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Girotondi, fazzoletti, e-mail,
(non) la senti questa voce?

di Giancarlo Cerini - editoriale

A guardare i "movimenti" di questa primavera 2002 che si esprimono in forme così diverse (dal tradizionale sciopero al tam-tam di protesta via e-mail, al leggiadro sventolio di fazzoletti bianchi nel taschino di compunti professori fino agli irriverenti girotondi pomeridiani attorno ai simboli del "potere scolastico") sembra emergere un deficit di partecipazione e di democrazia attorno alle vicende della scuola.
La "gente" di scuola si sente tagliata fuori dalle decisioni. Non le condivide. Vede messa in discussione la mission più profonda del proprio lavoro: quella di garantire il massimo delle opportunità di educazione a tutti i ragazzi, di non arrendersi di fronte all'insuccesso nell'apprendere, di contribuire alla formazione disinteressata di persone e di cittadini e non solo di collocarle precocemente in un "posto" di lavoro qualsiasi. Mai come ora la scuola esprime un profondo disagio verso i gesti della politica quotidiana (con gli ennesimi tagli ai bilanci di spesa) e verso le prospettive di "dismissione" che si stanno delineando per il sistema scolastico pubblico.
Ammettiamo pure che sia colpa di una tendenziosa campagna di disinformazione, ma sarebbe miope non cogliere in tempo le tante voci che provengono dalla scuola quotidiana, cui sembra venir meno la possibilità di farsi capire, farsi vedere, farsi apprezzare per il lavoro sommerso (di innovazione e di tenuta della qualità della scuola) svolto faticosamente in tutti questi anni. Il "Punto e a capo" che campeggiava nel logo degli "Stati generali" del dicembre 2001 è stato vissuto da molti come un "tutti a casa" ingeneroso, uno spoil system di idee e persone che feriva le professionalità più impegnate.
Non si dica, come al solito, che gli insegnanti non ci stanno a mettersi in discussione, che sono autoreferenziali per vocazione, che non faranno mai le riforme, come i postini e i ferrovieri. Già ci si esercita in questa interpretazione, per neutralizzare il parere fortemente "critico" che il Cnpi ha espresso il 10 aprile 2002 sul disegno di legge-delega. Si abbia però la cortesia di rileggere le ricerche sulla condizione professionale dei docenti (Iard, 2000), sul loro atteggiamento verso le riforme (Istat, 2001), sul giudizio dato alle innovazioni di questi ultimi anni (Eurispes, 2002). La fotografia è quella di un gruppo con orientamenti assai differenziati, ma orgoglioso della propria identità professionale, disponibile verso le riforme "possibili" (si pensi alla recente autonomia o alle tante sperimentazioni, un po' più lontane).
Non è solo la richiesta di essere consultati, di poter partecipare a una ideale audizione presso le Commissioni parlamentari di Camera e Senato (alle prese con il disegno di legge-delega), di riempire un qualche questionario o di cliccare il proprio voto su home-page sempre più virtuali e lontane. Certo, ci vogliono forme di partecipazione più efficaci e rappresentative di quelle frettolosamente messe in piedi per onorare (d'ufficio) i lavori della Commissione Bertagna. Ma non è un nuovo sondaggio quello che serve. È invece indispensabile riconoscere e valorizzare l'esperienza della scuola, il sapere condiviso, le competenze disponibili, il lavoro di ricerca, le buone pratiche: "e se la riforma fossimo già noi!" scrive in rete Claudia, maestra inquieta e ormai delusa dalle attese di una "grande riforma" che non arriva mai. Meglio una riforma "a prova di insegnante", che offra indirizzi culturali di valore, condizioni operative dignitose, incentivi e riconoscimenti sociali, motivazioni per un impegno che per molti è già generoso.
Tutto qui. Sembra poco, ma è tanto. Perché oggi sembra mancare anche il respiro della democrazia.

"Chi vince le elezioni ha solo vinto le elezioni.
Non è detto che sappia governare (sia a destra che a sinistra).
Può fare le riforme che vuole, ma non è detto che siano giuste e valide.
Si può dire almeno questo a chi ha vinto le elezioni?
Spero ancora di sì".
(voci dalla rete)


numero 5/2002


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