27.07.1999 - Legge di parità e sistema di istruzione - di Alba Sasso Quale ricetta per la scuola accomuna liberali, Confindustria, vescovi e neo-liberisti corporativi, ci siamo chiesti in molti, a proposito di un recente convegno sulla scuola promosso dalla rivista Liberal. Credo che dietro l’attacco alla gestione statale della scuola - peraltro condivisibile se si parla di un governo della scuola tutto accentrato e burocratico, deresponsabilizzante e incapace di cogliere le nuove esigenze e i nuovi bisogni di una scuola di massa- ci sia ben altro. Forse la convinzione che gli insegnanti non debbano più essere dipendenti dello Stato, ma che debbano rispondere ai singoli "clienti" come l’aio di settecentesca memoria? Mi pare che dietro l’idea di una scuola libera ci sia l’idea di una società nella quale, a diritti universalmente garantiti a tutti, si sostituiscano beni che ognuno si compra, secondo le sue tasche. Nell’istruzione, come nella sanità. E per questa strada si mette in discussione proprio il fatto che il diritto all’istruzione, sancito da quel patto di solidarietà che è la Costituzione repubblicana, sia, insieme, un bene collettivo e uno strumento per realizzare uguaglianza. Il principio della libertà applicato in senso assolutistico - diceva uno dei padri della nostra Repubblica - porta fatalmente a distruggere l’uguaglianza. Se ognuno ha diritto a organizzare la sua istruzione, come si legge nel manifesto di Liberal, avverrà fatalmente che chi ha più risorse le potrà aggiungere a quelle garantite dallo Stato (il buono-scuola) e procurarsi un’istruzione di "prestigio"; tutti gli altri si trasformeranno in "assistiti" proprio come negli Stati Uniti, peraltro individuati come modello da imitare. E già appunto negli Stati Uniti, così come in Inghilterra, esistono percorsi di istruzione paralleli: il primo fondato su quei saperi forti che permettono percorsi di eccellenza , l’altro finalizzato a obiettivi di pura socializzazione. E un adulto su quattro è "funzionalmente" analfabeta. Per questa strada si torna indietro su un altro principio di democrazia: quello per cui è decisivo, per la democrazia stessa, che la formazione di base delle nuove generazioni avvenga, non in luoghi separati, ma in uno spazio pubblico di confronto. La legge di parità tra scuole pubbliche e private, prevista dalla Costituzione e peraltro mai realizzata in quarantacinque anni di governo democristiano, dovrà servire a riorganizzare in senso privatistico il sistema dell’istruzione? La proposta del Polo- il disegno di legge Tarolli- calendarizzata al Senato in questo scorcio di luglio va sicuramente in questa direzione e rischia di mettere in discussione proprio i risultati di quel lavoro paziente di ascolto e riscrittura realizzato dal senatore Biscardi sulla legge di parità. Sono convinta che una legge di parità sia necessaria, non foss’altro per mettere ordine nella giungla incontrollata delle scuole parificate, pareggiate e legalmente riconosciute, che già oggi rilasciano titoli. E vorrei invitare il Ministro e il Cede ( il centro europeo dell'educazione) a verificare la quantità di voti alti (da ottanta a cento) data, nei recenti esami di stato, nella scuola privata rispetto a quella statale. Ma sono anche convinta, insieme a tanti, che una legge di parità non possa rimettere in discussione due principi fondamentali: le scuole private, anche se paritarie, non possono, in nessun modo, essere sostitutive delle scuole statali istituite dalla repubblica, che costituiscono il sistema nazionale dell'istruzione. In secondo luogo, non può essere loro garantito, in nessun modo, un finanziamento diretto o indiretto. Infine, se il diritto all’istruzione non può trasformarsi in un bisogno da assistere, non mi sembra legittimo quanto già stanno facendo alcune Regioni né mi convince la scorciatoia di finanziare, attraverso convenzioni, le scuole materne non statali. E’ certo importante, oggi, garantire agli alunni che frequentano le scuole private- il 7% dell’intera popolazione scolastica- il diritto a un trattamento equipollente. Ma occorre intervenire in modo costituzionalmente corretto. O dobbiamo accettare qualunque soluzione e rassegnarci all'idea che questa questione continui ad essere usata come merce di scambio tra "riordino dei cicli" e "parità"? Correremmo il rischio di mettere in discussione
quel difficilissimo e complesso processo di riforma, nel quale è
oggi impegnato con passione e intelligenza grande parte del mondo
della scuola. Processo che ha, non ce lo dimentichiamo, come obiettivo
quello di migliorare per tutti - coniugando appunto libertà,
uguaglianza e democrazia- la qualità e l’efficacia del sistema.
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