Camera dei Deputati - VII Commissione Cultura
Una materia così importante come quella dello stato giuridico dei docenti non può essere affidata negli aspetti più significativi soltanto alle scelte del governo. Infatti le proposte di legge in discussione affidano a un regolamento attuativo un ampio margine di decisione su aspetti sostanziali. Ciò limita, di fatto, la possibilità di un vero e approfondito dibattito nella sede parlamentare. Un tema di tale rilievo richiede, invece, un confronto diretto e ampio, oltre che a livello istituzionale, anche in altre sedi con i vari soggetti coinvolti dal cambiamento. In primo luogo con i sindacati di categoria che, nel rispetto della distinzione dei ruoli e delle rispettive responsabilità, hanno competenza su gran parte della materia in discussione. Analoga considerazione vale per le associazioni professionali più rappresentative, la cui storica attenzione alla qualità dell’insegnamento in funzione della qualità dell’apprendimento le pone in condizioni di offrire un contributo significativo. Infatti, la modifica dello status dei docenti di scuola è questione così difficile e delicata che non può essere affrontata in astratto e risolta senza una idea condivisa di scuola e di professione a cui, per l’appunto, il nuovo status dovrebbe ispirarsi. È indubbio che la qualità della scuola dipenda in larga misura dagli insegnanti (in termini di motivazione, preparazione e prestazione) e che uno stato giuridico all’altezza delle sfide attuali - mutati contesti sociali e famigliari, complessità della richiesta che viene dall’extrascuola, nuovi stili di apprendimento degli alunni, autonomia scolastica, innovazioni e riforme della scuola, riforma del Titolo V della Costituzione - impongano una attenzione particolare verso il lavoro degli insegnanti (dalla formazione iniziale a quella in servizio, dal reclutamento all’organizzazione del lavoro, dalla valorizzazione delle competenze all’assunzione di nuovi compiti e responsabilità, dagli orari di lavoro alla gestione del personale). Ma ogni modifica dello stato giuridico, per i motivi sopra richiamati, dovrebbe essere volta a rafforzare il ruolo e la funzione dei docenti a partire da alcuni punti fondamentali e irrinunciabili:
1) La libertà di insegnamento, libertà sostanziale, a garanzia del diritto di tutti gli alunni ad apprendere in condizioni di libertà e di pluralismo (art. 33 della Costituzione). 2) L’autonomia professionale, come autonomia culturale, didattica, scientifica e di ricerca, a garanzia della qualità e della neutralità del sistema pubblico dell’istruzione (art.3 della Costituzione). 3) La funzione pubblica del ‘mestiere’, a garanzia degli obiettivi definiti dal potere pubblico nell’esclusivo interesse della società (art. 3 della Costituzione). 4) La natura pubblica del reclutamento, a garanzia dell’imparzialità del sistema pubblico dell’istruzione (art.3 della Costituzione). 5) L’unicità della funzione, a garanzia dell’unitarietà del processo di insegnamento-apprendimento, quand’anche articolata al suo interno in compiti e mansioni differenziati e nelle specificità dei vari gradi scolastici. 6) La collegialità e la cooperazione, come dimensioni ordinarie del lavoro scolastico e di ogni progettazione dell’offerta formativa. 7) La valorizzazione della professione, come sviluppo di competenze e di responsabilità legate al miglioramento dell’insegnamento-apprendimento. 8) La libertà, l’autonomia, la responsabilità, riferite all’individuo e non al corpo professionale. Alcuni corollari □ Lo stato di frustrazione e di stress in cui oggi versa la gran parte degli insegnanti non nasce dall’assenza di carriera, bensì dal disconoscimento e dalla sottovalutazione del loro ruolo e della loro funzione; dalla perdita continua del potere d’acquisto; dall’aumentato peso degli obblighi di lavoro; dalla difficoltà dei rapporti con gli allievi (aumentata presenza di alunni troppo “fragili” o troppo aggressivi e con difficoltà di apprendimento, aumentata presenza di alunni stranieri che non conoscono la lingua); dalle difficili condizioni in cui si svolge l’insegnamento (classi troppo numerose, carenza di risorse e di strumenti didattici). Il vero problema della professionalità degli insegnanti non è allora riducibile alla ricerca in astratto di una carriera bensì all’individuazione di campi, azioni, percorsi che la possano far decollare e far corrispondere ai bisogni della crescita della scuola nella sua dimensione pubblica. □ La libertà di insegnamento si può esercitare solo se sussistono alcune condizioni. La prima: la natura pubblica del reclutamento (fatto su vasta scala, con punteggi e graduatorie trasparenti e definite nei loro criteri, a garanzia della certezza del diritto). La seconda: la natura pubblica della funzione. La libertà di insegnamento è garanzia del carattere pubblico, cioè aperto a tutti, del sistema di istruzione e viceversa.
□ Unicità della professione docente non significa che tutti gli insegnanti debbano svolgere tutte le funzioni con le medesime responsabilità; nelle scuole è possibile individuare compiti di coordinamento, di ricerca, di formazione relativamente a specifiche competenze all’interno di un orario di servizio flessibile. Unicità della professione docente non significa che la scuola non necessiti dell’operato di altre professionalità. □ L’Aran sottolinea che: 1) non c’è alcun nesso fra carriera degli insegnanti e qualità della scuola; 2) è estremamente difficile valutare il merito del singolo insegnante e la qualità della sua prestazione; 3) nessuno è in grado di spiegare perché un insegnante sia più efficace di un altro; 4) la retribuzione del merito alimenta comportamenti opportunistici e non cooperativi tra docenti (Documento di lavoro del 2/2/04). □ Le recenti elezioni delle Rappresentanze sindacali unitarie nelle scuole dimostrano che gli insegnanti sono pienamente consapevoli dei propri diritti e doveri di lavoratori; attraverso il voto, a cui ha preso parte ben oltre l’80% degli aventi diritto, essi hanno voluto riconfermare la validità dei suindicati istituti sindacali, ritenuti, evidentemente, utili alla vita democratica della scuola. Invitiamo pertanto i legislatori a riconsiderare i rispettivi articoli dei due disegni di legge in cui, pur con sfumature diverse, si chiede la soppressione delle Rsu. Le questioni di fondo
■ Autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo (Dpr 275/99). Nelle proposte di legge non viene attribuito a tale funzione alcun valore, non se ne fa alcun accenno. Cosa ancora più grave, non viene assunta come elemento fondamentale e ordinario della funzione docente. Senza tener conto che, venendo meno tale aspetto, la stessa autonomia funzionale non ha alcuna ragione d’essere, rimanendo confinata in semplici scelte di tipo esecutivo per le quali non si può più parlare di progettazione, di sperimentazione e di sviluppo ma di semplice pianificazione. Se tutto ciò viene letto insieme alle nuove disposizioni legislative (art. 5 della legge 53/03) che affidano all’università anche la formazione in servizio (soluzione che mette sotto tutela pedagogica, culturale e didattica dell’università il mestiere dell’insegnare) e alle disposizioni vincolanti circa il peso e il protagonismo assegnato alle famiglie (primo decreto attuativo della legge 53; Raccomandazioni e Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati; “slide” inoltrate alle scuole che sperimentano la riforma in base alla Cm. n.100/03) emerge un insegnante con un profilo e una funzione molto impoveriti, il cui ruolo risulta riveduto e corretto al ribasso. Il rischio di limitare l’autonomia culturale e professionale dei docenti, di metterne in discussione le competenze professionali, di disconoscerne le capacità di progettazione e di valutazione, è reale. Gli insegnanti, ancor più di una volta, diventano gli esecutori di decisioni prese da altri, in altre sedi, quasi dei dipendenti al servizio dei singoli.
■ Organismo tecnico rappresentativo. Tale organismo concentra su di sé prerogative importanti, provvede alla tenuta dell’albo, stabilisce i criteri per la formazione iniziale, l’abilitazione e il tirocinio, gli standard professionali dei docenti, redige e tiene aggiornato il codice deontologico, oltre a formulare proposte e pareri in merito agli obiettivi del sistema di istruzione, ai criteri di valutazione, alle tecniche di reclutamento, e a tenere una relazione annuale sullo stato della funzione docente. Tali prerogative sono tipiche degli organi di rappresentanza professionale, ma allora perché la presenza dell’università? Si ha l’impressione perciò che la ratio della proposta, come in più passaggi è scritto nella stessa relazione di accompagnamento, sia quella di limitare lo spazio dell’intervento sindacale. Tale logica non è opportuna perché un Organismo tecnico rappresentativo non è il modo più efficace per favorire gli interessi della scuola né per valorizzare la professionalità degli insegnanti. Anzi, un tale organismo - come la storia di altre professioni insegna - corre il rischio di trasformarsi in una struttura corporativa, un centro di interessi di parte, con grave danno sul piano delle garanzie e dei diritti di insegnanti, studenti, genitori. Cosa vuol dire poi l’albo degli insegnanti gestito da tale organismo? Se si guarda ad un albo di liberi professionisti della scuola da cui i dirigenti scolastici possono direttamente “assumere” (e licenziare), il disaccordo è assoluto. Ciò infatti vorrebbe dire privatizzare il sistema dell’istruzione. La libertà professionale dei docenti, la loro autonomia si inquadrano infatti in una funzione che essi esercitano in quanto pubblici dipendenti. Tale funzione si definisce in conseguenza del progetto - quello della scuola pubblica - pensato in risposta agli interessi generali del Paese. Progetto delineato, nelle sue finalità e nei suoi obiettivi, non dai singoli ma dalla comunità intera attraverso le sue rappresentanze istituzionali. Pertanto anche i criteri e i meccanismi di selezione e di reclutamento degli insegnanti devono corrispondere a quei principi generali a garanzia della tenuta unitaria - e democratica - del sistema stesso. ■ Articolazione della funzione. Agli insegnanti serve una ‘carriera’? Riteniamo che il concetto di “sviluppo della professione” sia più adeguato al ‘mestiere’ dell’insegnare. Lo sviluppo della professionalità va però pensata come sviluppo della capacità di insegnare/apprendere. Forse partendo dal riconoscere che lo sviluppo e l’articolazione della professione debbono sempre avere come base il miglioramento dell’insegnamento/apprendimento si potrebbe operare contemporaneamente su molteplici livelli, riconoscendo e valorizzando diversi percorsi di sviluppo della professionalità. Si può pensare che l’acquisizione di alcune competenze permetta di acquisire crediti per passare ad altre funzioni o addirittura ad altri ‘mestieri’ (dal dirigente scolastico al lavoro in università). Si può pensare di costruire uno sviluppo della professione attraverso la possibilità di anticipare la progressione economica, utilizzando sia il lavoro didattico che permetta di valorizzare l’attività d’insegnamento, sia studi o ricerche realizzati (pubblicazioni, particolari percorsi di formazione, ricerche svolte in ambito scolastico…), sia il riconoscimento degli incarichi assunti (coordinamento della didattica, dei dipartimenti, degli organi di programmazione, funzione di tutorato e altre “aggiuntive”). Nessuna di queste forme di sviluppo/articolazione della funzione insegnante ne può però intaccare l’unicità, nel senso che esse non delineano figure professionali “altre” rispetto a quella, centrale, dell’insegnante, centrata sull’insegnare/apprendere. Se si è convinti di questo, sarebbe singolare pensare a uno sviluppo professionale che si allontani da tale funzione. Va sicuramente incoraggiato l’impegno di chi spende il suo tempo per migliorare il funzionamento complessivo della scuola, ma va altresì valorizzata la scelta di chi ha deciso che sia altrettanto importante insegnare bene, per esempio, la matematica. Uno sviluppo della professione, inoltre, non va visto in opposizione agli altri colleghi e non all’interno di un sistema gerarchico perché, come l’Aran ha più volte sottolineato, si romperebbe quel clima di collaborazione tanto necessario alla scuola per operare bene. Nel dettaglio degli articolati
(ndr: Quando non specificato, il richiamo degli articoli e dei commi fa riferimento a entrambe le proposte di legge attualmente in discussione) L’art.1
recita: “la Repubblica riconosce e valorizza la professione dell’insegnante…
ne garantisce la qualità attraverso un efficace sistema di reclutamento, la formazione iniziale e continua, lo sviluppo di
carriera e la retribuzione per merito”. 1) Non si dice quale sia il sistema di “reclutamento efficace” (nella relazione di accompagnamento si afferma che bisogna intervenire per modificare il reclutamento, perché la legge n.124 del 1999 è la sanzione del vecchio sistema dei concorsi e delle sanatorie). Sarebbe il caso di spiegare verso quale nuova ipotesi si vuole andare. 2) Non si dice nulla su come sarà valutato il merito. Ricordiamo, a questo proposito, il già citato documento dell’Aran in cui si sottolinea come sia difficile valutare il merito del singolo insegnante e spiegare perché un insegnante sia più efficace di un altro. Oltre al problema della valutazione, l’Aran dimostra che la retribuzione del merito alimenta comportamenti opportunistici e non cooperativi tra i docenti. L’art.2, comma e: la proposta di “articolare la funzione docente in specifiche funzioni quali quella di docente tirocinante, ordinario ed esperto” fa correre il rischio di rompere l’unitarietà della funzione e di costituire una “fascia” di insegnanti considerati “più bravi” degli altri. L’art.
2, comma e, del disegno di legge n. 4091, dice anche che
a tale funzione si accede (oltre che per concorso) mediante
formazione.. Qui si coglie un’altra contraddizione. Chi forma i docenti
esperti? L’università? Questo vuol dire costruire figure a tavolino, lontane
dai bisogni e dalle competenze tipiche della scuola. Riteniamo poco opportuna
una formazione esclusivamente di tipo universitario o per titoli accademici
finalizzata al riconoscimento degli insegnanti esperti perché non è automatico che chi ha seguito un corso di formazione universitario
o chi ha più titoli - sui quali è peraltro giusto chiedere un riconoscimento
- sia un insegnante più efficace di un altro. L’università, che
deve ancora spiegare come possa attribuire valore abilitante a un titolo (la laurea specialistica) che precede
il tirocinio professionale, dovrà anche spiegare come riuscirà a formare
insegnanti esperti su competenze che sono caratteristiche della
scuola. La contraddizione allora sta proprio qui: si dichiara (e la relazione
lo ribadisce in vario modo) che c’è necessità di valorizzare il lavoro
degli insegnanti, riaffermarne il ruolo e il prestigio sociale, si vuole
infatti articolare la funzione proprio per far emergere tale valore, dall’altra
parte però si mettono sotto tutela dell’università quelle competenze e
quelle funzioni che sono della scuola, disconoscendo l’esperienza e il
“merito” degli insegnanti di scuola. Art.2, comma f: “Definizione delle modalità di assegnazione delle singole funzioni ai docenti”. Questo lascia intendere che in futuro si potranno assegnare specifiche funzioni ai docenti in organico o che direttamente la scuola potrà nominarne sulla base delle funzioni che servono con contratti a prestazione d’opera. Se così fosse oltre ad aumentare il precariato, verrebbe meno l’unicità della funzione. Tale soluzione comporterebbe sicuramente una riduzione di spesa ma diminuirebbe l’efficacia dell’intervento educativo e la qualità complessiva dei percorsi scolastici, con esiti negativi per tutti i ragazzi.
Art.2, comma g. Lo statuto degli insegnanti (definito per Regolamento) definisce “le modalità in cui si esprime l’autonomia e la libertà di insegnamento”. Facciamo presente che l’autonomia e la libertà di insegnamento non hanno modalità all’interno delle quali si esprimono, o è autonomia e libertà o non lo sono. Accanto all’autonomia e alla libertà ci sono gli obblighi del servizio, ma questa è un’altra questione, già affrontata all’inizio di queste note. Art.5, comma
2: “A livello nazionale, regionale e delle singole Istituzioni
scolastiche le associazioni professionali sono consultate e valorizzate
nel merito della didattica, della formazione iniziale e permanente”.
Riteniamo importante che il valore e il contributo dell’associazionismo
professionale sia riconosciuto in una legge dello Stato, ma riteniamo
che limitare tale riconoscimento alla sola consulenza della didattica,
della formazione iniziale e in servizio sia riduttivo per quelle associazioni
che sono state impegnate, nell’esclusivo interesse della scuola, in questi
ultimi decenni, su temi di grande rilievo culturale e su tante complesse
questioni che hanno toccato e toccano il
sistema di istruzione e formazione del nostro Paese.
Ai sensi del combinato disposto dell’art.1 (c.3) e degli artt.2 e 8 emerge che lo statuto degli insegnanti del sistema nazionale d’istruzione sarà definito con regolamento, da adottare entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, su proposta del Miur d’intesa con la Conferenza unificata e sentite le competenti Commissioni parlamentari. Ribadiamo la nostra contrarietà a definire una materia così complessa (che riguarda le modalità di reclutamento dei docenti; la valutazione del merito e lo sviluppo di carriera; gli aspetti comuni della funzione e i diritti e i doveri fondamentali caratterizzanti la funzione docente; le articolazioni della funzione, cioè le specifiche funzioni di docente tirocinante, ordinario ed esperto e le modalità di assegnazione ai docenti di tali funzioni; le modalità di nomina dei membri dell’Organismo tecnico rappresentativo) senza un confronto ampio, approfondito e diretto con tutti i soggetti interessati al cambiamento. |