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    mensile del centro di iniziativa democratica degli insegnanti

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      Una strategia per la scuola dell'infanzia
      Intervista al Sottosegretario alla Pubblica Istruzione, Nadia Masini - a cura di Giancarlo Cerini

      Scuola materna, come stai? Negli ultimi mesi si è assistito a una nuova strategia di attenzione nei confronti della scuola dell'infanzia: consultazione, progetto Alice, convegni, documenti ecc. Da dove nasce questo interesse per la scuola dai tre ai sei anni?

      In questi anni abbiamo avviato un ampio progetto di riforme nella scuola italiana (basta pensare all'autonomia, ai nuovi saperi, al riordino dei cicli, alla formazione dei docenti). Ebbene, l'impressione è che la scuola dell'infanzia abbia partecipato in misura limitata a questo dibattito. Anche noi, dal centro, forse abbiamo sottovalutato la scuola dai 3 ai 6 anni, la "prima scuola" con un ruolo fondativo dell'intera formazione. Occorre recuperare al più presto questo ritardo. È in atto, in questi mesi, una consultazione che riguarda tutti gli insegnanti della scuola dell'infanzia statale, sulla base di un documento di lavoro predisposto da un apposito Gruppo di lavoro nazionale. Abbiamo voluto lanciare un messaggio preciso sulla identità della scuola dell'infanzia, sul suo diritto non solo di esistere, ma di portare un contributo originale e prezioso (pedagogico e disinteressato) allo sviluppo dell'intero sistema formativo italiano.

      Si è discusso molto (forse anche troppo!) del bambino di cinque anni, dell'anticipo dell'obbligo a cinque anni. Oggi tutto sembra tornare in discussione. Ci sono posizioni diverse. Ma si farà l'obbligo a cinque anni?

      L'obbligo dell'ultimo anno della scuola dell'infanzia è stato proposto dal Governo nel progetto di riordino dei cicli scolastici presentato al Parlamento nel luglio 1997. Nel corso del dibattito parlamentare non c'è stato un consenso unanime neppure in seno alla maggioranza: resistenze sono emerse da parte dei comunisti e successivamente dei popolari. Da un lato si temeva che attraverso l'obbligo si aprisse la porta al finanziamento delle scuole private, dall'altro si paventava forse un'ingerenza dello Stato nelle scelte educative delle famiglie. Il testo licenziato dalla Commissione Cultura (luglio 1999) e ora all'esame dell'aula della Camera dei Deputati non prevede l'obbligo per l'ultimo anno della scuola dell'infanzia.

      In ogni caso credo valga la pena di riflettere sull'idea stessa di obbligo, uno strumento forse un po' invecchiato rispetto al tempo in cui fu assunto per "costringere" gli alunni (e i genitori) a frequentare la scuola. Oggi il problema si sta ponendo diversamente. La scuola è un diritto dei ragazzi, mentre alle istituzioni pubbliche compete l'obbligo di garantire questo diritto a tutti dai tre ai diciotto anni.

      La "generalizzazione" sembra la nuova parola d'ordine della politica per la scuola dell'infanzia. Non è un messaggio troppo debole?

      È vero che il 94% dei bambini dai tre ai sei anni già frequenta una scuola dell'infanzia, ma questo dato è troppo diverso da zona a zona, da città a città. Offrire una buona scuola a tutti i bambini non è un obiettivo da poco: non c'è solo un impegno quantitativo ma, soprattutto, qualitativo. Bisogna lavorare sulle condizioni strutturali, sulla preparazione dei docenti, su un atteggiamento positivo delle famiglie, verso le quali va posta una concreta attenzione.

      In effetti sembra esserci una grande attenzione alle esigenze dei cattolici, per esempio, in tema di rapporto tra pubblico e privato (legge di parità), di finanziamento alle scuole non statali, di sistema integrato.

      Intanto credo che quando si costruisce un'alleanza tra forze politiche diverse (in questo caso tra il centro e la sinistra) per governare il Paese occorre rispettare i patti. E la parità (cioè dare regole chiare al settore privato, in qualche modo "riconoscerlo") fa parte dell'accordo di governo, fin dai tempi del governo Prodi. Questo però non significa finanziare la scuola privata così com'è. Il discorso è più complesso. C'è da garantire il diritto allo studio (e quindi servizi, strutture, materiali, risorse) a tutti i bambini, indipendentemente dal tipo di scuola che frequentano. Servono regole per le scuole che accettano di concorrere al sistema scolastico nazionale. Così si può recuperare il ruolo svolto dal settore privato per generalizzare il servizio, anche con sostegni finanziari.

      Per fare questo occorrono volontà politica e una legge: è questa la strada percorsa dal Governo e dalla maggioranza che ha consentito di approvare al Senato (21 luglio 1999) un importante provvedimento su questa materia.

      Estensione dell'obbligo scolastico, riordino dei cicli, legge di parità sono i punti forti della politica scolastica. Dopo un certo ritardo, il Parlamento sembra essersi rimesso in "movimento". Che giudizio dài degli ultimi provvedimenti discussi?

      Le riforme scolastiche hanno incontrato in Parlamento molte difficoltà, ma il bilancio, ancorchè provvisorio, non è affatto negativo. Dopo l'approvazione della legge sull'autonomia scolastica e sugli esami di Stato (nel 1997), nel primo semestre di quest'anno sono state varate alcune leggi di grande rilevanza: l'innalzamento dell'obbligo scolastico a quindici anni, l'estensione dell'obbligo formativo a diciotto anni, la creazione del sistema di istruzione e formazione tecnica superiore, oltre alla legge sul "precariato". A fine luglio il Senato ha approvato il provvedimento sulla parità ora all'attenzione della Camera, ove -contemporaneamente- si è conclusa la discussione generale anche sulla riforma dei cicli scolastici e a settembre si procederà all'esame del testo e al voto. Si tratta di due iniziative legislative proposte dal Governo che, nel rispetto delle prerogative parlamentari, ha profuso e sta profondendo un forte impegno per favorirne una rapida approvazione.

      Come vedi la ripresa del dibattito sulle riforme della scuola. Sarà un autunno "caldo" ? Qual è l’impegno del Governo?

      Il Governo non sta certo con le mani in mano. Oltre a seguire con la massima attenzione i provvedimenti di riforma all’esame del Parlamento, in questi mesi ha predisposto e varato quasi tutti i regolamenti e decreti attuativi dell’autonomia che entrerà in vigore dal settembre 2000.

      Penso, per esempio, al regolamento sull’autonomia organizzativa e didattica, al decreto per l’ampliamento della sperimentazione dell’autonomia, che potrà avvalersi dei fondi finanziari previsti dalla legge 440/97, dell’ammontare complessivo di oltre 680 miliardi. Penso ai provvedimenti per un nuovo sistema di aggiornamento e formazione in servizio del personale della scuola e alle opportunità fornite dal nuovo contratto di lavoro recentemente siglato.

      L’autonomia sta procedendo velocemente verso la sua piena attuazione, ma la scuola materna sembra un po’ tiepida di fronte alla novità …

      Si stanno predisponendo le condizioni affinché il processo di autonomia possa avviarsi nel migliore dei modi. La scuola materna deve "stare dentro" fino in fondo in questo processo, al quale può dare un contributo di qualità, proprio per la sua peculiare esperienza. Se autonomia significa migliorare la qualità dell’ambiente di apprendimento, la scuola dell’infanzia ha tutti i titoli per svolgere un ruolo centrale.

      È forse questo il significato più chiaro che emerge dalla consultazione sul "documento di sviluppo"? Quando usciranno gli esiti? E quali saranno le conseguenze?

      Nutro molte aspettative dalla consultazione sul Documento contenente le Linee di sviluppo e non v’è dubbio che una forte partecipazione dei docenti sarebbe un segnale importante per il futuro, per dare voce a una scuola che vuole, può e deve contare di più. Dopo la valutazione degli esiti della consultazione definiremo un quadro di impegni concreti per la scuola dell’infanzia, dalla individuazione degli standard di qualità all’ampliamento dell’offerta di servizio, puntando alla sua rapida generalizzazione. In questa prospettiva verranno impegnati anche i 220 miliardi previsti nel bilancio 1999 per la scuola dell’infanzia non statale.

      numero 10/'99