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Il nuovo curricolo di Storia di Antonio Brusa
Fine gennaio, ci siamo, forse:
quindici anni di lavoro, di analisi di problemi italiani e di curricoli
di altri Paesi stanno per ottenere il loro scopo. Il lettore potrà
valutare. Ma in ogni caso, il progetto che abbiamo redatto rappresenta
uno sforzo di comprendere una situazione e di rispondervi, e resta, perciò,
un progetto al quale ci si potrà riferire. Problemi concretissimi,
finalmente: chi non si è lamentato, almeno una volta, del fatto
che non c’è continuità fra i programmi delle elementari,
delle medie e delle superiori? Chi non ha mai sperato, almeno una volta,
di insegnare insieme la storia e la geografia? O di non ripetere più,
per l’ennesima volta, fatti e problemi già studiati dai ragazzi?
Il curricolo continuo, o
verticale, è per l’appunto lo strumento didattico fondamentale per
farvi fronte. Ma andiamo con ordine, partiamo dal concetto di “continuità”.
In termini pratici vuol
dire, semplicemente, che non vogliamo che quello che si fa oggi, domani
venga buttato. Perciò, il curricolo prescrive che al principio dell’itinerario
formativo gli allievi mettano a fuoco dei concetti (primi due anni), con
i quali costruiranno i modelli semplici di società (altri due anni),
che serviranno - a loro volta - ad animare la storia generale, studiata
nei cinque anni successivi. Ora, l’allievo “entra” nella storia generale,
e gli vengono proposti temi e discussioni che lo impegneranno - nei tre
anni conclusivi della scuola secondaria - in un itinerario di avvicinamento
progressivo alla disciplina. Dal canto suo, il docente ha la possibilità
di combattere una battaglia oggi disperata: quella di appassionare o, almeno,
di interessare un po’ i suoi interlocutori a questa disciplina.
Per tutta la scuola di base
l’integrazione fra i tre gruppi disciplinari che compongono l’ambito (storico,
geografico e sociale) è forte. Dalle parole fondamentali, ai modelli
elementari di società (ciascuno dei quali ha un risvolto ambientale
e sociale), alla storia generale, soprattutto se la geografia potrà
essere rideclinata secondo concetti e non più nella vecchissima
e inutile partizione (Italia, Europa, mondo). Così come le scienze
sociali forniscono concetti e riflessioni che potenziano enormemente l’analisi
storica (come, per esempio, “il popolamento”, studiato insieme con il processo
di ominazione; o il rapporto individuo/massa studiato insieme alla società
novecentesca). Nella fase superiore, poi, la modularità tipica dei
temi consentirà apparentamenti facili, mentre oggi richiedono fatiche
programmatorie immense.
La storia generale, una
sola volta, bene e per tutti: con questa formula potremmo riassumere il
messaggio di questo curricolo. Non è vero (come diranno in tanti)
che la storia generale viene cancellata dalle scuole, perché, al
contrario, si permetterà a tutti di farla in cinque anni. Ed è
così importante che si preparerà attentamente, per impararla
bene. E, dopo, verrà reimpiegata continuamente, per sistemare al
posto giusto i problemi, man mano che verranno studiati. Ma non è
più possibile pensare che «il racconto storico dell’umanità»
sia l’unica forma di avvicinamento alla disciplina.
Questo ambito, concepito
in maniera così unitaria, permette di risolvere in modo efficace
il problema delle lauree e della formazione primaria, discusso su «Insegnare»,
a partire da una sollecitazione di Tranfaglia. Infatti, se noi progettassimo
“a monte” un corso di laurea in Storia, Geografia e Scienze sociali, avremmo
dei laureati che hanno al loro attivo un numero sufficiente di esami, relativi
ai tre raggruppamenti disciplinari (molti di più, in ogni caso,
dei due esami di storia che ancora oggi sono sufficienti per insegnarla
nelle scuole). Verrebbe, dunque, a cadere il timore che le lauree triennali
siano meno formative, e - perciò - per l’abilitazione sarebbe sufficiente
il biennio di specializzazione. Poi, il collega che voglia prendere una
seconda abilitazione, potrebbe sostenere i nuovi esami disciplinari necessari
(la riforma universitaria lo consente), e fare una seconda scuola di specializzazione,
priva ovviamente della parte di pedagogia già studiata, ma ricca
di didattica specifica.
Fra gli aspetti positivi
di questo rinnovamento c’è il fatto che gli autori saranno costretti
a riscrivere interamente i loro testi, i quali - a differenza di quanto
è accaduto in un passato anche recente - dovrebbero essere incompatibili
con la nuova struttura curricolare. E, in questo rinnovamento, potrebbero
anche scrivere in modo diverso la storia, sperimentando racconti nuovi
e più avvincenti (non lo sapeva, il buon Storace: ma è proprio
questa la vera ripetitività della nostra manualistica). Quindi,
la situazione futura potrebbe vedere i docenti scegliere fra testi effettivamente
diversi e non più, come accade adesso, differenziati per qualche
rubrica o per gli apparati iconografici o didattici: e non è detto
che il momento della scelta non possa tornare a essere divertente.
Penso alla questione dell’aggiornamento,
ai problemi immensi che questo comporterà. Ma, soprattutto, sono
terrorizzato dal profluvio di nuove discussioni per capire la differenza
fra curricolo e programma o fra abilità e competenze. Per quanto
riguarda la storia, mi piacerebbe che ci si concentrasse su due punti:
la nuova visione che oggi abbiamo della storia (moltissimi pensano ancora
che le nuove storiografie siano rappresentate dalle “Annales” o dalle storiografie
della soggettività); e il laboratorio: il nuovo curricolo funziona
se sappiamo costruire esercitazioni credibili e efficaci.
numero 3/2001
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