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CIDI
- CENTRO DI INIZIATIVA DEMOCRATICA DEGLI INSEGNANTI
Cari colleghi,
Il CIDI anche
quest' anno, svolgerà il suo Convegno nazionale (il 30°!).
Per noi è un appuntamento impegnativo, ma riteniamo importante
promuovere un'occasione in cui la scuola ragiona di scuola.
Siamo abituati infatti a leggere e ascoltare analisi, riflessioni,
proposte sul funzionamento della scuola e sul comportamento degli
insegnanti da parte di chi (giornalisti, intellettuali, politici)
poco e male conosce il complicato e complesso mondo dentro cui ci
muoviamo.
Quest'anno il Convegno cadrà in una fase particolarmente
delicata: vogliamo allora capire con voi, nelle tre giornate di
lavoro del Convegno di Pisa, quale filosofia stia ispirando il nuovo
progetto di riforma e quale idea di scuola avanzi.
Coerentemente con un impegno ormai trentennale, la nostra iniziativa
è volta, con il contributo che possiamo dare e per la parte
che ci compete, a realizzare una scuola che riesca sempre di più
a diventare un fattore attivo nel "rimuovere gli ostacoli
di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà
e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".
Vogliamo, insomma, continuare il lavoro di sempre con le modalità
di sempre: tenere insieme un progetto di scuola adeguato alle sfide
della contemporaneità, che abbia un disegno culturale alto
e di grande respiro, che non escluda nessuno, che guardi a una società
più equa, più produttiva, più sostenibile,
senza mai perdere di vista i tanti e a volte impensabili problemi
del quotidiano fare scuola.
Argomentare, approfondire, promuovere il confronto attraverso una
continua iniziativa, che noi definiamo democratica perché
siamo convinti che considerare la cultura uno strumento di emancipazione
e di libertà sia un fatto democratico: questo è il
nostro scopo da sempre.
L'orientamento e le scelte del nuovo Governo come il blocco della
legge 30, l'autonomia in "apnea", la sospensione dei progetti
di innovazione e di sviluppo della scuola dell'infanzia, le misure
previste nella finanziaria che segnano un "disimpegno"
nei confronti della scuola pubblica (basti pensare alle commissioni
d'esame composte da membri tutti interni), il blocco della riforma
dell'amministrazione scolastica, le commissioni di studio istituite
al ministero (sul codice deontologico degli insegnanti, sulle modifiche
da apportare alla legge 30, tanto per citare le più note),
così poco rappresentative dei reali processi in atto nella
scuola e soprattutto la proposta di riforma della scuola del ministro
Moratti rendono l'impegno e le iniziative di noi insegnanti ancora
più determinanti.
Infatti dalle azioni del governo sembra emergere la volontà
di contrapporre ad una scuola che, non senza difficoltà,
sta cercando la strada per essere veramente una scuola del "diritto
di tutti alla cultura", una scuola con percorsi e luoghi di
formazione divisi e differenziati: divisi sulla base dell'appartenenza
culturale e religiosa, differenziati sulla base della futura collocazione
sociale che gli studenti dovranno raggiungere (meglio dire confermare):
una scuola, insomma, dell'"eccellenza" per alcuni e della
"solidarietà" per gli altri. Sullo sfondo l'illusione
che il mercato possa porsi come regolatore dell' efficienza del
sistema.
Noi siamo certi che la scuola sia più avanti di quella che
viene delineata nei documenti della commissione Bertagna e nel disegno
di legge del Ministro: per questo ci proponiamo di coinvolgere in
un comune impegno quegli insegnanti e quei dirigenti, che vogliono
continuare ad operare per una scuola che garantisca "il diritto
di tutti alla cultura".
Nell'augurio
di ritrovarci insieme a Pisa e in tante altre iniziative ma soprattutto
nel condividere il lavoro a scuola, voglio rinnovarvi i più
fraterni saluti.
21 gennaio 2002
Domenico
Chiesa
Approfondire le ragioni della
scuola che vogliamo contribuire a costruire
Vogliamo
una scuola in cui si possa essere diversi (in quanto uguali), in
cui si diventi se stessi imparando gli altri. È il
valore della scuola pubblica in quanto pluralista e laica che la
rende un vero laboratorio per la crescita della democrazia e sottolinea
il limite delle scuole di "tendenza".
La scuola è il laboratorio "naturale" per l'educazione
alla diversità.
L'incontro e il confronto con le differenze, l'acquisizione della
capacità di "utilizzarle", di "appropriarsene",
di sapere dialogare con esse è indubbiamente un esercizio
attraverso il quale il ragazzo impara a lasciare la sicurezza statica
dell'omogeneità per avventurarsi nella ricchezza
delle differenze raggiungendo livelli dinamici e più
alti di sicurezza: un vero e proprio principio di convenienza.
"Nel comportamento sociale nulla è naturale. Razzismo,
esclusione, emarginazione, oppressione sono prodotti della cultura.
Soltanto la cultura può stabilire una tregua tra gruppi "differenti".
E quindi produrre una condizione di tollerabile pace" (Furio
Colombo).
La diversità, la cultura della diversità, pensata
e vissuta quale risorsa, diventa una ricchezza da sfruttare nei
complessi processi di crescita della società e dei cittadini,
come esercizio e palestra di vita democratica.
Vogliamo
una scuola in cui le condizioni socio-culturali di partenza risultino
sempre meno determinanti per il raggiungimento dei più alti
livelli di istruzione. Al diritto/dovere all'istruzione
deve corrispondere realmente, per tutti, il raggiungimento di quel
livello di formazione culturale profonda e duratura, indispensabile
oggi per vivere, lavorare, continuare ad apprendere nel corso della
vita.
Affinché questo obiettivo risulti possibile è necessario
che non si interrompa l'esperienza scolastica nell'età in
cui il consolidamento culturale non sia ancora pienamente realizzato.
Il differenziare precocemente i percorsi formativi metterebbe in
discussione il ruolo della scuola come luogo di "decondizionamento
sociale".
Una scuola che rinunciasse a corrispondere ai bisogni di formazione
culturale alta per tutti e riscoprisse la vocazione alla selezione
attraverso una separazione precoce dei ragazzi in percorsi con valenza
formativa diversa, rappresenterebbe un passo indietro nello sviluppo
della società in senso democratico e una risposta miope,
arretrata e insufficiente anche alle richieste del mercato del lavoro,
finendo proprio per ridurre la formazione di molti cittadini alle
esigenze contingenti del mondo della produzione.
Vogliamo
una scuola che aiuti a formare persone in grado di pensare criticamente.
La cultura è sempre più una risorsa indispensabile
per il singolo e per la società. Nel diritto/dovere alla
cultura di tutti la scuola fonda il suo principio basilare: quello
di formare persone in grado di pensare criticamente, di avere conoscenze
e strumenti di interpretazione, di conquistare una disciplina mentale
che rifiuti le certezze affrettate e il pensiero semplificato. Coerentemente
con i principi che lo ispirano, tale progetto educativo dovrà
porsi l'obiettivo di formare i "cittadini del mondo",
vale a dire donne e uomini capaci di confrontarsi costantemente
con gli altri, di mettere in comune i vari punti di vista, di valorizzare
le differenze, nel dialogo e nel rapporto con altre storie e altre
culture.
La scuola viene a rappresentare il luogo della consapevolezza in
cui l'esperienza quotidiana, il senso comune, l'apprendimento spontaneo,
televisivo, elettronico, si incontrino con la valenza formativa
delle discipline: è questa una lunga, lenta e fondamentale
esperienza conoscitiva che tutti devono poter incontrare e percorrere
in modo compiuto, per consolidare gli alfabeti, i linguaggi e quelle
competenze culturali che possono sorreggerli e renderli soggetti
attivi della democrazia. Rappresenta pure il centro del nostro essere
insegnanti: farsi carico della formazione culturale di un bambino
o di un adolescente, avere un rapporto non casuale, non generico
con l'altrui soggettività, per riuscire a fornire a quella
persona gli strumenti culturali perché sia maggiormente libera
dai condizionamenti, autonoma, indipendente e in grado di fare scelte
consapevoli.
Vogliamo
una scuola che fornisca gli strumenti culturali per avere un lavoro
veramente umano. Il mercato del lavoro è sempre più
impietoso per coloro che non possiedono le basi culturali necessarie
a far evolvere le proprie capacità professionali. È
allora necessario che non si interrompa l'esperienza scolastica
nell'età in cui il consolidamento culturale non è
ancora pienamente realizzato. La formazione specialistica anticipata
è caratteristica di profili professionali rigidi; ma nella
società della conoscenza il lavoro tende a incorporare sempre
più competenze culturali di base, senza le quali le professionalità
raggiunte risultano deboli e sfavorevoli per i singoli e per lo
stesso mondo produttivo.
Va dunque difeso il diritto/dovere all'istruzione che comprenda
i primi due anni della scuola secondaria superiore, mentre il periodo
appena successivo a tale età (16÷18 anni) può
costituisce il tempo del "confine", dell'intreccio e della
contaminazione tra i sistemi dell'istruzione e della formazione
professionale per garantire a tutti il diritto/dovere formativo:
aver acquisito le necessarie basi culturali e averle valorizzate
professionalmente.
Vogliamo
una scuola che sviluppi il gusto e la soddisfazione di conoscere
e imparare. La formazione culturale è un bene a cui
nessuno deve rinunciare, nessun genitore può permettere che
i propri figli ne siano privi perché è il bene più
prezioso che gli adulti possono consegnare alle nuove generazioni.
Eppure sappiamo bene quanto è difficile costruire una scuola
per tutti, in grado di intercettare i tanti Gianni, e quanto è
più difficile fare scuola con i ragazzi come Gianni; ma sappiamo
anche che non è impossibile: quando la scuola si dota delle
risorse necessarie, quando si migliorano la qualità del curricolo
e delle relazioni è possibile farcela, è possibile
intercettare e aiutare a far crescere quel gusto per l'esperienza
conoscitiva che abita in ogni ragazzo e che ogni ragazzo ha il diritto/dovere
di scoprire e sviluppare.
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