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Funzioni-obiettivo: una formazione da ripensare di Daniela de Scisciolo e Caterina Gammaldi
Non tutto è andato
bene nella formazione dei quasi 60.000 docenti funzioni-obiettivo, per
limiti sia di impostazione generale sia di attuazione.
L’introduzione, attraverso
l’art. 28 del Ccnl 98/2000 e l’art. 17 del Ccni, delle funzioni strumentali
al Piano dell’offerta formativa (le cosiddette funzioni obiettivo), ci
spinge a una prima riflessione, a partire dalle esperienze fatte dai docenti
nelle loro scuole e nelle diverse realtà, sulle possibili connessioni
esistenti fra tale istituto contrattuale e sviluppo della professione docente.
Si tratta di capire, cioè, se le scelte fatte, centralmente e territorialmente,
abbiano attivato reali ed efficaci processi di miglioramento della qualità
del lavoro scolastico.
Per questo abbiamo voluto
sentire in prima persona docenti delle diverse realtà territoriali,
impegnati a vario titolo nella formazione delle funzioni obiettivo (f.o.),
per sapere come le scelte operate nei Collegi dei docenti abbiano trovato
nei moduli formativi messi in atto dai vari Provveditorati agli Studi,
risposte alle aspettative iniziali e alle sollecitazioni provenienti dai
diversi contesti organizzativi ed educativi. Un elemento da considerare
è che se da una parte l’individuazione del docente f.o. è
stata intesa come riconoscimento a chi nella scuola ha lavorato sulla progettualità
e come possibilità di razionalizzare esperienze di coordinatore
di commissioni e di gruppi di lavoro o di responsabile di biblioteca, dall’altra
ha rinforzato l’idea che attraverso tale designazione si potesse raggiungere
una posizione “privilegiata” tout court. Una posizione, quest’ultima, a
vantaggio di una delega totale, senza quel necessario coordinamento fra
bisogni collettivi e scelte operate dai singoli docenti f.o.
Dove la formazione ha
funzionato
Pur se non siamo in possesso
di statistiche ampie e analitiche, da Nord come da Sud, da Palermo a Treviso,
da Genova a Cosenza, da Bari a Roma a Sassari, da Biella a Potenza a Torino
a Prato a Forlì, emergono situazioni diversificate, in ordine alle
scelte operate dai singoli Provveditori – a seguito delle contrattazioni
decentrate – in merito alla strutturazione dei corsi di formazione, alla
scelta dei formatori, al periodo individuato per l’attuazione dei corsi.
Il giudizio degli intervistati
sull’attuazione del percorso formativo previsto per l’anno scolastico 1999/2000,
realizzato prevalentemente nei mesi di aprile e maggio e, in taluni casi,
avviato a giugno e rimandato a settembre, non è positivo; esprime
(salvo in casi limitati) complessivamente il disagio per un’operazione
poco credibile sul piano qualitativo. Laddove i singoli Provveditorati,
come per esempio quelli di Forlì, Bari, Livorno e Prato, hanno correttamente
interpretato la fase di ricognizione dei bisogni formativi, formulando
ipotesi di coordinamento territoriale e di supporto alle scuole e ai singoli
docenti f.o., è stata avviata una positiva interlocuzione tra i
diversi soggetti.
A Bari, per esempio, i moduli
formativi sono stati affidati ai Centri risorse per la formazione, costituiti
presso 11 scuole della provincia, modalità questa che dovrebbe consentire,
come sottolinea la preside Bice Mezzina, un contatto più diretto
con i bisogni del territorio. A Prato, invece, si è prestata particolare
attenzione alla riflessione comune che le f.o. delle singole scuole dovevano
cercare di avviare attraverso una fase di autoaggiornamento, successiva
agli interventi svolti in plenaria, al lavoro portato avanti nei gruppi
con gli esperti e i coordinatori; una scelta, questa, operata dal Nucleo
di supporto all’autonomia che ha individuato al suo interno gli esperti
sulla base delle competenze presenti, come ci ha sottolineato Carlo Fiorentini
in qualità di componente il nucleo per l’Irrsae. Nel Provveditorato
di Forlì-Cesena si è concentrata l’attenzione sul rafforzamento
delle professionalità per gestire la complessità della scuola
autonoma, utilizzando una metodologia interattiva di ricerca-azione; vi
è stata particolare attenzione al territorio inteso come luogo privilegiato
per l’incontro fra domanda e offerta di formazione, valorizzando i centri
risorse e le agenzie formative presenti, sostenendo l’avvio di reti di
scuole nell’ottica della costruzione di un sistema locale di risorse permanenti
a sostegno della formazione dei docenti (come si richiama nella Direttiva
210/99).
Significativa anche l’esperienza
segnalata da Loretta Questa di Biella, che, in quanto responsabile provinciale
del progetto di formazione, si è posta come obiettivo di lavoro
quello di costruire un laboratorio territoriale per mettere in relazione
scuole che non comunicano.
In altre situazioni, dove
la strutturazione dei corsi ha previsto in larga misura lezioni frontali
(è il caso di Roma o Genova), docenti come Assunta Amendola o Gigliola
Badano hanno sottolineato che la parte più interessante è
stata quella dei laboratori o dei gruppi di lavoro ristretti in cui si
è avuto il racconto e lo scambio reciproco delle esperienze relative
a realtà territoriali diverse, a metodologie di lavoro, a specificità
e competenze professionali.
Dove la formazione non ha
funzionato
Non in tutti i Provveditorati,
però, le procedure relative all’attivazione dei corsi sono state
omogenee: talora ha pesato negativamente l’intervento delle Oo.ss. locali,
che non hanno favorito l’attivazione di una progettazione integrata fra
soggetti presenti nel territorio; emblematici i casi di Potenza, Palermo,
Cosenza, Treviso dove, a ritardi relativi all’avvio dei corsi, si aggiunge
una scarsa qualità della proposta. Maria Carla Vian, per esempio,
segnala che il Provveditorato agli Studi di Treviso ha indetto una gara
d’appalto affidando a un’agenzia di formazione esterna, con marcata impronta
aziendalista, il compito di formare gli insegnanti tutor che avrebbero
gestito i gruppi di lavoro con i docenti f.o. A Potenza, dove il corso
si è avviato nella prima decade di giugno con un incontro di quattro
ore per poi essere rimandato a settembre, Ketty De Michele si chiede quale
sia il senso di un intervento collocato in tempo di bilancio delle esperienze
maturate durante l’anno. Qui, come a Palermo – dove pure il corso di formazione
inizierà solo a settembre –, si pone peraltro il problema della
«certificazione di esperienze che costituiscono una prima acquisizione
di competenze spendibili in situazioni operative analoghe (port-folio professionale)»,
così come è richiamato dalla Nota ministeriale 494/D del
24.5.2000.
E che dire relativamente
all’autocertificazione del percorso formativo in rete per il quale sono
state segnalate da più parti difficoltà di collegamento,
oltre che la presenza di esperienze poco significative presenti nel sito
della Bdp e nei forum provinciali? Il Provveditorato di Cosenza ha individuato
scuole polo in cui dislocare i corsi di formazione: dopo un primo incontro
rivolto a tutte le f.o. svoltosi presso l’Università, si sono tenute
nelle scuole conferenze di esperti via etere, affidate per la diffusione
a una emittente privata non perfettamente visibile in tutto il territorio
provinciale. In seguito, vi è stata l’interazione telematica esperto/docente
in formazione e i laboratori di ricerca e produzione, di riflessione sui
vissuti professionali. Maria Teresa Armentano e Giovanna Miccichè
segnalano l’inconsistenza dell’interazione non essendo chiari i compiti
forniti dalle guide di area culturale e di rete.
Considerazioni finali
Da queste notazioni viene
fuori un panorama variegato e problematico che può indurci a fare
qualche riflessione rispetto alle prospettive e allo sviluppo delle f.o.
Certamente si può affermare che ha funzionato in maniera significativa
la formazione che ha direttamente coinvolto le scuole (meglio se consorziate
o in rete) perché situa all’interno del contesto educativo e organizzativo
esperienze e modalità di lavoro che possono diventare patrimonio
di quelle Istituzioni scolastiche ed essere messe a disposizione di altre;
se, come sottolinea Gigliola Badano, intervenire efficacemente nell’organizzazione
scolastica, lavorare per progetti, condurre gruppi di lavoro, gestire le
relazioni interpersonali, gestire la comunicazione interna ed esterna sono
competenze trasversali comuni richieste ai docenti dalla scuola con l’autonomia,
allora le f.o. hanno il compito prioritario di facilitare tali processi.
Utile ancora in questo senso si è rivelata la costruzione di coordinamenti
territoriali in grado di connotarsi come una valida rete scolastica per
facilitare l’informazione e la comunicazione e/o come luogo al cui interno
rintracciare supporti intelligenti (esperienze significative collegate
al Pof e messe in rete), così da poter soddisfare esigenze di ricerca,
studio e approfondimento rispetto alle situazioni da gestire. Un altro
terreno di riflessione è quello legato all’impostazione della formazione
delle f.o., intanto per la rigidità con cui sono state individuate
le aree che non sempre corrispondono pienamente ai bisogni delle singole
Istituzioni scolastiche, e poi per una disomogenea utilizzazione da parte
dell’Amministrazione scolastica periferica delle competenze e delle capacità
di iniziativa esistenti nei territori.
In conclusione, ci pare
di poter sottolineare che a fronte di una sostanziale indeterminatezza
del profilo delle f.o., sottolineata dalla gran parte dei docenti intervistati,
una possibile soluzione potrebbe essere costituita dal/dai legame/i che
ciascuna Istituzione scolastica è in grado di attivare all’interno
(organi collegiali) e all’esterno (rapporto con soggetti istituzionali
e non) per favorire i processi di crescita e sviluppo della professione
docente.
numero 7-8/2000
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