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Verso il federalismo scolastico...
e se fosse "secessione leggera"?
di Giancarlo
Cerini
Certamente,
oggi, non possiamo "non dirci federalisti": ci viene naturale
associare il federalismo alle più alte espressioni della democrazia
politica, ai principi di autogoverno e di responsabilità diffusa
nella gestione della cosa pubblica, appunto della res publica. Il federalismo,
in questa ottica, rappresenta la concreta realizzazione di una cittadinanza
compiuta. Viceversa: lo statalismo centralista, dopo le cattive prove
date di sé nel secolo scorso, ci ricorda la presenza di un "grande
fratello" illiberale e intrusivo, piuttosto che le ragioni della
solidarietà e del welfare. Il problema è, però,
un altro.
Chiediamoci se le
concrete forme di federalismo verso le quali ci stiamo avviando nel
nostro paese, con la riforma della Costituzione (Legge dello stato n.
3 del 18 ottobre 2001, a seguito del Referendum confermativo) e in previsione
di una più accentuata attribuzione di poteri legislativi alle
Regioni (preannunciata nel disegno di legge approvato dal Consiglio
dei ministri il 13 dicembre 2001) siano rispondenti a questi principi,
se cioè rappresentino una espansione di qualità della
democrazia, di migliore tutela dei diritti dei cittadini, di effettiva
espansione di opportunità e di uguaglianza. E quindi se la riforma
della parte II della Costituzione (gli ordinamenti, le strutture organizzative,
ecc.) sia in grado di meglio avvalorarne la Parte I (i "principi
fondamentali" che non sono - al momento - oggetto di ripensamento,
semmai in attesa di una reale attuazione).
Nel settore di nostro interesse (l'istruzione e la formazione) la domanda
non è oziosa, perché il diritto all'educazione è
uno dei diritti fondamentali di cittadinanza, una delle condizioni per
una effettiva partecipazione delle nuove generazioni alla vita sociale,
civile e culturale del proprio paese.
Il federalismo in campo scolastico è in grado di realizzare al
massimo livello possibile questi diritti oppure esistono rischi di involuzione,
di separazione, di riduzione di opportunità, perché troppo
condizionate dai diversi profili regionali dei sistemi scolastici?
Ancora: le leggi "federaliste" che si stanno ora scrivendo,
non sono forse ammantate di una certa ingenuità, cioè
dalla convinzione che basti introdurre una qualche forma di federalismo
nelle nostre istituzioni pubbliche in omaggio al principio di sussidiarietà
(e quindi di decentramento, di autonomia, di responsabilità locale)
per migliorarne la qualità e la resa?
Gli esempi che ci provengono da alcuni sistemi scolastici ad alto tasso
di federalismo (pensiamo a quello statunitense) ci dovrebbero consigliare
una maggiore prudenza. Negli ultimi anni, proprio i sistemi più
decentrati, hanno reintrodotto forme di governo "unitario"
e "nazionale", per risalire la china di una qualità
perduta.
Le ricerche internazionali sulla qualità dell'istruzione mettono
in evidenza come, al di là delle architetture di sistema, sia
decisivo il tipo di investimento pubblico (emotivo, psicologico, culturale,
finanziario) che un paese intende dedicare al proprio sistema formativo.
La percentuale del Prodotto nazionale lordo investito sull'istruzione
diventa una variabile che fa la differenza, al pari però dell'attenzione
ai problemi dell'educazione "pubblica", del considerarla un
fattore di inclusione (o di esclusione), di integrazione sociale e culturale
(o di separazione), di promozione di opportunità (o di selezione
precoce dei "talenti").
Questa opzione sui valori viene ancor prima del modello istituzionale
prescelto, anzi può illuminare il senso delle scelte da compiere
sul piano istituzionale.
Il paese delle
tre Costituzioni
Dopo una stasi durata alcuni anni (contrappuntata dall'esperienza improduttiva
della Commissione Bicamerale) il processo di riforma costituzionale
è stato vigorosamente accelerato nel corso del 2001, con l'approvazione
in extremis di legislatura di un progetto di riforma del Titolo
V della seconda parte della Costituzione (poi confermato dal Referundum
e quindi diventato Legge Costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001). Più
recentemente, nel Consiglio dei Ministri del 13 dicembre 2001, è
stato dato il via libera a un Disegno di Legge di ulteriore modifica
della Costituzione appena riformata (meglio conosciuto come devolution,
in omaggio al battage in proposito intrapreso dal Ministro proponente
Bossi).
Entrambi i provvedimenti (il primo con una sua cogenza giuridica immediata,
il secondo ancora una semplice proposta da sottoporre ad un complesso
iter parlamentare) implicano notevoli cambiamenti in materia di istruzione,
fino a delineare un assetto istituzionale di stampo federale (cioè
con competenze legislative in certi campi dell'istruzione attribuite
in via esclusiva alle Regioni).
Il cambiamento è così repentino che diventa perfino difficile
cogliere le possibili implicazioni delle diverse versioni di Costituzione
sulla vita della scuola. In effetti, siamo in presenza di tre Costituzioni
(quella del 1948, quella modificata nel 2001, quella in via di ulteriore
riforma), con evidenti sovrapposizioni e con difficoltà per gli
stessi esperti di diritto costituzionale a dirimere eventuali conflitti
e divergenze di interpretazioni.
Per esempio, la legge della Regione Lombardia sul "diritto allo
studio" (alias "buono scuola") lede o meno l'attuale
(o la futura?) Carta costituzionale?
I due governi nazionali che si sono avvicendati nel corso del 2001 hanno
agito in maniera diametralmente opposta, visto che mentre il primo aveva
impugnato la legge di fronte alla Corte Costituzionale, il secondo ha
abbandonato il precedente ricorso. Analogamente potremmo dire circa
le prospettive di riforma dell'ordinamento della scuola: eventuali nuovi
cicli scolastici (che implicano anche il contestuale ripensamento della
"filiera" professionale) non possono essere pensati a prescindere
dall'apporto del sistema delle Regioni e degli Enti locali (e non è
un caso che, su questo punto, l'elaborazione della Commissione Bertagna
- dicembre 2001 - abbia suscitato una vivace reprimenda - di metodo
- da parte dei "governatori" regionali).
Si registra ormai una tendenza verso una maggiore responsabilità
delle "periferie" nel campo dell'istruzione (chiamiamolo "federalismo
scolastico"), ma resta aperto l'esito di questo movimento: avremo
un federalismo competitivo, con le Regioni "forti"
intenzionate a erodere sempre maggiori poteri allo Stato centrale, oppure
un federalismo cooperativo e solidale, ove cioè prevarranno
le ragioni della collaborazione e della coesione tra i diversi territori
? Il fatto che entrambe le proposte di riforma costituzionale (una già
legge dello Stato, l'altra ancora in embrione) prevedano un federalismo
a geometria variabile, cioè con la possibilità
di diversi stadi di avanzamento nell'acquisire autonome prerogative
legislative, sembra - al momento - segnalare la "spinta" delle
Regioni più forti (più pronte a praticare il federalismo)
a sganciare i loro vagoni dal convoglio nazionale, perché giudicato
troppo lento.
Sta di fatto che l'equilibrio raggiunto con la legge 15 marzo 1997,
n. 59 (non a caso definita del "federalismo amministrativo"
o del "federalismo a Costituzione vigente"), con una tripartizione
di funzioni tra lo Stato, le autonomie locali (Regioni ed enti locali)
e le Istituzioni scolastiche autonome (un tridente cui ha fatto riferimento
anche il Ministro Moratti nelle sue dichiarazioni programmatiche al
Parlamento nell'estate 2001), sembra già messo in discussione
prima ancora di essere concretamente attuato. Le nuove deleghe agli
Enti locali, infatti, dovrebbero decorrere dal 1° settembre 2002.
Anche la connessa riforma della amministrazione della [Pubblica] Istruzione,
di cui al regolamento approvato con il Dpr 6 novembre 2000, n. 347,
è di fatto messa in mora perché non si è in grado
di darvi pratica attuazione dal 1° gennaio 2002. Per inciso, da
tale data dovrebbe decorrere la nuova intelaiatura degli organi collegiali
territoriali (consigli scolastici locali, consigli scolastici regionali,
consiglio nazionale della pubblica istruzione), ma l'esecutivo ha richiesto
una delega per una nuova ristesura del decreto (Dpr 233/1999).
Come si può notare, siamo di fronte a un panorama normativo alquanto
perturbato, che va ben al di là delle turbolenze dovute a un
fisiologico ricambio di legislatura.
Sono certamente in discussione questioni di rilevanza costituzionale,
ma la scuola è costretta a vivere un'ennesima stagione di incertezze,
dove l'apparizione continua di nuovi orizzonti e di nuovi scenari, in
mancanza di primi tangibili risultati, produce un effetto di straniamento
e di disillusione rispetto alle tante riforme "preannunciate"
e poi "disattese".
Conviene, allora, ricostruire le fila del discorso, provando a documentare
l'evoluzione del quadro normativo costituzionale e delle norme attuative
per riscontrarne motivi di continuità e di discontinuità
e prevederne quindi l'impatto sulla realtà scolastica.
La Costituzione
del 1948
I padri costituenti dedicarono alla scuola e alla formazione pochi ma
essenziali enunciati. Innanzi tutto gli articoli 33 e 34, specificamente
volti a delineare l'impianto culturale del sistema scolastico pubblico
("la scuola è aperta a tutti"), e con una forte insistenza
sul ruolo della Repubblica nella promozione diretta della scolarizzazione
e nella definizione delle regole (le "norme generali") per
tutto il sistema formativo (pubblico e privato). Alcune prescrizioni
appaiono certamente datate, come il richiamo ad "almeno otto anni"
di scuola obbligatoria (ma come non ricordare le polemiche di "Lettera
ad una professoressa" circa il mancato raggiungimento di questo
pur elementare diritto costituzionale?) o il severo riferimento ai "capaci
e meritevoli" che sarebbe troppo facile contrapporre al gettonatissimo
"diritto al successo formativo" di oggi. L'attuazione del
dettato della Costituzione del 1948 è stato un punto d'onore
per molte forze politiche e culturali, come ha più volte ricordato
il ministro Tullio De Mauro (cfr. Tullio De Mauro, Scuola secondo
Costituzione, in "Insegnare", n. 9/1990: la versione on
line è stata curiosamente "cassata" dal sito del
Ministero), sferzando le commissioni incaricate di redigere i nuovi
curricoli. E resta un traguardo ancora da realizzare, soprattutto se
si confronta la funzione svolta dalla nostra scuola con i primi 12 articoli
della Costituzione (una piattaforma valoriale capace di dare un senso
forte ad ogni politica scolastica democratica).
Art.
33
La
Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce
scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti
di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare
i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono
la parità, deve assicurare ad esse piena libertà
e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello
degli alunni di scuole statali
Art.
34
La scuola è aperta a tutti.
L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è
obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto
di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica
rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle
famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per
concorso.
|
Ma la Costituzione
contiene anche prescrizioni più dettagliate, come quelle relative
alla istruzione professionale (con un'ampia delega alle Regioni) o al
decentramento di funzioni e di competenze nella prospettiva di una piena
valorizzazione delle autonomie locali. Anche in questi casi si sono
dovuti registrare molti ritardi e qualche divergenza nell'interpretazione
del testo costituzionale. Per esempio, non sempre è stata condivisa
la lettura "restrittiva" che ha affidato alle Regioni (con
la legge 845/1978) solo alcuni frammenti della formazione professionale,
quelli più fragili e più legati alle domande "adattive"
del mercato del lavoro (e riservando l'istruzione professionale all'intervento
dello Stato, con ingenuo scandalo - nelle ultime settimane - di Norberto
Bottani, esperto europeo all'interno della Commissione Bertagna).
Art.
117
La
Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti
dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, semprechè
le norme stesse non siano in contrasto con l'interesse nazionale
e con quello di altre Regioni:
-
- istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica;
-
Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione
il potere di emanare norme per la loro attuazione.
Art.
118, comma 2
Lo Stato può con legge delegare alla Regione l'esercizio
di altre [oltre a quelle connesse alle materie di cui all'art.
117] funzioni amministrative.
|
Decentramento e
autonomia sono state pienamente valorizzati solo con la legislazione
degli anni '90, a partire da Massimo Severo Giannini e Sabino Cassese,
fino a Bassanini. Ma il travaglio per giungere al riconoscimento dell'autonomia
funzionale alle istituzioni scolastiche è stato lungo e complesso
e nemmeno oggi si può dire concluso. Mancano, infatti, i "pezzi"
più pregiati del Regolamento dell'autonomia (come le regole per
la costruzione del curricolo, l'organico funzionale, i compiti degli
organi collegiali, ecc.). Il processo, però, si è avviato
con decisione a partire dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 che, non a
caso, disegna un profilo complessivo dei nuovi rapporti tra le istituzioni
pubbliche, improntandole ai principi di responsabilità, sussidiarietà,
efficienza ed efficacia, trasparenza. In questo quadro si colloca e
si capisce meglio il significato dell'autonomia scolastica, che non
è autarchia, privatizzazione, liberismo, localismo, ma pieno
riconoscimento di responsabilità ed iniziativa locale, però
in un quadro fortemente unitario e garantito dal ruolo dello Stato e
delle sue articolazioni periferiche.
Va, infatti, menzionata la scelta di non "regionalizzare"
o "municipalizzare" la pubblica istruzione (scelta che si
coglie nettamente all'interno della legge 59/97), ove lo spostamento
dei "poteri" dell'amministrazione scolastica statale si dirige
verso le singole unità scolastiche (questo sembra giustificare
il conferimento della qualifica "dirigenziale pubblica" ai
capi di istituto), piuttosto che verso gli enti locali (per essi è
previsto semmai l'esercizio di funzioni "integrate", di comune
interesse tra scuola ed enti locali).
Legge
15 marzo 1997, n. 59
Art.
1, comma 3
Sono esclusi dall'applicazione dei commi 1 e 2 [conferimento alle
Regioni e agli Enti locali di "tutte le funzioni e i compiti
amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione
dello sviluppo delle rispettive comunità"] le funzioni
e i compiti riconducibili alle seguenti materie:
.
q) istruzione universitaria, ordinamenti scolastici, programmi
scolastici, organizzazione generale dell'istruzione scolastica
e stato giuridico del personale;
Art.
21, comma 1
Ai fini della realizzazione della autonomia delle istituzioni
scolastiche le funzioni dell'Amministrazione centrale e periferica
della pubblica istruzione in materia di gestione del servizio
di istruzione, fermi restando i livelli unitari e nazionali di
fruizione del diritto allo studio nonché gli elementi comuni
all'intero sistema scolastico pubblico in materia di gestione
e programmazione definiti dallo Stato, sono progressivamente attribuite
alle istituzioni scolastiche
|
È bene ricordare
che la devolution alle Regioni compiuta con la legge 59/97 (e confermata
nella normativa secondaria) si riferisce a funzioni di carattere legislativo
solo in quanto già previste dall'art. 117 della Costituzione
(esempio: istruzione professionale e assistenza scolastica), altrimenti
si limita ad un più modesto potere di emanare norme attuative.
Il decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998 (esplicativo delle deleghe
di cui alla legge 59/1997) ribadisce dunque il ruolo dello Stato in
una serie di materie strategiche, individuate dall'art. 137, e concernenti:
- i criteri e i parametri per l'organizzazione della rete scolastica,
previo parere della Conferenza unificata;
- le funzioni di valutazione del sistema scolastico;
- le funzioni relative alla determinazione e all'assegnazione delle
risorse finanziarie a carico dello Stato e del personale alle istituzioni
scolastiche;
- le funzioni di cui all'art. 138, comma 3 [accademie, conservatori,
ecc.].
Per tali materie non solo non è prevista alcuna devolution di
carattere legislativo alle Regioni, ma neppure il conferimento di funzioni
amministrative. Tali funzioni infatti (art. 138) si limitano alla programmazione
dell'offerta formativa integrata, alla programmazione della rete scolastica,
alla definizione degli "ambiti funzionali" al miglioramento
dell'offerta formativa, ai contributi alle scuole non statali, alla
formulazione del calendario scolastico. Altri compiti sono poi attribuiti
alle province e ai comuni (art. 139) in merito all'arricchimento e alla
qualificazione dell'offerta formativa (che esclude, però, un
intervento diretto in materia di curricoli).
Anche la definizione di "formazione professionale", contenuta
nell'art. 141 dello stesso decreto, è coerente con una pluridecennale
interpretazione normativa che riassorbe e delimita la dicitura di "istruzione
artigiana e professionale" contenuta originariamente nella Costituzione.
La formazione professionale si riferisce al "complesso degli interventi
volti al primo inserimento, compresa la formazione tecnico professionale
superiore, al perfezionamento, alla riqualificazione e all'orientamento
professionali, ossia con una valenza prevalentemente operativa, per
qualsiasi attività di lavoro e per qualsiasi finalità,
compresa la formazione impartita dagli istituti professionali, (nel
cui ambito non funzionano corsi di studio di durata quinquennale per
il conseguimento del diploma di istruzione secondaria superiore), la
formazione continua, permanente e ricorrente e quella conseguente a
riconversione di attività produttive".
La Costituzione
del 2001
Quando è ancora tutta da interpretare la materia delegata alle
Regioni dalle leggi e dai decreti "Bassanini", siamo già
alle prese con l'attuazione della nuova Costituzione dell'ottobre 2001.
Materia assai intricata, tanto è vero che si è auspicata
una "cabina di regia" per definire le più importanti
regole del gioco nei nuovi rapporti tra Stato centrale e Regioni (si
sente, anche in questo caso, la mancanza di un effettivo potere federale,
cioè una istanza nazionale di composizione delle possibili divergenze
di interessi e di sintesi unitaria delle possibili spinte centrifughe).
In molti hanno criticato l'assenza, nel disegno di riforma costituzionale,
di un "Senato delle Regioni" che, a prima vista, potrebbe
apparire un passo più lungo della gamba "federalista"
che siamo disposti a concederci, ma che - a ben pensarci - rappresenterebbe
l'unico antidoto nei confronti di un eventuale "federalismo corsaro"
praticato dalle Regioni più forti.
Ma vediamo tecnicamente i contenuti del nuovo dispositivo costituzionale.
Le competenze in materia di istruzione, tradizionalmente attribuite
allo Stato (anche nella riforma Bassanini), vengono radicalmente ridimensionate
alle sole norme generali (quali poi?), mentre la materia "istruzione"
entra nella sfera della legislazione "concorrente" di ogni
Regione. Il termine giuridico non evoca però l'idea di una concertazione
tra Stato e Regioni (una sorta di "tavolo" nazionale per condividere
le decisioni di interesse generale). La nuova Costituzione è
assai esplicita: la legislazione "concorrente" implica, comunque,
un diritto di iniziativa della Regione, che non potrà però
invadere la sfera dei "principi generali" (riservati allo
Stato) e dovrà salvaguardare l'autonomia delle singole istituzioni
scolastiche.
Quest'ultimo passaggio è di estremo interesse perché "costituzionalizza"
le autonomie scolastiche, dando ad esse - seppur indirettamente - una
copertura costituzionale. Anche questo punto ci ricorda dell'importanza
della riforma degli organi collegiali della scuola (organi di partecipazione
democratica ad una istituzione cui si riconosce una esplicita funzione
pubblica e non semplici organi di consulenza cooptati dal "dirigente
scolastico" o privatistici "consigli di amministrazione").
Art.
117
La
potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle
Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
n) norme generali sull'istruzione;
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a:
-
- Istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche
e con esclusione della istruzione e della formazione professionale;
-
Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni
la potestà legislativa, salvo che per la determinazione
dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
|
A parte l'esigenza
di definire ciò che rientra tra i principi o le norme generali
(di spettanza della legislazione statale) e ciò che può
essere invece attribuito con certezza alla legislazione regionale, va
segnalato il dispositivo che consente di rafforzare i poteri delle singole
Regioni (anche in modo differenziato) attribuendo direttamente a esse
funzioni oggi esclusive dello Stato (e quindi anche le "norme generali"
sull'istruzione). Questa devolution caso per caso (cioè regione
per regione) deve essere convalidata con legge dello Stato e sarà
comunque da esercitare con estrema cautela, perché una sua ingenua
estensione potrebbe portare a una totale differenziazione dei sistemi
scolastici delle 20 regioni italiane. Ben vengano, dunque, le prescrizioni
costituzionali di interventi compensativi e aggiuntivi per salvaguardare
i diritti fondamentali delle persone e rimuovere eventuali squilibri,
anche mediante iniziative surrogatorie e sostitutive delle eventuali
inadempienze locali. I nuovi meccanismi fanno però presagire
una quantità notevole di negoziazioni (e di conflitti) tra Stato
nazionale e Regioni sulla portata dei rispettivi poteri. Ed anche la
Corte Costituzionale (federalizzata
?) avrà il suo da
fare.
Art.
116
Ulteriori
forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie
di cui al terzo comma dell'art. 117 [legislazione concorrente]
e le materie indicate al secondo comma
limitatamente alle
lettere
n) norme generali sull'istruzione
[legislazione
esclusiva], possono essere attribuite ad altre Regioni [oltre
a quelle attualmente a statuto speciale], con legge dello Stato,
su iniziativa della Regione interessata
Art. 119
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza
vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità
fiscale per abitante
per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire
l'effettivo esercizio dei diritti delle persone
lo Stato
destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in
favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane
e Regioni.
Art.
120
Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni,
delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni
quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica
o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
|
La Costituzione
che verrà
Passiamo ora a un primo esame delle novità che si vorrebbero
ulteriormente introdurre nell'equilibrio dei poteri costituzionali,
con la recente proposta di devolution approvata dal Consiglio dei Ministri
il 13 dicembre 2001. Nel testo ipotizzato scompare l'elenco delle materie
di pertinenza esclusiva dello Stato (ricordiamo che tra di esse erano
previste le "norme generali sull'istruzione") e i poteri legislativi
regionali sull'istruzione da "concorrenti" diventano "esclusivi"
(senza bisogno, dunque, di una concertazione con la legislazione statuale,
anche se nei limiti dei "principi fondamentali" da essa definiti).
La terminologia utilizzata nel testo del disegno di legge si presta,
però, a qualche ulteriore osservazione. I proponenti sembrano
aver ridimensionato la spinta verso una completa "regionalizzazione"
dell'iniziativa legislativa in materia scolastica, riconducendola nell'alveo
della "organizzazione scolastica e gestione degli istituti scolastici"
(dicitura che potrebbe ricondurre ad aspetti organizzativi e gestionali
della vita della scuola, piuttosto che a elementi di ordinamento). Resta
però l'incognita della "gestione" del personale della
scuola. Alcuni esperti - citiamo tra gli altri Luisa Ribolzi - sollecitano
un passaggio di tali competenze alle Regioni.
Anche la derubricazione dell'intervento regionale sui programmi scolastici
(ci mancherebbe
!) alla sola quota relativa agli aspetti "locali"
è una conferma della necessaria prudenza che tutti dovranno assumere
in questo campo: potrebbe entrare in crisi il concetto stesso di identità
culturale nazionale. La quota "locale" del curricolo (che
è già prevista nel Regolamento dell'autonomia) sarà
però tutta da negoziare: se si limita al 5%, al 10%, al 15% dell'intero
curricolo saremmo di fronte a una interpretazione "temperata"
del federalismo scolastico, qualora tale quota si espandesse le prospettive
sarebbero assai diverse.
Art. 2
(Modifiche all'art. 117 della Costituzione)
L'art.
117 della Costituzione è sostituito dal seguente: "La
Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti
dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, semprechè
le norme stesse non siano in contrasto con l'interesse nazionale
e con quello di altre Regioni:
- organizzazione
scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione;
- definizione dei programmi scolastici e formativi di interesse
specifico della Regione;
-
.
Nei limiti dei principi fissati nella Costituzione, ciascuna Regione
può attivare la propria competenza legislativa esclusiva
per le seguenti materie:
-
.
- organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici
e di formazione;
- definizione dei programmi scolastici e formativi di interesse
specifico della Regione;
-
.".
|
Le garanzie necessarie
per evitare la frantumazione del sistema scolastico
L'opinione pubblica, in materia di federalismo scolastico, è
apparsa assai cauta. La stragrande maggioranza degli italiani ritiene
che l'istruzione debba continuare ad avere una sua caratterizzazione
unitaria e nazionale. È diffusa la convinzione che i diritti
fondamentali dei cittadini non si possano territorializzare, cioè
farli discendere dall'abitare in una certa Regione piuttosto che in
un'altra. L'istruzione pubblica fonda il senso di appartenenza, costruisce
identità e legami, consolida le radici e la comunità,
ma le deve proiettare in un contesto più ampio che sappia guardare
all'intero paese e, semmai, all'Europa.
È coessenziale ai principi educativi di una società democratica
la presenza e la effettiva disponibilità - tramite la "scuola
aperta a tutti" - di un progetto culturale unitario, ampio e pluralistico.
Non si vuole qui difendere una vecchia idea di stato borbonico (ma forse
non c'è più nessun "Stato", nessuna "Repubblica",
di cui essere amici?), quanto piuttosto esigere che il "bene costituzionale"
dell'istruzione per tutti sia rigorosamente presidiato e tutelato. Una
legislazione "esclusiva" di ogni singola Regione in materia
di istruzione (che diventa possibile, in base ai meccanismi che abbiamo
analizzato essere contemplati nella II e nella ipotetica III Costituzione)
mette a repentaglio l'unitarietà dei compiti attribuiti dalla
Costituzione (parte I) alla scuola pubblica del nostro paese.
Se non esisterà più un Bilancio nazionale della Pubblica
Istruzione (con possibilità di meccanismi compensativi tra i
diversi territori), se la gestione del personale della scuola dovesse
essere "regionalizzata" (al pari delle Guardie forestali),
se i curricoli dovessero essere validati da una autorità locale
piuttosto che rispondere a principi di pluralismo scientifico e culturale,
se
Insomma, sono troppi i "se" che si affollano all'orizzonte
del federalismo scolastico: meglio diradare fin da subito le possibili
nebbie. Una esigenza si impone: quando si andranno a definire le nuove
regole della devolution sarà bene esplicitare con molta precisione
cosa si intende per "norme generali sull'istruzione" (che
restano di competenza esclusiva dello Stato) e per "principi generali"
(entro il cui ambito si dovrà esplicare il potere legislativo
riconosciuto alle singole Regioni in campo scolastico).
Sarebbe opportuno, in questa prospettiva "garantista", elencare
nel testo della nuova Costituzione i contenuti di tali norme generali,
tra i quali non potranno mancare: gli ordinamenti della scuola, gli
standard di apprendimento e le forme di verifica, la condizione professionale
dei docenti (formazione, reclutamento, stato giuridico, valutazione),
le regole di partecipazione democratica.
Questa "riserva" potrà garantire tutti i soggetti in
gioco contro gli effetti perversi di un malinteso federalismo. La legislazione
"concorrente" in materia di istruzione non dovrebbe, infatti,
limitarsi a cambiare l'azionista di riferimento del sistema scuola (mettendo
la Regione al posto delle Stato): avremmo un semplice spostamento di
competenze o di poteri sulla scuola, quando invece è da auspicare
una crescita di responsabilità e di impegni verso la scuola.
L'enfasi sul federalismo (e quindi sui nuovi poteri di Regioni ed Enti
locali) non può far dimenticare il ruolo delle scuole autonome
e dello Stato. Alle scuole compete la responsabilità dell'iniziativa
curricolare, organizzativa e didattica; alle Regioni e agli enti locali
l'impegno "concorrente" per favorire lo sviluppo della scuola
(una "concorrenza" per la qualità, per andare oltre
gli standard nazionali); allo Stato - infine - il compito di salvaguardare
i livelli essenziali, le pari opportunità, i valori comuni (e
quindi definire indirizzi e controllare, come bene precisò Sabino
Cassese nella conferenza nazionale della scuola del 1990).
A questa misura di saggezza sono attesi i nuovi "costituenti",
si spera non in veste di "apprendisti stregoni".
numero 2/2002
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