mensile del centro di iniziativa democratica degli insegnanti il sommario - l'archivio - la redazione - gli abbonamenti
Scuola e formazione professionale: i compiti delle Regioni - a cura di Velia Di Pietra
Nell'ambito dei nuovi compiti che il Dlgs 112/1998 affida agli Enti locali e in concomitanza con l'autonomia scolastica, e con l'estensione dell'obbligo formativo a 18 anni, quali problemi presenta la realizzazione di un sistema a doppio canale, scuola e formazione professionale? Quale ruolo affidare a quest'ultima? Questi temi di grande interesse hanno visto la nostra rivista sempre pronta a rilevare le innovazioni e anche a raccogliere le opinioni del mondo della scuola sui vari provvedimenti, alle volte positive altre critiche. Chiedere il punto di vista degli amministratori locali su questi temi ci sembra cosa utile non soltanto per un bisogno di informazione, sempre insufficiente, quanto anche per conoscere meglio il complesso delle priorità e degli strumenti da mettere in campo. Questa a Pietro Lucisano, assessore per la scuola, la formazione e le politiche per il lavoro della Regione Lazio è la prima di una serie di interviste di "Insegnare" ad amministratori locali.
A me sembra che il quadro normativo abbia definito con chiarezza a chi spetta la regia del complesso dell'offerta formativa; con questa formula intendo: la scuola, la formazione professionale, il sistema universitario e il sistema di impresa. Tutti e quattro questi soggetti devono essere considerati come agenti di formazione ed è stato chiarito, a livello normativo, dalla legge sul decentramento n.112/1998 in poi, che il complesso della regia di queste offerte formative compete alle Regioni. Infatti i piani che stiamo presentando per Agenda 2000 non soltanto stabiliscono l'uso delle risorse ma indicano una ipotesi di piano di sviluppo del territorio nel quale investire risorse del Fondo sociale europeo, della Regione e delle agenzie formative che hanno una loro autonomia finanziaria e cioè la scuola e l'università.
L'obiettivo non è soltanto l'integrazione fra le risorse regionali, della scuola e dell'università ma quello di un'offerta formativa funzionale a far crescere la cultura del territorio, a valorizzare le risorse umane e anche a dare a questa cultura uno sbocco occupazionale, professionale. Tant'è che noi parliamo di regia del sistema formativo e delle politiche attive del lavoro come di una cosa sola e la scuola, fin dalle elementari, è una componente del sistema di politiche attive del lavoro; non c'è scissione tra cultura e lavoro, non c'è mai stata, infatti quando si parla di patrimonio culturale si intende quel patrimonio che è frutto di lavoro e non altro...
Si ci sono..., però il problema è che esiste un deficit fondamentale in tutto il sistema scolastico che è quello di non dare ai giovani senso di autonomia e capacità imprenditoriale.. e questo è un problema della scuola, forse a partire dalla scuola materna o dagli asili nido. Il sistema scolastico è stato costruito sulla base delle esigenze di un sistema del lavoro di tipo piramidale che ha formato essenzialmente quadri per funzioni burocratiche o manovalanza per cinghie di trasmissione delle imprese; oggi abbiamo un sistema economico, che richiede un numero maggiore di persone con capacità imprenditoriali, quindi questo è un problema che ci dobbiamo porre.
Da qui deriva la necessità di una regia regionale, difficile da realizzare perché alcune di queste istituzioni hanno un forte senso di autonomia che io credo sia molto importante mantenere; ma bisogna imparare tutti a essere autonomi e al tempo stesso a sedere a tavoli di concertazione nei quali si cede una piccola parte della propria autonomia per cercare di tener conto delle ragioni degli altri.
Certamente la scuola avrà un suo percorso nazionale, quello della definizione degli standard, e anche la formazione professionale dovrà costruire un suo percorso nazionale e interregionale per la definizione degli standard; ma diverso è ciò che nel territorio deve essere programmato: bisogna perciò sviluppare la convinzione di fare parte di una squadra che opera per la crescita culturale e professionale di un territorio nel suo complesso.
Noi abbiamo iniziato a lavorare su una riforma della formazione professionale iniziale perché appunto così concepiamo il doppio canale: uno di istruzione e un secondo canale fatto di formazione professionale iniziale e di apprendistato, di pari dignità.
La rivoluzione culturale che tentiamo di realizzare nel secondo canale formativo non ha nulla di originale in sé, è soltanto quella di immaginare una formazione che partendo dall'esperienza professionale diventi riflessione sull'esperienza stessa che si fa in laboratorio o attraverso lo stage e che consenta di accedere comunque ad alcune competenze culturali di base; tant'è che nel modello di riforma le competenze culturali di base - linguistiche, scientifico-tecnologiche e storico-sociali - possono essere raggiunte, insieme alle competenze trasversali, in qualsiasi tipo di esperienza professionale.
Quindi noi per la formazione professionale iniziale non pensiamo tanto all'addestramento, quanto a una vera formazione che parta dall'esperienza del lavoro, di oggi, e consenta riflessioni sull'esperienza del lavoro, di ieri, dall'esperienza della lingua usata sul lavoro, di oggi, e consenta percorsi di riflessione sui meccanismi e sulla storia della lingua. Pensiamo che dall'esperienza dell'organizzazione sociale e dallo studio del diritto della sicurezza sul lavoro, di oggi, di procedere a analizzare come si sono formate le organizzazioni sociali nel tempo.
Qui si tratta di fare una proposta ai giovani che a quindici anni, esaurito l'obbligo scolastico, vogliono un modello di scuola diverso da quello tradizionale, accademico che purtroppo, al di là di qualche felice eccezione, è ancora dominante. Si tratta di costruire un nuovo percorso del sapere che ci consenta di affiancarci e integrarci con quelle scuole che hanno intrapreso esperienze innovative ma che la rigidità dei vincoli burocratici e organizzativi ha impedito finora che si realizzassero pienamente, vincoli che adesso il processo di autonomia consente di superare.
Per questo noi pensiamo di considerare " figli" non soltanto il sistema regionale ma anche il sistema scolastico e di intraprendere un cammino insieme.
Ma io penso che, anche se bisogna tenere conto della necessità di un'integrazione del sistema scolastico nelle politiche attive del lavoro, dobbiamo però far crescere un doppio canale con una forte identità; perché sbaglia chi invece pensa che l'obbligo formativo debba essere espletato nell'istruzione scolastica e che la formazione professionale debba svolgere un ruolo di valletta-laboratorio dove mandare gli studenti che non riescono; questo è un modello e un ruolo che respingiamo fermamente e pensiamo invece di aver bisogno di sviluppare un percorso nostro e nel frattempo di lavorare all'integrazione.
Così come pensiamo che la scuola debba fare con serietà un percorso suo per arrivare a una reale capacità di integrazione che non sia l'integrazione della società nella scuola, ma che sia l'integrazione della scuola nella società; infatti, anche in iniziative mosse da grande buona volontà, il rischio è stato quello di portare gli industriali nella scuola e poi pensare che questa era l'integrazione tra la scuola e il mercato del lavoro; no, bisogna "portare" gli studenti nelle imprese se vogliamo...
Sì, l'abbiamo scritto nel nostro progetto di riforma, noi pensiamo di avere bisogno di un'integrazione di risorse per realizzare sul serio il secondo canale formativo. Se la scuola ha in "esubero" queste professionalità potrebbe aiutarci in questo processo; mentre pensiamo di meno a percorsi di prolungamento del sistema scolastico. Confesso che non sono tra gli esaltatori della formazione superiore integrata e della post-secondaria, credo invece che dopo l'obbligo formativo noi abbiamo il compito di realizzare iniziative formative brevi che siano a metà tra formazione e addestramento di specifiche capacità professionali per realizzare la transizione verso il mercato del lavoro.
Per il resto esiste un'università che si sta orientando verso corsi triennali, quindi è evidente che non esistano grandi spazi per una formazione post-secondaria diversa da quella che noi stiamo realizzando, con un certo successo, e che possono fare anche le scuole e cioè di promuovere iniziative formative integrate con il territorio allo scopo di creare un ponte tra istruzione e mondo del lavoro.
A livello legislativo si va verso un sistema di certificazione, e qui nel Lazio abbiamo concordato un sistema di monitoraggio e di certificazioni degli esiti formativi con l'università di Roma Tre e il prof. Domenici. È stato attivato un sistema di visite durante i corsi nelle quali vengono sottoposti dei questionari agli allievi in assenza dei docenti. Abbiamo fatto circa 9.000 interviste ai ragazzi alla fine dei corsi e abbiamo rilevato un 80% di gradimento tra quelli molto soddisfatti e quelli abbastanza soddisfatti e un esito occupazionale del 40% entro i sei mesi dalla fine del corso.
Due risultati che a mio parere, in termini di qualità, non hanno nulla da invidiare a quelli di altre regioni anche se alcune riescono anche a fare di più ma con diverse condizioni del mercato del lavoro. Negli ultimi cinque anni abbiamo formato 250.000 persone e di questi almeno 100.000 giovani hanno trovato lavoro.
Questo è un problema serio che riguarda in parte l'analisi che è stata fatta in passato del mercato del lavoro; ci sono possibilità di reinserimento, noi facciamo anche corsi per adulti e facciamo anche una grossa attività di formazione continua che speriamo si sviluppi ulteriormente anche se non dipende solo da noi, ma anche dal sistema delle imprese. Possiamo affermare, a conclusione dei cinque anni di legislatura, che si registra un dato positivo: il sistema produttivo comincia a recepire la necessità di svilupparsi.
C'è, però, il problema di capire quali sono i lavori possibili nel nostro Paese, quale formazione per quale lavoro, e qui non parlo di formazione iniziale che comunque è un'occasione formativa, a prescindere, ma della formazione più specificamente legata a essere ponte verso il lavoro. Abbiamo ormai una conoscenza abbastanza approfondita di quello che le imprese vogliono, ma non è facile prevedere le dinamiche del lavoro a lungo termine. Quello che appare molto chiaro è che mentre ci sono delle previsioni assolutamente teoriche, a lungo termine, che vanno tutte nella direzione del fabbisogno di knowledge workers, le previsioni a breve termine vanno in realtà nella direzione di specializzazioni a livello professionale basso...
Se analizziamo il sistema produttivo, al di là di quello che si legge sul "Sole 24 ore", scopriamo che c'è una domanda di lavoro che gli italiani non vogliono soddisfare. L'esempio più evidente è che nel Lazio mentre si soddisfa bene con la formazione professionale e anche con la scuola la richiesta di formazione per l'informatica, si è totalmente scoperti, per esempio, nei settori alberghieri e in quelli della saldatura, considerati di qualifica bassa ma che richiedono un'alta specializzazione e che, col tempo, producono una dinamica salariale molto positiva. Ci sono centinaia di richieste per queste qualifiche ma non abbiamo più impianti formativi adeguati perché sono stati smobilitati quando si diceva che le Regioni si dovevano occupare soltanto della formazione post secondaria.
E allora, mentre si aspetta che arrivi il grande futuro in cui saranno tutti knowledge workers, bisogna trovare lavoro a una parte di questi ragazzi e si deve sviluppare una rivoluzione culturale nei comportamenti e nelle aspettative in modo che si capisca che si può fare per qualche anno anche il cameriere o il saldatore, e nel frattempo coltivare altre aspirazioni.
In un mercato nel quale il lavoro avrà una dinamica sempre più veloce, se si seguisse, diciamo, il modello teoretico e si formassero solo figure ad altissimo livello di professionalità, non si farebbe un buon servizio ai nostri giovani. Faccio un esempio: avevamo concordato per l'attivazione del porto di Civitavecchia una formazione di alti profili ma tutta la dinamica di attivazione del porto richiederà prevalentemente camerieri, portuali specializzati e via di seguito.
Non credo sia un problema specifico del Lazio ma di tutto il Paese. Certamente è un problema di un territorio che ha il 95% delle imprese con meno di nove dipendenti; ma anche le grandi imprese non si affannano particolarmente ad assumere laureati o dottori di ricerca. Il modello di comportamento a cui si attengono è quello di prendere persone dal mercato del lavoro, utilizzarle per quello che serve e poi cambiarle.
Il concetto per cui la persona è un bene ed è giusto che venga valorizzato non fa parte dell'attuale sistema capitalistico: la persona si sfrutta finché si può. Questo è il grande problema del nord e del nord est del Paese che significa la fuoriuscita precoce dal sistema scolastico per andare a lavorare nelle imprese e poi si rimette sul mercato del lavoro gente che a trent'anni non sa che fare e non ha qualificazioni.
Il dimensionamento scolastico è stato Il primo compito espletato nel sistema regionale anche se con una certa fatica. L'aspetto positivo è che le decisioni sono state prese attraverso un processo democratico; forse il mondo della scuola avrebbe voluto intervenire molto di più ma debbo dire che la consultazione dei sindaci di tutti i comuni del territorio è stata un fatto estremamente positivo. Devo dire che una parte del sistema scolastico, alcuni dirigenti e singole scuole hanno vissuto negativamente questo processo.
A questo tavolo ho ascoltato moltissime scuole che sono venute a protestare e ciò mi ha confermato la convinzione che ancora oggi il sistema scolastico è un sistema di monadi; ho sentito molte scuole venire a dire "siamo l'unica scuola che integra gli handicappati", "siamo l'unica scuola che ha laboratori", ed erano tutte "uniche", tutti quelli che venivano qui erano "unici" invece di percepire il ruolo di essere all'interno di un servizio...
Ovviamente l'informazione è largamente filtrata da soggetti come i dirigenti scolastici che hanno comunque valutazioni proprie e sono parti in causa a difesa di una direzione. Ditemi poi se lo spostamento di una direzione da una succursale all'altra cambia il senso della scuola, alle volte la paura di perdere posti in quella specifica scuola ha scatenato una raccolta di firme tra genitori e studenti. Chiunque ha mandato i figli nella scuola pubblica italiana sa che rischia di essere sottoposto a un turn over di insegnanti a prescindere dai piani di dimensionamento. Per adesso con il dimensionamento ci sarà lo stesso turn over come tutti gli anni; non cambia niente purtroppo.. forse poi cambierà in positivo, ma gli effetti si vedranno col tempo.
Per quanto riguarda l'informazione noi, come nelle altre Regioni, abbiamo elaborato diversi materiali sintetizzati nel nostro sito internet (www.sirio.regione.lazio.it), nel quale si trovano notizie sul sistema scolastico e universitario, sul mercato del lavoro e sull'osservatorio del mercato del lavoro e su tutte le occasioni anche internazionali. I dati sul mercato del lavoro, utili anche per l'orientamento, vengono aggiornati regolarmente.
Il fallimento della bicamerale è stato una tragedia per il Paese perché si rischiano gravissime contraddizioni: per esempio, le Regioni hanno oggi una grande autonomia e competenze istituzionali, anche se qualche volta disattese, ma non esiste una camera di bilanciamento dei poteri delle Regioni. Tutto quello che facciamo nel coordinamento degli assessori è fatto su base puramente volontaria, non esiste un organismo in cui si prenda una decisione vincolante per il complesso delle Regioni.
Qualunque Regione potrebbe sottrarsi a un impegno assunto in quella sede e questo è un problema di riforma costituzionale da avviare immediatamente.
numero 3/2000
Le scuole superiori più frequentate per sesso e istituto in Italia
|