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Facciamo un corso? di Giorgio Bini
Informare o educare alla
sessualità? Un problema che, dopo anni di dibattito, non trova ancora
una sua coerente soluzione scolastica.
La prima volta
Un dato che si presenta
con grande frequenza a chi dedica una qualche attenzione ai problemi dell’educazione
sessuale è il susseguirsi di statistiche sui comportamenti sessuali
giovanili, in particolare sulla “prima volta”. Di alcune fra queste statistiche
dovrebbe esser garantita l’attendibilità, in particolare di quelle
elaborate da enti che da decenni si dedicano a queste ricerche, come l’Aied
e l’Asper. Per altre è lecito nutrire qualche dubbio; per quanto
riguarda, poi, i resoconti giornalistici su questo e altri temi simili,
è interessante lo sforzo che viene fatto per sottolineare veri e
spesso presunti elementi di novità. La cosa è facilmente
comprensibile: la sessualità, specialmente giovanile, è argomento
su cui improvvisare è rischioso; ma d’altra parte vagliare i dati
e interpretarli può essere faticoso perché richiede un bel
po’ di conoscenze organizzate e una preparazione che non può fermarsi
alla superficie. Sicché si finisce spesso con il riportare le notizie
d’agenzia e accompagnarle con qualche commento, talvolta troppo spericolato.
Secondo l’Aied, nel 1976
il 56% delle ragazze con meno di diciotto anni aveva avuto rapporti sessuali
completi. Nel 1986 l’Asper comunicava che l’età del primo rapporto
tendeva ad anticipare a quindici e persino a tredici anni. Nel 1991 si
delineava la tendenza al rinvio, fino ai diciotto anni. Nel 1995, secondo
il ministero della Sanità, il 50% dei giovani in età scolastica
aveva la prima esperienza di sesso “completo” a diciannove anni (le ragazze
a venti); per il 25% questa esperienza avveniva a diciassette-diciotto
anni.
Per quanto riguarda la contraccezione,
secondo dati Aied (1994) il 28,5% delle coppie ricorreva al profilattico,
il 21,5% al coito interrotto, il 24,5% non usava nessun metodo anticoncezionale.
Nel 1995 l’Aied collocava
il primo rapporto verso i diciannove anni (per l’Asper la “prima volta”
avveniva per il 39,6% dei maschi e il 35,4% delle femmine a sedici anni.
Ma un’altra tabella spostava questa età verso i quattordici-sedici
anni per il 70% circa dei due sessi).
Nel 1996 i ginecologi della
“Cattolica” di Roma trovavano il 50% di vergini in più fra le clienti
di quindici-vent’anni. L’Aied segnalava che a diciotto anni il 19,5% dei
maschi e il 22% delle femmine non aveva ancora avuto un rapporto completo;
due anni prima erano rispettivamente l’8% e il 21%. Anche secondo indagini
europee la prima esperienza dei rapporti completi si spostava verso i sedici-diciotto
anni. Lo stesso confermava l’Asper per l’Italia due anni dopo. Nel 2000
l’età della “prima volta” sembrava tornare ad abbassarsi di qualche
mese.
Insomma, “completezza” dei
rapporti e veridicità delle dichiarazioni a parte, si direbbe che
risulti dalle inchieste quello che tutti già sanno: che gli adolescenti
dei due sessi hanno fra loro rapporti d’affetto, d’amore e di sesso con
molto maggior frequenza che cinque o più decenni or sono.
Gli “scandali”
Ogni tanto sembrano scoppiare
degli scandali. La ministra Russo Jervolino, per esempio, provò,
a dire il vero senza impegnarsi troppo, a scoraggiare la diffusione nelle
scuole di un opuscolo anti-Aids (protagonista il Lupo Alberto) e suscitò
proteste. L’onorevole Garavaglia, ministra della Sanità, parve favorevole
alla pillola per le adolescenti quando affermò (1993) che l’anticoncezionale
era preferibile a una gravidanza indesiderata. Ci furono smentite, controsmentite,
conferme, commenti indignati o sorpresi o favorevoli. Il buon senso indurrebbe
a ritenere di gran lunga preferibile una ministra democristiana parzialmente
favorevole alla contraccezione (probabilmente lo sono la stragrande maggioranza
delle donne cattoliche) a una first lady come la moglie di Bush
senior che l’anno prima aveva dichiarato l’equivalenza di sesso e morte.
Nessuno scandalo, invece, quando (1995) il ministro Lombardi si espresse
a favore di un’informazione nelle scuole sull’uso dei profilattici.
Altro scandalo a esplosione
periodica è quello che riguarda la masturbazione. Capita che qualche
psicologo cattolico scriva quello che dicono quasi tutti gli psicologi:
che l’auterotismo adolescenziale è una tappa “normale” dello sviluppo
psicosessuale e il solo danno che può derivarne, evitabilissimo,
è il senso di colpa che una cattiva educazione può provocare
in alcuni soggetti. Ma i giornalisti fingono d’aver capito male,
o hanno capito male davvero, e scrivono che la Chiesa ha cambiato orientamento.
E così costringono autorevoli prelati a precisare che la Chiesa
non ha nulla da cambiare. Nella sua morale ogni attività sessuale
che non si svolga fra marito e moglie è più o meno gravemente
disordinata; nel caso specifico dell’autoerotismo, la Chiesa lo considera
un comportamento dettato da egoismo e immaturità.
(Detto il più rispettosamente
possibile: quella morale sessuale non è né vera né
falsa, naturalmente, non essendo possibile trovare strumenti di verifica
della sua verità e falsità. Semplicemente, escluse piccolissime
minoranze, i fedeli e le fedeli non la seguono: svolgono più o meno
tranquillamente la loro attività sessuale prima e fuori del matrimonio,
praticano la contraccezione e spesso escludono la “prospettiva della
generazione”, difendono la legislazione sull’aborto, collocano la verginità
all’ultimo posto tra i valori. Il non cattolico è bene che si fermi
a questa constatazione; il resto - l’obbedienza o no a quei comandamenti,
lo schierarsi o no a favore d’una diversa morale - è questione che
riguarda solo i credenti e praticanti. Ma è bene che tutti, in primo
luogo i giornalisti, si astengano dall’attribuire alla Chiesa come istituzione
posizioni che sono invece di singoli studiosi cattolici).
La legge
Tutti, prima o poi, gridano
che bisogna informare i giovani sui problemi della sessualità, in
particolare sull’Aids e le altre malattie a trasmissione sessuale, l’aborto,
l’omosessualità, la maternità e la paternità, la contraccezione.
In teoria tutto ciò è conosciuto dai ragazzi e dalle ragazze,
sia attraverso la comunicazione diretta, sia in parecchi casi per intervento
della famiglia, sia attraverso pubblicazioni dedicate alle adolescenti
che le informano e chiamano psicologhe, ginecologhe e sessuologhe a rispondere
alle loro domande più o meno ansiose; e le specialiste danno sempre
risposte nelle quali si dà per scontato che normalmente le adolescenti
abbiano
una vita sessuale più o meno regolare (nella quale, come si sa,
quelle informazioni non sempre vengono tradotte in comportamenti ispirati
a prudenza e rispetto reciproco).
E la scuola? Tutti dicono
a voce alta che la scuola deve intervenire e lamentano che non lo faccia,
e che il tentativo di legiferare in proposito sia fermo ai risultati (non)
conseguiti nel 1992. La storia del tentativo del Parlamento d’intervenire,
fra il 1975 e il 1992, se a qualcuno interessasse, è esposta nel
capitolo III (pag. 131-164) d’un libretto, costato una ventina d’anni di
lavoro, del quale quasi nessuno s’è accorto: G.Bini, Educazione
sessuale e scuola, La Nuova Italia, Scandicci 1996.
Nell’ampio dibattito che
si svolse dalla metà degli anni settanta in seguito alla presentazione
del primo progetto (proposta di legge n° 3548, primo firmatario lo
scrivente) vennero riproposte all’attenzione degli studiosi e della gente
di scuola antiche e fondamentali questioni, una prima di tutto: se la
scuola debba informare o educare alla sessualità. La posizione
più favorevole ad attribuire alla scuola un ruolo educativo è
quella cattolica: la sessualità è costitutiva della persona
(la Chiesa e gli studiosi cattolici non dicono più da decenni che
il sesso è male) e insieme con un’ampia informazione è necessario
presentare ai giovani e alle giovani una visione complessiva del posto
che occupa la sessualità nell’esperienza di vita e dei princìpi
che devono ispirare la condotta in quel campo: fondamentalmente la castità
fuori del matrimonio (cioè l’astinenza), essendo l’esperienza sessuale
così importante da richiedere un legame stabile e perenne, e fra
gli sposi.
È una concezione
del tutto legittima, naturalmente, e degna di rispetto, anche se poco seguita
nella pratica, come s’è detto; d’altra parte un principio morale
non può essere giudicato non valido solo perché non è
applicato da molti nella condotta effettiva. Ma quello che quasi tutti
gli studiosi cattolici e gli esponenti della Chiesa non considerano è
che la loro proposta morale non è la sola possibile. Le si affianca
o le si contrappone un’altra visione morale, altrettanto legittima e rispettabile,
secondo cui, nel rispetto di sé e degli altri, senza imposizione
e violenza, le scelte relative ai rapporti personali e sessuali sono un
fatto individuale. Compito della scuola di tutti non può essere
proporre autorevolmente una delle due morali come la morale, pena il formarsi
d’una specie di corto circuito pedagogico che produrrebbe danni gravissimi,
ma aiutare a comprendere se stessi e gli altri, a maturare la capacità
d’una scelta responsabile.
La prima discussione parlamentare,
la più seria, sulle proposte di legge - una del Pci, una del Psi,
una della Dc - fu caratterizzata da uno sforzo di tutti per raggiungere
un accordo di buon livello culturale: aggiornamento del personale insegnante,
riferimenti alla sessualità in tutti gl’insegnamenti, in forma pluridisciplinare,
e rifiuto d’istituire una materia con programmi ministeriali e classi di
concorso. La discussione fu troncata dal consueto scioglimento anticipato
delle Camere. Nelle successive legislature furono presentate altre proposte
di legge, finché nel 1992 si giunse all’accordo, grazie all’iniziativa
delle deputate del Pds - i maschietti ritenevano l’argomento troppo frivolo
per non delegarlo alle colleghe - che cedettero tranquillamente sull’unico
argomento rimasto controverso dal 1978: l’intervento della famiglia e il
richiamo alla responsabilità verso la procreazione, richiesti dalla
Dc.
Dovrebbe essere facile intendere
che la famiglia, chiamata a condividere responsabilità dirette in
un campo così delicato, finirebbe col trasferire nella scuola i
suoi conflitti e condizionare il lavoro didattico fino, in molti casi,
a renderlo impossibile. Per fortuna la legge non andò oltre l’approvazione
in commissione alla Camera. Fu invece giudicata benevolmente dalla sessuologhe
che frequentano il “Maurizio Costanzo Show” e partecipano abitualmente
a corsi nelle scuole.
I corsi
Qualunque occasione è
infatti buona per chiamare gli specialisti e soprattutto le specialiste
nelle scuole per corsi di educazione sessuale. In molti casi il giudizio
su queste iniziative non può essere che negativo, per varie ragioni:
-
Espropria, per così
dire, il personale insegnante. Il lavoro informativo e, nei limiti
che si sono indicati, formativo in questo campo è un aspetto importantissimo
della professionalità docente. Nelle discussioni degli anni settanta
emerse con chiarezza che era compito della scuola proporre all’attenzione
degli alunni e delle alunne, in forme adeguate all’età, i problemi
che la sessualità pone alla nostra vita personale, sociale, culturale.
Si pensi alla storia della famiglia, della donna in casa e in società;
all’evoluzione del costume e della mentalità, della visione dei
ruoli sociali legati al sesso; alla demografia e ai suoi stretti collegamenti
con il controllo delle nascite; alle questioni biologiche - genetica, biotecnologie
e connessi problemi etici, etologia ecc -, psicologiche - lo sviluppo psicosessuale,
la formazione dell’identità di genere -, sociologiche, giuridiche,
etiche, politiche, letterarie e artistiche attraverso le quali la sessualità
è costantemente presente alla nostra cultura e assente dalla scuola;
-
Fornisce alibi ai silenzi
della scuola. La sessualità è sempre stata fuori dagl’interessi
dell’istituzione scolastica, oggetto di silenzi e censure che escludessero
i temi troppo impegnativi, e continua a restare fuori. Chiamare gli esperti
e le esperte a tenere il corso dispensa la scuola e il suo personale dall’impegno
diretto, dal compito di procurarsi libri e riviste, di rivedere le basi
della propria cultura con un lavoro professionalmente ricco ma lungo e
complesso;
-
Trasmette agli alunni e alle
alunne un messaggio fuorviante: che la sessualità per la scuola
sia nient’altro che un episodio, non rientri nei temi “normali”; che non
sia una questione abbastanza seria (oppure, che la scuola non sia abbastanza
seria da occuparsene “normalmente” e non solo quando viene sollecitata
a inviare messaggi allarmanti sull’Aids, sulla pedofilia, sulla violenza
associando sistematicamente sesso e disturbi della condotta, sesso e morte).
Venticinque anni fa avevamo
compreso tutto questo. Oggi, pare, non più. In fondo non c’è
da stupirsene.
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Bibliografia minima
Si indicano qui di seguito
alcuni testi non comparsi nel volume citato nel testo e nella bibliografia
comparsa nel n° 7/8, 1997 di “Insegnare” (G.Bini, Qualche “novità”
sull’educazione sessuale).
Testi sull’educazione
sessuale
V.Andreoli, Dalla
parte dei bambini, Milano, Rizzoli, 2000;D.Barrilà, G.Bufano,
Dalla cicogna al videotape, Cinisello, S.Paolo, 1996; G.Bini, Ci
sarebbe anche l’educazione sessuale, in “Insegnare”, n° 7-8, 1999;
11-12, 1999, 2, 2000; F.Bombelli, M.T.Cattaneo, Sei-undici, Cinisello,
San Paolo, 1988; M.Bosio, V.Ugolini, Insegnare l’educazione sessuale,
Bologna, Clueb, 1999; D.Breen (a cura di), L’enigma dell’identità
di genere, Roma, Borla, 2000; C.Buzzi, Giovani, affettività,
sessualità, Bologna, Il Mulino, 1998; C.Camarca, M.R.Parsi,
SOS
pedofilia, Milano, Baldini e Castoldi, 2000; Castagnini Bona,
La
coppia adolescente, Milano, Angeli, 1996; G.Cesari, M.L.Di Pietro,
L’educazione
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e crescita personale, Milano,Sonzogno, 1997; C.Cipolla (a cura di),
Sul
letto di Procuste, Milano, Angeli, 1996; L.Corradini, Quale legge
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Scuola e identità di genere, in “Proiezioni”, 31-I-1996;
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Trento, Erickson, 1997; L.Erlicher, B.Mapelli,
I modelli e le virtù,
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L’immaginario
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Lezioni
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Testi di educazione sessuale
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natura e significato umano, “La coppia giovane”, 1-2,1991; M-F. Botte,
P. Lemaitre, Mimì Fiore di Cactus e il suo porcospino, Giunti,
Firenze 1998; I. Bozzi, Mamma ha fatto “certe cose” con papà...,
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Gribaudi, Milano 1994; P. Carra, M. Giacobino, Svegliatevi bambine!,
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San Paolo, Cinisello 1998; Educaids, a cura della Regione Liguria, Erga,
Genova 1998; V. Facchini, Piselli e farfalline...,Firenze, Fatatrac,
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Guiducci, La sessualità nel progetto persona, Dehoniane,
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2000; V. Mahoney, Sesso sicuro, Sipiel, Milano 1996; P. Paterlini,
Io
Tarzan, tu Jane, Zelig, Milano 1995; G. Pederiali, Il bambino
che non voleva nascere, Giunti, Firenze 1996; G. Russo, Sessualità
e qualità della vita, ElleDiCi, Torino-Leumann 1994; So dire
di sì, so dire di no, Fabbri, Milano 1999; P. Stettini, Sessualità
e amore, Giunti, Firenze 1996; O. Ch. Tyrrel, Tutto quello che hai
sempre voluto sapere sulle mestruazioni (e non hai mai osato chiedere),
Bompiani, Milano 1997; K. Vrancken, Anna e le cose dell’amore, Bompiani,
Milano 2000; R. Zanoni (a cura di), Manuale di educazione sessuale,
Colognola ai Colli, 1995; M. Zattoni, G. Gillini, Vuoi fare l’amore
con me?, Queriniana, Brescia 1999.
numero 8-9/2001
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