolgimento delle attività e degli insegnamenti di cui al comma
2, ove essi richiedano una specifica professionalità non riconducibile
al profilo professionale dei docenti della scuola primaria, le istituzioni
scolastiche stipulano, nei limiti delle risorse iscritte nei loro bilanci,
contratti di prestazione d’opera con esperti, in possesso di titoli
definiti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e
della ricerca di concerto con il Ministro per la funzione pubblica.
|
Non è chiarito
quali siano i parametri di riferimento per la determinazione degli organici
e se tali parametri consentano ancora di poter fruire di tempi di compresenza
per l’organizzazione di gruppi, per il coordinamento didattico, per
la predisposizione di laboratori con un numero limitato di alunni. Ne
consegue che, mancando nel decreto legislativo ogni riferimento a tali
paramenti, e non essendo gli organici materia di contrattazione sindacale,
le politiche reali della scuola vengono, di fatto, realizzate al di
fuori della scuola stessa (legge finanziaria, provvedimenti collegati
e decreti conseguenti).
I
contratti con esperti esterni, inoltre, aprono la strada all’esternalizzazione
di parti del curricolo (per altro il fenomeno è già diffuso, con la
presenza di “esperti” impegnati a vario titolo nelle classi, ma sempre
in compresenza con i docenti che si assumono la responsabilità “pedagogica”
degli interventi).
|
5° |
5.
L’organizzazione delle attività educative e didattiche rientra nell’autonomia
e nella responsabilità delle istituzioni scolastiche, fermo restando
che il perseguimento delle finalità di cui all’articolo 5, assicurato
dalla personalizzazione dei piani di studio, è affidato ai docenti responsabili
delle attività educative e didattiche, previste dai medesimi piani di
studio. A tal fine concorre prioritariamente, fatta salva la contitolarità didatica dei docenti, per l’intera durata
del corso, il docente in possesso di specifica formazione che, in costante
rapporto con le famiglie e con il territorio, svolge funzioni di orientamento
in ordine alla scelta delle attività di cui al comma 2, di tutorato
degli allievi, di coordinamento delle attività educative e didattiche,
di cura delle relazioni con le famiglie e di cura della documentazione
del percorso formativo compiuto dall’allievo, con l’apporto degli altri
docenti.
|
Resta aperto il problema di una corretta interpretazione
del concetto di “personalizzazione”: sembra prevalere l’idea di una
diversificazione istituzionalizzata degli esiti formativi, a scapito
di una più fine attenzione alle metodologie e alle strategie didattiche,
fermo restando l’obiettivo dell’uguaglianza degli esiti (come suggerisce
il principio dell’individualizzazione).
Non si parla nel testo di docente “tutor”, come
invece avviene nella “vulgata pubblicitaria” che veicola i contenuti
della riforma. Qui si richiama piuttosto la pluralità dei “docenti responsabili
delle attività educative e didattiche”. Anzi, l’inserimento dell’inciso
“fatta salva la contitolarità didattica dei docenti”, offre qualche
appiglio ai sostenitori del modello professionale attuale, evitando
un’interpretazione rigida e gerarchica della figura del “Docente tutor”. Tuttavia,
l’attribuzione ad un solo docente di molteplici funzioni (tutoraggio,
coordinamento, orientamento, valutazione, rapporti con i genitori) desta
evidenti preoccupazioni tra i docenti. Perché
tanti compiti ad un solo docente? Perché non condividere con gli altri
docenti dell’équipe la funzione di guida, di cura, di orientamento del
bambino? Perché non assegnare le funzioni tutoriali a tutti gli insegnanti
della classe, magari con affidamento
differenziato di piccoli gruppi di alunni?
Gli
insegnanti elementari hanno dimostrato in questi mesi un forte attaccamento
ai principi di pari responsabilità, contitolarità, collegialità, principi
che oggi sembrano assai sminuiti.
Tutta
da chiarire è l’idea di una formazione specifica per i docenti con funzioni
“rafforzate”. Ci si riferisce a corsi universitari in strutture di Ateneo
(come prevede la legge 53/2003) oppure a corsi di formazione mirati,
o solo all’utilizzo di pacchetti formativi on line (che oggi sembrano
“surrogare” tutte le metodologie formative) ?
|
6° |
Il docente al quale sono affidati i compiti previsti
dal comma 5 assicura, nei primi tre anni della scuola primaria, un'attività
di insegnamento agli alunni non inferiore alle 18 ore settimanali.
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L’assegnazione di un monte ore rigidamente determinato
ad un solo docente, contrasta certamente con l’autonomia organizzativa
e didattica delle scuole (art. 5 DPR 275/1999, in particolar modo v.
comma 4). Una scuola effettivamente
autonoma dovrebbe poter decidere diverse modalità di prestazioni professionali
dei docenti, magari differenziate anche nei primi tre anni. Rispetto alle versioni precedenti (che prevedevano
un tempo oscillante dalle 18 alle 21 ore), scompare il riferimento ad
un unico gruppo di allievi (cioè la prevalenza in una sola classe). Così come è emendato il testo sembra limitarsi
a configurare una diversa composizione dell’orario settimanale (18 ore
di insegnamento + 6 ore di funzioni collaterali), senza indicare come
articolare le ore di insegnamento (in una o più classi).
|
7° |
7. Il dirigente scolastico, sulla base di quanto
stabilito dal piano dell’offerta formativa e di criteri generali definiti
dal collegio dei docenti, dispone l’assegnazione dei docenti alle classi
avendo cura di garantire le condizioni per la continuità didattica nonché
la migliore utilizzazione delle competenze e delle esperienze professionali,
fermo restando quanto previsto dal comma 6.
|
È il dirigente
scolastico (come avviene già oggi) ad assegnare i docenti alle classi.
Ma, data la distanza professionale che si potrebbe determinare tra le
diverse funzioni e figure degli insegnanti, tale compito risulterà sicuramente
più delicato e problematico. Il testo, comunque, introduce un limite
ai poteri discrezionali del dirigente, con maggiori garanzie per i docenti,
avendo inserito la frase “sulla base dei criteri generali definiti dal
collegio dei docenti”,
Nulla si dice nel
decreto della possibile configurazione dei laboratori e del profilo
degli insegnanti ad essi addetti. Resta il timore che alla fine essi
vengono considerati solo figure residuali. Dovendo ogni scuola, infatti, collocare la maggior
parte dei laboratori nelle ore di carattere facoltativo, gli insegnanti
di laboratorio potrebbero essere assoggettati prevalentemente alla domanda
del mercato (e assimilabili, per questo, ad esperti a contratto di prestazione
d’opera).
Il principio della “contitolarità” (da rafforzare)
dovrebbe impedire situazioni di gerarchizzazione tra docenti. Infatti,
il decreto non sembra offrire sponda giuridica al concetto di “insegnante
di laboratorio” come ipotizzato nella sperimentazione DM 100/2002.
|
8° |
8. Le istituzioni scolastiche definiscono le modalità
di svolgimento dell’orario delle attività didattiche sulla base del
piano dell’offerta formativa, delle disponibilità strutturali e dei
servizi funzionanti, fatta salva comunque la qualità dell’insegnamento-apprendimento.
|
Mentre viene qui ribadita l’autonomia organizzativa
da parte delle scuole, si evidenziano ancora una volta i vincoli entro
i quali realizzarla. La formula richiama quanto già previsto dalla legge
148/90, con la significativa scomparsa dei rientri pomeridiani dal modello
organizzativo ottimale. Il rischio è quello di un impoverimento complessivo
dell’offerta formativa, compressa tra domande differenziate degli utenti
e risorse non garantite.
|
1° |
1. La valutazione, periodica e annuale, degli apprendimenti
e del comportamento degli alunni e la certificazione delle competenze
da essi acquisite, sono affidate ai docenti responsabili delle attività
educative e didattiche previste dai piani di studio personalizzati;
agli stessi è affidata la valutazione dei periodi didattici ai fini
del passaggio al periodo successivo.
|
Non è previsto, per la scuola primaria, un minimo
di giorni di frequenza per la validità dell’anno scolastico, come invece
per la scuola secondaria di primo grado.
|
2° |
2. I medesimi docenti, con decisione assunta all’unanimità,
possono non ammettere l’alunno alla classe successiva, all’interno del
periodo biennale, in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione.
|
La legge 53/2003
(lettera a) comma 1, art. 3) prevede solo una valutazione al termine
di ogni periodo didattico ai fini del passaggio al periodo successivo,
ma non all’interno del periodo stesso. Qui, anche a seguito delle molteplici
sollecitazioni della stessa maggioranza, espresse con alcuni ordini
del giorno, si ripristina, seppure con alcune limitazioni (unanimità
ed eccezionalità), la valutazione annuale.
Non
è chiaro se la valutazione dei periodi didattici, ai fini del passaggio
al periodo successivo, avviene collegialmente, come ponderazione delle
valutazioni individuali dei docenti, o se è il coordinatore dell’equipe
docente ad assumersi la responsabilità della decisione.
|
3° |
3. Il miglioramento dei processi di apprendimento
e della relativa valutazione, nonché la continuità didattica, sono assicurati
anche attraverso la permanenza dei docenti nella sede di titolarità
almeno per il tempo corrispondente al periodo didattico.
|
Garantire una forma
di continuità didattica attraverso la permanenza in sede dei docenti
per la durata dei periodi didattici (di norma, biennali) è un segnale
“forte”. Naturalmente, tale previsione dovrà coordinarsi con le necessarie
soluzioni contrattuali, perché limita le attuali possibilità di “mobilità”
annuale dei docenti.
Viene a determinarsi, comunque, una diversità di
vincoli in relazione al periodo didattico in cui si è collocati (l’obbligo
di permanenza non esisterebbe per il periodo corrispondente ad una sola
annualità: 1^ elementare, 3^ media, 5^ superiore).
|
4° |
4. Gli alunni provenienti da scuola privata o familiare
che compiono entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento
un’età non inferiore a quella richiesta per la classe cui si intenda
accedere sono ammessi a sostenere esami di idoneità per la frequenza
delle classi seconda, terza, quarta e quinta. La sessione di esami è
unica. Per i candidati assenti per gravi e comprovanti motivi sono ammesse
prove suppletive che devono concludersi prima dell’inizio delle lezioni
dell’anno scolastico successivo.
|
L’anticipo impedisce la possibilità di passaggi
accelerati alle classi successive per gli alunni che compiono gli anni
dopo il 30 aprile. |
CAPO IV SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO
Art. 9 Finalità
della scuola secondaria di primo grado
1° |
1. La scuola secondaria di primo grado, attraverso
le discipline di studio, è finalizzata alla crescita delle capacità
autonome di studio e al rafforzamento delle attitudini all’interazione
sociale; organizza ed accresce, anche attraverso l'alfabetizzazione
e l'approfondimento nelle tecnologie informatiche, le conoscenze e le
abilità, anche in relazione alla tradizione culturale e alla evoluzione
sociale, culturale e scientifica della realtà contemporanea; è caratterizzata
dalla diversificazione didattica e metodologica in relazione allo sviluppo
della personalità dell'allievo; cura la dimensione sistematica delle
discipline; sviluppa progressivamente le competenze e le capacità di
scelta corrispondenti alle attitudini e vocazioni degli allievi; fornisce
strumenti adeguati alla prosecuzione delle attività di istruzione e
di formazione; introduce lo studio di una seconda lingua dell'Unione
europea; aiuta ad orientarsi per la successiva scelta di istruzione
e formazione.
|
Colpisce, negativamente, l’assenza di ogni richiamo
ai valori costituzionali (a quella formazione dell’uomo e del cittadino
che campeggiava nei programmi del 1979). |
Art.
10 Attività educative e didattiche
1° |
1. Al fine di garantire l’esercizio del diritto-dovere
di cui all’articolo 4, comma 1, l’orario annuale delle lezioni nella
scuola secondaria di primo grado, comprensivo della quota riservata
alle Regioni, alle istituzioni scolastiche autonome e all’insegnamento
della religione cattolica in conformità alle norme concordatarie, di
cui all’articolo 3, comma 1, ed alle conseguenti intese, è di 891 ore.
|
Vengono garantite, come per la scuola primaria,
circa 27 ore settimanali omnicomprensive. Si tratta di un tempo scuola
inferiore al monte ore obbligatorio attuale (che è di 30 ore), mentre
le discipline previste nei piani di studio (v. bozze di “Indicazioni
nazionali” allegate al decreto) sono invece in numero maggiore rispetto
alle attuali. Alcune discipline (come l’educazione tecnologica,
artistica, musicale, fisica) potrebbero risultare penalizzate, come
emerge dalla tabella oraria allegata ad alcune bozze di Indicazioni.
|
2° |
2. Le istituzioni scolastiche, al fine di realizzare
la personalizzazione del piano di studi, organizzano, nell’ambito del
piano dell’offerta formativa, tenendo conto delle prevalenti richieste
delle famiglie, attività e insegnamenti, coerenti con il profilo educativo,
e con la prosecuzione degli studi del secondo ciclo, per ulteriori 198
ore annue, la cui scelta è facoltativa e opzionale per gli allievi.
Le predette richieste sono formulate all’atto dell’iscrizione. Al fine
di ampliare e razionalizzare la scelta delle famiglie, le istituzioni
scolastiche possono, nella loro autonomia, organizzarsi anche in rete.
|
Le ore facoltative e opzionali sono il doppio
rispetto a quelle della scuola primaria (6 anziché 3). Ma il modello
del tempo prolungato potrebbe essere messo in crisi, non tanto per il
minor numero di ore del curricolo, quanto per la facoltatività delle
scelte da parte dei genitori. Come ha rilevato l’ANCI, in un recente
commento alle Indicazioni nazionali, tale orario evidenzia “l’idea individuale
del servizio e non un progetto per una propria comunità”.
C’è comunque da
ricordare che in molte realtà la rigida distinzione tra classi a tempo
normale e a tempo prolungato era stata superata, spalmando il monte
ore insegnanti comunque disponibile nella scuola su tutte le classi,
con la formula di un tempo potenziato flessibile (partendo comunque
da una base obbligatoria di 30 ore).
Permane anche qui il dubbio, considerando la formulazione
del comma, che la personalizzazione del piano di studi si concretizzi
solo nella quota oraria facoltativa, mentre inaccettabile appare collegare
la frequenza di determinate attività alla scelta di un indirizzo successivo
(questa idea riporterebbe la scuola media alla situazione degli anni
sessanta, con le opzioni per il latino o le applicazioni tecniche).
|
3° |
3. L’orario di cui ai commi 1 e 2 non comprende
il tempo eventualmente dedicato alla mensa.
|
Valgono le stesse considerazioni per la scuola
primaria (v. comma 3, art. 7). Il curricolo deve intendersi “al netto”
degli eventuali tempi da destinare alla mensa (non quantificati). E’ pur vero che l’assistenza educativa ai pasti
rientra nella funzione docente e quindi l’organico docente potrebbe
essere commisurato anche a questa esigenza sociale. Il testo del decreto,
però, tace in merito (e quindi rende prive di fondamento “giuridico”
le interpretazioni fornite dal MIUR sulla copertura delle esigenze dei
tempi mensa e di garanzia degli attuali livelli di offerta formativa).
|
4° |
4. Allo scopo di garantire le attività educative
e didattiche, di cui ai commi 1 e 2, è costituito l’organico di istituto.
Per lo svolgimento delle attività e degli insegnamenti di cui al comma
2, ove essi richiedano una specifica professionalità non riconducibile
agli ambiti disciplinari per i quali è prevista l’abilitazione all’insegnamento,
le istituzioni scolastiche stipulano, nei limiti delle risorse iscritte
nei loro bilanci, contratti di prestazione d’opera con esperti, in possesso
di titoli definiti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università
e della ricerca di concerta con il Ministro per la funzione pubblica.
|
Ritornano le preoccupazioni
espresse per la scuola primaria (v. comma 4, art. 7), dal momento che
non sono esplicitati i parametri esatti di riferimento, che sicuramente,
oltre il numero delle ore di attività obbligatorie (da articolare per
singole discipline); dovrebbero
prendere in considerazione anche il rapporto numerico insegnanti/allievi,
l’eventuale attività di coordinamento didattico, le tipologie di offerta
formativa… L’organico docente,
in definitiva, si lega agli standard di funzionamento (art. 8 del Dpr
275/99) che si vogliono garantire ad ogni scuola, indicatori che in
questo decreto non vengono esplicitati. Non sono indicati i criteri necessari per la rideterminazione
di nuovi organici funzionali (di cui si è persa ogni traccia). Così
si dà vita ad una scuola dell’insegnamento, del tutto in contrasto con
le funzioni educative che si vorrebbero potenziare (orientamento, tutoraggio,
personalizzazione, ecc.).
|
5° |
5. L’organizzazione delle attività educative e
didattiche rientra nell’autonomia e nella responsabilità delle istituzioni
scolastiche, fermo restando che il perseguimento delle finalità di cui
all'articolo 9 è affidato, anche attraverso la personalizzazione dei
piani di studio, ai docenti responsabili degli insegnamenti e delle
attività educative e didattiche previste dai medesimi piani di studio.
A tal fine concorre prioritariamente, per l’intera durata del corso,
il docente in possesso di specifica formazione che, in costante rapporto
con le famiglie e con il territorio, svolge funzioni di orientamento
nella scelta delle attività di cui al comma 2, di tutorato degli alunni,
di coordinamento delle attività educative e didattiche, di cura delle
relazioni con le famiglie e di cura della documentazione del percorso
formativo compiuto dall’allievo, con l’apporto degli altri docenti.
|
Contrariamente a quanto avviene per la scuola primaria,
qui non è specificato il tempo assegnato all’insegnante con funzioni
tutoriali. Ciò può essere interpretato come un riconoscimento delle
responsabilità organizzative delle istituzioni autonome (ma, allora,
perché non riconoscere queste stesse condizioni anche alla scuola primaria?).
Comunque, si scinde la questione della “tutorialità”
dalla quantità di tempo (o prevalenza) da prestare con gli allievi di
una medesima classe. |
1° |
1. Ai fini della validità dell’anno, per la valutazione
degli allievi è richiesta la frequenza di almeno tre quarti dell’orario
annuale personalizzato di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 10. Per casi
eccezionali, le istituzioni scolastiche possono autonomamente stabilire
motivate deroghe al suddetto limite.
|
La non validità dell’anno ai fini della valutazione
potrebbe costituire un’ulteriore legittimazione di selezione, quasi
un’alternativa naturale alla bocciatura.
|
2° |
2. La valutazione, periodica e annuale, degli apprendimenti
e del comportamento degli allievi e la certificazione delle competenze
da essi acquisite sono affidate ai docenti responsabili degli insegnamenti
e delle attività educative e didattiche previsti dai piani di studio
personalizzati. Sulla base degli esiti della valutazione periodica,
le istituzioni scolastiche predispongono gli interventi educativi e
didattici, ritenuti necessari al recupero e allo sviluppo degli apprendimenti.
|
Ritornano le considerazioni
espresse per la scuola primaria, rese più complesse dalla particolare
età degli allievi. Si potrebbe giungere alla bocciatura di un ragazzo
per comportamenti sociali non adeguati e non per i livelli di apprendimento
non conseguiti.
Resta ancora tutto
da indagare la questione della valutazione delle competenze, essendo
le stesse non assoggettabili a livelli standardizzati e quindi comparabili.
Nelle bozze di “Indicazioni” si parla di standard riferiti ad ogni singolo
alunno, ma si introduce anche il richiamo a standard nazionali (fissati
dal sistema nazionale di valutazione). Non è chiaro il rapporto tra
i due criteri di valutazione (ed i relativi standard).
Apprezzabile la sottolineatura che il recupero
va organizzato sulla base degli esiti della valutazione periodica (ce
n’era bisogno? Forse sì).
|
3° |
3. I docenti effettuano la valutazione biennale
ai fini del passaggio al terzo anno, avendo cura di accertare il raggiungimento
di tutti gli obiettivi formativi del biennio,valutando altresì il comportamento
degli alunni. Gli stessi, in casi motivati, possono non ammettere l'allievo
alla classe successiva all'interno del periodo biennale.
|
La valutazione alla fine del primo biennio finisce
con il segmentare ulteriormente
la progressività/continuità del processo di apprendimento, proiettando
l’ultimo anno verso un ruolo prevalentemente orientativo (con il rischio
di comprimerne il significato).
Mentre per la scuola primaria la decisione di non
ammissione all’interno del periodo biennale è assunta all’unanimità,
in casi eccezionali e per motivazione comprovata, qui ci si limita ad
una semplice motivazione espressa dai docenti della classe. Non è chiaro il meccanismo delle deliberazioni
a livello di consiglio di classe (si dà per scontato che sarà abolito e sostituito dall’équipe degli insegnanti?). Affiora il criterio dell’unanimità, ma resta anche
quello della maggioranza, quando non addirittura la personale decisione
del docente titolare della disciplina.
|
4° |
4. Il terzo anno della scuola secondaria di I grado
si conclude con un esame di Stato.
|
Viene confermato il valore legale del titolo di
studio. |
5° |
5. Alle classi seconda e terza si accede anche
per esame di idoneità, al quale sono ammessi i candidati privatisti
che abbiano compiuto o compiano entro il 30 aprile dell’anno scolastico
di riferimento, rispettivamente, l’undicesimo e il dodicesimo anno di
età e che siano in possesso del titolo di ammissione alla prima classe
della scuola secondaria di primo grado, e i candidati che abbiano conseguito
il predetto titolo, rispettivamente, da almeno uno o due anni.
|
Vedi comma 4, art. 8. L’anticipo “moralizza” l’attuale
idea di “salto” della classe, che viene con queste norme limitato ai
primi quattro mesi anagrafici. |
6° |
6. All’esame di Stato di cui al comma 4 sono ammessi
anche i candidati privatisti che abbiano compiuto, entro il 30 aprile
dell’anno scolastico di riferimento, il tredicesimo anno di età e che
siano in possesso del titolo di ammissione alla prima classe della scuola
secondaria di primo grado. Sono inoltre ammessi i candidati che abbiano
conseguito il predetto titolo da almeno un triennio e i candidati che
nell’anno in corso compiano ventitre anni di età.
|
L’età di riferimento dei privatisti per poter sostenere
gli esami di Stato è collegata con quella di ammissione alla prima classe
(30 aprile). |
7° |
7. Il miglioramento dei processi di apprendimento
e della relativa valutazione, nonché la continuità didattica, sono assicurati
anche attraverso la permanenza dei docenti nella sede di titolarità,
almeno per il tempo corrispondente al periodo didattico.
|
Vedi comma 3, art. 8. Si tutela il principio della
continuità didattica, ma manca il necessario ancoraggio a quanto previsto
dal Contratto di Lavoro. E’ un ulteriore segnale dell’”erosione” delle
prerogative sindacali in materia di condizioni di lavoro. |
CAPO V NORME FINALI E TRANSITORIE
Art.
12 Scuola dell’infanzia
1° |
1. Nell’anno scolastico 2003-2004 possono essere
iscritti alla scuola dell’infanzia, in forma di sperimentazione, le
bambine e i bambini che compiono i tre anni di età entro il 28 febbraio
2004, compatibilmente con la disponibilità dei posti, la recettività
delle strutture, la funzionalità dei servizi, e delle risorse finanziarie
dei comuni, secondo gli obblighi conferiti dall’ordinamento e nel rispetto
dei limiti posti alla finanza comunale dal patto di stabilità. Alle
stesse condizioni e modalità, per gli anni scolastici 2004-2005 e 2005-2006
può essere consentita un’ulteriore, graduale anticipazione, fino al
limite temporale di cui all’articolo 2. Il Ministro dell’istruzione,
dell’università e della ricerca provvede, con proprio decreto, a modulare
le anticipazioni, garantendo comunque il rispetto del limite di spesa
di cui all’articolo 15.
|
L’iscrizione alla scuola dell’infanzia dei bambini
di due anni e mezzo è subordinata ad una serie di precisi vincoli. La
situazione reale del Paese è piuttosto critica (mancata generalizzazione
dell’offerta, liste di attesa, strutture non sempre adeguate…) per poter
garantire a tutti la possibilità di un ingresso anticipato. Inoltre, l’anticipo nella scuola dell’infanzia non
può essere visto solo come una procedura amministrativa, ma come non
eludibile questione pedagogica, di cui mancano –al momento- probanti
e convincenti motivazioni. Comunque gli Enti locali non sono nelle migliori
condizioni di poter investire in maniera adeguata, mentre le risorse
a livello nazionale sono condizionate dalle riduzioni alla spesa sociale
operata dalle leggi finanziarie. Per questi motivi non è stato raggiunto un accordo
nazionale con gli Enti locali in merito alla apertura delle iscrizioni
“anticipate” per il 2003/2004.
|
2° |
2. Alla generalizzazione di cui all’articolo 1,
comma 2 del presente decreto si provvede con decreti del Ministro dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca, di concerto con il Ministro dell’Economia
e delle Finanze, nell’ambito dei finanziamenti disposti a norma dell’articolo
7, comma 6 della legge 28 marzo 2003, n. 53.
|
La generalizzazione dell’offerta di scuole dell’infanzia
richiede investimenti importanti (ad es.: apertura di nuove sezioni,
organico docente, ecc.), legate alle risorse aggiuntive da reperire
nel piano finanziario straordinario previsto dalla legge. Al momento
la copertura finanziaria di tali impegni appare del tutto aleatoria. |
3° |
3. Al fine di armonizzare il passaggio al nuovo
ordinamento, fino all’emanazione delle norme regolamentari di cui all’articolo
8 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n.275, si
adotta in via transitoria l’assetto pedagogico, didattico ed organizzativo
individuato nell’allegato A.
|
I curricoli nazionali
richiedono un processo di elaborazione, previsto dall’art. 8 del Dpr
275/99 e dalla stessa legge 53/2003, assai diverso da quello fino ad
oggi seguito dal Governo. In particolare,
l’articolo 8 del DPR 275/1999 prevede che a livello nazionale siano
definiti:
-
gli obiettivi generali del processo formativo
-
gli obiettivi specifici di apprendimento
-
le discipline e le attività concernenti
la quota nazionale dei curricoli e il relativo monte ore
-
l’orario obbligatorio annuale complessivo
dei curricoli (con quota obbligatoria nazionale e quota riservata alle
istituzioni scolastiche)
-
i limiti di flessibilità temporali per le
compensazioni tra discipline e attività della quota nazionale
-
gli standard relativi alla qualità del servizio
-
criteri generali relativi all’ ed. adulti.
Dal momento che le procedure per la definizione del regolamento (art. 17, commi 3
e 4 della legge n. 400 del 1988) [1] prevedono tempi
piuttosto lunghi, si ricorre nel decreto all’adozione in via transitoria
delle “Indicazioni nazionali” utilizzate
dalle 251 scuole che hanno avviato la sperimentazione nelle classi prime
elementari. La soluzione transitoria potrebbe aprire la strada ad un
vero e proprio periodo “costituente” in cui autorevoli commissioni pluralistiche,
in dialogo continuo con la scuola, elaborano i nuovi indirizzi curricolari
nazionali. Ma il rischio è anche che siano resi definitivi e “legali”
documenti pedagogici elaborati con metodo unilaterale, senza un effettivo
rapporto con la comunità scientifica e la comunità professionale dei
docenti.
|
1° |
1. Nell’anno scolastico 2003-2004 possono essere
iscritti alla scuola primaria le bambine e i bambini che compiono i
sei anni di età entro il 28 febbraio 2004. Per gli anni scolastici successivi
può essere consentita, con decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università
e della Ricerca, un’ulteriore anticipazione delle iscrizioni, fino al
limite temporale previsto dal precedente articolo 6, comma 2.
|
Già la recente
circolare sulla riapertura delle iscrizioni aveva definito le condizioni
per l’ammissione degli alunni anticipatari. Il fenomeno è stato molto
contenuto collocandosi intorno al 29% dei potenziali interessati. Da
informazioni ufficiose le percentuali più basse (10-15 %) sono quelle
di Toscana, Veneto ed Emilia Romagna, quelle più alte (60%) riguardano
la Campania ed in genere le regioni del Sud. Il fenomeno è da mettere in relazione con una diversa
cultura dell’infanzia e dei servizi educativi che si manifesta nelle
diverse aree geografiche del paese, oltre che con la disponibilità effettiva
di servizi e strutture qualificate.
|
2° |
2. Per l’attuazione delle disposizioni del presente
decreto sono avviate, dall’anno scolastico 2003-2004, la prima e la
seconda classe della scuola primaria e, a decorrere dall’anno scolastico
2004-2005, la terza, la quarta e la quinta classe.
|
Il contenuto del
comma appare alquanto nebuloso e discutibile, in quanto propone una
sorta di effetto retroattivo nell’attuazione della riforma (a dispetto
di quanto solennemente affermato nel DM 61/2003 di avvio di innovazioni
nella scuola primaria). Anche la completa attuazione della riforma al
1° settembre 2004 appare del tutto fuori misura: si pensi ai cinque
anni di attuazione graduale dei programmi elementari del 1985 tra il
1987 ed il 1992, accompagnati da un piano quinquennale di formazione
dei docenti.
|
3° |
3. Al fine di armonizzare il passaggio al nuovo
ordinamento, l’avvio del primo ciclo di istruzione ha carattere di gradualità.
Fino all’emanazione delle norme regolamentari di cui all’articolo 8
del decreto Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, si adotta,
in via transitoria, l’assetto pedagogico, didattico e organizzativo
individuato nell’allegato B, facendo riferimento al profilo educativo,
culturale e professionale individuato nell’allegato D.
|
L’adozione in via
sperimentale di Indicazioni nazionali, che non sono state elaborate
attraverso procedure di condivisione della scuola, provoca un certo
disagio in chi crede ancora che i processi di innovazione nella scuola
siano processi culturali di lungo periodo, non surrogabili da campagne
pubblicitarie e depliant informativi. Le bozze di Indicazioni
nazionali della scuola primaria (come pure quelle relative alla scuola
dell’infanzia e alla scuola secondaria di primo grado) sono state elaborate
in sedi molto ristrette, sottratte al contributo delle comunità scientifiche
e del mondo della scuola. Ad esempio, nulla è dato sapere circa i pareri
espressi dalle associazioni professionali e disciplinari degli insegnanti
sulle bozze consegnate nei primi giorni di aprile 2003. Inoltre, si determinano
incongruenze tra quanto previsto nel decreto (es.: in merito all’orario
di servizio del docente con funzioni tutoriali) e quanto contenuto nel
paragrafo “vincoli e risorse” dell’allegato transitorio.
|
1° |
1. A decorrere dall'anno scolastico 2004-2005 è
avviata la prima classe del biennio della scuola secondaria di primo
grado; saranno successivamente avviate, dall’anno scolastico 2005-2006,
la seconda classe del predetto biennio e, dall’anno scolastico 2006-2007,
la terza classe di completamento del ciclo.
|
L’avvio della riforma
nella scuola secondaria di primo grado appare più graduale (le tre classi in tre anni diversi) rispetto
alla scuola primaria, anche se l’avvio dal 1° settembre 2004 appare
una forzatura, visti i tempi necessari per l’informazione, la formazione
e la riorganizzazione dell’offerta formativa
(es.: gli orari di funzionamento). |
2° |
2. Fino all’emanazione delle norme regolamentari
di cui all’articolo 8 del decreto Presidente della Repubblica 8 marzo
1999, n. 275, si adotta, in via transitoria, l’assetto pedagogico, didattico
e organizzativo individuato nell’allegato C, facendo riferimento al
profilo educativo culturale e professionale individuato nell’allegato
D.
|
Anche le bozze di Indicazioni per la scuola secondaria
assumono un carattere transitorio nell’attesa di una compiuta definizione
di curricoli e standard organizzativi previsti dall’art. 8 del Dpr 275/99.
Occorre dunque verificare la coerenza tra i modelli organizzativi previsti
dal presente decreto e quanto ipotizzato nel capitolo “vincoli e risorse”
dell’allegato transitorio. In merito al profilo, va segnalata la “esclusione”
della scuola dell’infanzia dai processi che portano alla delineazione
del profilo del quattordicenne Si parla infatti del percorso relativo
al primo ciclo d’istruzione (6-14 anni) e non, invece, di un progetto
3-14 anni (v. anche comma 3 art. 12 e comma 2 art. 13).
|
Art.
15 Norma finanziaria
1° |
1. Agli oneri derivanti dall’attuazione dell’articolo
6, comma 2, dell’articolo 12, comma 1, dell’articolo 13, comma 1, limitatamente
alla scuola dell’infanzia statale e alla scuola primaria statale, determinati
nella misura massima di 12.731 migliaia di euro per l’anno 2003, 45.829
migliaia di euro per l’anno 2004 e 66.198 migliaia di euro a decorrere
dall’anno 2005, si provvede con i fondi previsti allo scopo dall’articolo
7, comma 5 della legge n. 53 del 2003.
|
Il decreto non richiede oneri aggiuntivi, rispetto
a quanto contenuto nella legge 53/2003, limitatamente agli impegni finanziari
per l’anticipo scolastico. Diversamente avrebbe bisogno di una apposita
norma preventiva di finanziamento (comma 8, art. 7 della legge 53/2003).
Una riforma, quindi, senza investimenti, a costo “zero” (o quasi). |
Art.
16 Norme finali e abrogazioni
1° |
1. Sono fatti salvi gli interventi previsti, per
gli alunni in situazione di handicap, dalla legge 5 febbraio 1992, n.
104.
|
Comma nuovo rispetto alla precedente versione,
con uno scarno ma significativo richiamo alla legge quadro sull’integrazione
delle persone con handicap. |
2° |
2. Le espressioni “scuola materna”, “scuola elementare”
e “scuola media” contenute nel disposizioni vigenti si intendono sostituite
dalle espressioni, rispettivamente, “scuola dell’infanzia”, “scuola
primaria” e “scuola secondaria di primo grado”.
|
Il termine scuola dell’infanzia, sostitutivo di
scuola materna, fa parte oramai di una cultura diffusa e condivisa (ed
era esplicitamente raccomandato negli Orientamenti del 1991). La dizione “scuola elementare” è stata quella che,
nel tempo, è prevalsa al posto di “scuola primaria” che in realtà risale
ai programmi Ermini del 1955 intitolati: “Programmi didattici per la
scuola [appunto] primaria”. Per primaria allora si intendevano i tre
cicli 6-14 anni (1° ciclo: prima e seconda elementare; 2° ciclo: terza,
quarta e quinta elementare; terzo ciclo: classi post elementare, sesta,
settima e ottava, ai sensi del R.D. n. 577 del 5 febbraio del 1928).
La stessa dizione viene poi ripresa dai programmi del 1985, DPR 12 febbraio
1985, n. 104, intendendo però, per primaria, solo i due cicli della
scuola elementare. Si tratta quindi di un ripristino di una antica
tradizione che sembra quasi voglia
sancire la diversità (o distanza) dalla scuola secondaria di
primo grado (anche questo termine
esisteva già e costituiva la locuzione formale – e “nobile” – di scuola
media).
|
3° |
3. Le seguenti disposizioni del testo unico approvato
con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 continuano ad applicarsi
limitatamente alle sezioni di scuola materna e alle classi di scuola
elementare e di scuola media ancora funzionanti secondo il precedente
ordinamento, ed agli alunni ad essi iscritti, e sono abrogate a decorrere
dall’anno scolastico successivo al completo esaurimento delle predette
sezioni e classi: articolo 99, commi 1 e 2; articolo 104; articolo 109,
commi 2 e 3; articolo 118; articolo 119; articolo 128, commi 3 e 4;
articolo 145; articolo 148; articolo 149; articolo 150; articolo 161,
comma 2; articolo 176; articolo 177; articolo 178, commi 1 e 3; articolo
183, comma 2; articolo 442.
|
Le abrogazioni appaiono assai preoccupanti, perché
non rispecchiano solo soluzioni tecniche, ma una precisa volontà politica
di modificare gli attuali assetti culturali ed organizzativi della scuola
di base, specialmente della scuola elementare, in particolare del “tempo
pieno” come modello pedagogico. Riassumiamo i contenuti degli articoli abrogati: -
art. 99 (c.1 e 2) – Finalità della scuola
materna ed età di accesso. -
art 104 – Orario di funzionamento (8-10
ore) della scuola materna e doppio organico. Turno antimeridiano come
eccezione. -
art. 109 (c. 2 e 3) – Durata della scuola
elementare e media. -
art- 118 – Finalità della scuola elementare
(formazione dell’uomo e del cittadino, valorizzazione delle diversità,
alfabetizzazione culturale); -
art. 119 – Condizioni e strumenti per la
continuità educativa. -
art. 128 (c. 3 e 4) – Assegnazione dei docenti
alle classi elementari, competenze, collegialità e con titolarità. -
art. 145 – Scrutini e ammissioni alle classi
successive. -
art. 148 – Esami al termine del corso elementare. -
art. 149 – Valore legale della licenza elementare. -
art. 150 – Attestati d’esame. -
art. 161 (c. 2) – finalità della scuola
media (formazione dell’uomo e del cittadino, riferimento alla Costituzione,
orientamento). -
art. 176 – Accesso alla scuola media. -
art. 177 – Scheda dell’alunno, valutazione,
ammissioni alle classi successive. -
art. 178 (c. 1 e 3) – Promozioni e idoneità. -
art. 183 (c. 2) – Ammissione agli esami
di licenza media. -
art. 442 – Dotazioni organiche scuola elementare
(modulo 3 docenti ogni 2 classi).
|
4° |
4. Le seguenti disposizioni del testo unico di
cui al comma 2 sono abrogate a decorrere dall’anno scolastico successivo
all’entrata in vigore del presente decreto: articolo 129; articolo 130;
articolo 143, comma 1; articolo 162, comma 5; articolo 178, comma 2.
|
Seguono ulteriori abrogazioni, relative a:
-
art. 129 –Orario scolastico scuola elementare
(27 ore, elevate a 30 con lingua straniera, con esclusione del tempo
mensa), rientri pomeridiani, qualità insegnamento-apprendiemnto. -
art. 130 – Tempo lungo nella scuola elementare
(fino a 37 ore); condizioni per il mantenimento del tempo pieno di 40
ore settimanali. -
art. 143 (c. 1) – Età di iscrizione alla
scuola elementare (6 anni). -
art. 162 (c. 5) – Composizione cattedre
nelle scuole medie integrate a tempo pieno. -
art. 178 (c. 2) – Idoneità alle classi di
scuola media.
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5° |
5. Al testo unico di cui al comma 2 sono apportate
le seguenti modificazioni:
a)
all’articolo
100, comma 1 le parole “di cui all’articolo 99” sono soppresse;
b)
all’art.
147, comma 1, dopo la parola “familiare”, sono inserite le seguenti:
“,che compiano entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento
un’età non inferiore a quella richiesta per la classe cui si intenda
accedere,”;
c)
all’articolo
183, comma 1, le parole “a norma dell’articolo 177, comma 5” sono soppresse.
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Le modifiche apportano
alcune conseguenze:
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art. 100 (l’iscrizione alla materna non
è più riservata alla sola fascia d’età 3-6 anni);
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art. 147 (condizioni per gli esami di idoneità
alle classi elementari);
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art. 183 (ruolo del consiglio di classe
nella ammissione all’esame di licenza media). |
6° |
6. Il presente decreto entra in vigore alla data
della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
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Bisogna attendere
la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale perché questo decreto legislativo
entri in vigore.
L’iter
procedurale: Lo
schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 12 settembre 2003, deve essere
sottoposto al parere, obbligatorio, ma non vincolante, della Conferenza unificata Stato-Regioni
(tempi: 30-45 giorni) e delle Commissioni di Camera e Senato (tempi
60: giorni). I pareri possono
essere richiesti contestualmente. Il ministro, una volta ricevuti e
valutati i pareri
delle Commissioni parlamentari, dovrà formalizzarli
in un testo definitivo e sottoporlo all'approvazione del Consiglio
dei ministri. Il decreto,
una volta approvato, viene quindi pubblicato in Gazzetta ufficiale
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Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato,
sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica
italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo
osservare.
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[1] Art. 17. legge n. 400 del 1988:
comma 3. Con decreto ministeriale possono essere adottati
regolamenti nelle materie di competenza del Ministro o di autorità sottordinate
al Ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere.
comma 4. I regolamenti di cui al comma primo ed i regolamenti
ministeriali ed interministeriali, che devono recare la denominazione di
"regolamento", sono adottati previo parere del Consiglio di Stato,
sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati
nella Gazzetta Ufficiale.