CIDI
Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti
La scuola e i tragici avvenimenti di queste settimane
Alla scuola
della Repubblica è affidato il compito di formare le
giovani generazioni a una cittadinanza consapevole e attiva
per una società plurietnica e globale.
Alla scuola è affidato il compito di educare i giovani
al pensiero critico, all'autonomia di giudizio, a praticare
il dubbio e la curiosità.
Alla scuola è affidato il compito di dare strumenti di
conoscenza e di interpretazione, contro le certezze affrettate
e il pensiero semplificato, verso una cultura della pace, della
solidarietà, del rispetto dei popoli.
La scuola, soprattutto attraverso lo studio della storia, guida
i giovani a rintracciare e a riconoscere le ragioni e i perché
degli eventi, le cause e gli effetti di quanto accaduto e accade,
gli interessi e gli scopi delle tante guerre che hanno afflitto
i popoli, dall'antichità fino ai giorni nostri.
Di che
cosa parlare
Che cosa, allora, può dire la scuola sui tragici avvenimenti
di queste settimane? Può parlare di orrore, di morte?
Certo, e poi? La scuola non può diventare l'eco che
amplifica e rimanda l'evento massmediatico, approfondendo l'orma
lasciata dalla forza dell'impatto emotivo. Se questo accade,
il disagio, la paura, la perplessità degli studenti non
vengono superati o attenuati, perché ciò che appare
inesplicabile non si domina, lo si può soltanto subire,
e allora continua ancora a fare paura, a generare insicurezza
e disagio. Ma la scuola non può neppure prestarsi a diventare
il luogo dove si impara che il mondo è diviso in due:
da un lato i buoni, dall'altro i cattivi, suggerendo una drastica
semplificazione della realtà. Una visione di tal genere,
riduttiva e parziale, asseconda schemi interpretativi elementari
e falsamente rassicuranti; blocca la possibilità di crescita
del pensiero verso modelli di spiegazione più articolati
e complessi; fa arretrare, inoltre, quell'idea di umanità
- conquista della storia recente - che rifiuta aprioristiche
contrapposizioni, e che ha cercato e cerca di capire i conflitti
nella trama di esperienze intessuta da tutti, con i suoi nodi
e i suoi percorsi, e che tutti ci riguarda, come abitanti di
questo pianeta.
Certo, all'inizio di una guerra o alla vigilia della sua esplosione
si produce una sorta di accecamento: un regresso della ragione
che non è ancora frutto degli orrori della guerra (questi
arrivano nel corso del suo svolgimento), ma della condizione
collettiva in cui, nel mondo della comunicazione, assumono corpo
e forma la volontà aggressiva degli uni, la paura degli
altri. Gli effetti perversi del 'sonno della ragione' incominciano
da subito, quando la guerra è ancora minaccia, scatenando
emozioni che colpiscono il pensiero, paralizzato dall'azione
congiunta di aggressività e impotenza, odio e paura.
Prima ancora dei corpi, sono le menti a soffrire una perdita.
È in momenti come questi, allora, che la scuola ha
il compito di dare forza alla ragione. Tanto più
se il luogo dove passiamo il nostro tempo di lavoro insieme
ai bambini, ai ragazzi, ai giovani, è il luogo stesso
deputato alla conoscenza, alla ricerca, alla responsabilità
etico-civile, al pensiero riflessivo, in una parola, all'esercizio
della ragione: se siamo a scuola.
Prima ancora di dichiararci d'accordo o di dissentire dobbiamo
sapere di che cosa stiamo parlando.
Noi insegnanti sappiamo che la scuola è scuola quando
insegna che le cose hanno un nome, e che i nomi, evocando
idee, possono avere un grande ruolo nel condizionare le scelte
e l'agire umani.
Sappiamo che a scuola si insegna a connettere e a distinguere:
sono queste le operazioni mentali necessarie per comprendere
qualunque fenomeno.
Sappiamo che nella scuola si realizza il mondo della conoscenza,
dove non solo si impara a narrare, a descrivere, a spiegare,
ma dove si acquisiscono l'alfabeto, la grammatica e la sintassi
per leggere e interpretare il libro del mondo conosciuto e da
conoscere.
Sappiamo che la scuola è il luogo della ricerca
della verità e che questa ricerca è fatta di impegno
prolungato, di consapevolezza della possibilità dell'errore,
di lavoro comune, di pluralità di punti di vista.
Sappiamo infine che nella scuola si sperimentano le prime forme
di socializzazione secondo regole, nell'ambito del primo
e diretto incontro con il mondo delle istituzioni; pertanto
la scuola deve non solo garantire la possibilità di formulare
il discorso che legittima o condanna i comportamenti, ma deve
anche offrire le condizioni che spiegano i conflitti e le loro
possibili soluzioni.
L'importanza
del connettere e distinguere
Di fronte a una situazione di guerra annunciata non è
sufficiente fermarsi all'evento scatenante, per quanto drammatico
e riprovevole esso sia, ma è necessario risalire al contesto
politico, economico, culturale, di breve e medio periodo, in
cui sono maturati sia l'escalation terroristica, sia la risposta
militare. Si tratta, in definitiva, di connettere un evento
a una situazione complessa dalla quale riceve nuova luce; gli
eventi fanno precipitare una situazione, e giocano senza dubbio
un ruolo importante, ma sono inesplicabili se non vengono contestualizzati
(nella comprensione storica si parla anche di distinguere tra
occasioni e cause).
Comprendere significa anche distinguere - si è
detto - e qui le distinzioni da fare sono molte; tra queste
bisogna dire che le scelte religiose dei singoli e dei popoli
non vanno identificate con le cause di irriducibili antagonismi:
questa identificazione metterebbe in ombra cause materiali e
concrete - come il possesso di un territorio o il controllo
di una risorsa strategica - che sembrano avere più peso
nei conflitti e nel sistema internazionale delle alleanze.
Entrare nel mondo della conoscenza, in questo caso, significa
anche mettere a fuoco questioni che fanno parte del contesto
in cui viviamo - per esempio, la questione palestinese, l'accentuarsi
del divario tra ricchi e poveri nel mondo, i legami tra apparati
militari, apparati politici e sistema economico... -, indipendentemente
dal fatto che qualcuno possa vederle come cause scatenanti o
dirette del terrorismo.
Dare spazio alla ricerca significa tentare di conoscere quali
siano le forme di cui l'umanità dispone per evitare la
guerra come unica soluzione ai problemi del mondo.
Riprendere a ragionare contro la minaccia della guerra significa
dare alla scuola il suo senso più autentico e più
alto: essendo il luogo privilegiato della conoscenza, proprio
per questo è il luogo dove si impara che i contrasti
e i conflitti si generano ovunque, lontano da noi e nei contesti
vicini a noi. Si tratterà allora di mettere in atto,
nella scuola, nelle singole classi - contesti circoscritti entro
cui singoli individui possono imparare che cos'è un agire
responsabile - quell'esercizio della ragione che preferisce
alla domanda "come posso distruggere il mio nemico?"
quest'altra: "come posso risolvere il problema che ci ha
fatto diventare nemici?".
Roma, 26
settembre 2001