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In difesa della scuola pubblica
di Carla Olivari - editoriale

Lo scenario italiano e ancor più quello mondiale in pochi mesi sono profondamente cambiati, influenzando la nostra percezione della realtà in un intreccio per niente rassicurante. Il disagio derivante dalla situazione italiana è stato sicuramente ampliato da quanto è avvenuto in campo internazionale, a partire dall'attacco terroristico dell'11 settembre alle Torri gemelle di New York, per arrivare all'invasione dell'Afghanistan e alla guerra israelo-palestinese. Per quanto attiene al contesto italiano, nel corso dell'anno abbiamo espresso forti critiche sulle proposte governative per la scuola, fondamentalmente perché riteniamo che il progetto di riforma avanzato non sia in linea con quell'idea di "scuola secondo Costituzione" in cui abbiamo sempre creduto e per la cui realizzazione abbiamo lavorato, in ottemperanza a quanto affermato nell'art. 3 ("è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli (...) che impediscono (...) il pieno sviluppo della persona umana.."). In un mondo in cui da più parti si richiede un aumento della cultura di base, e si individua nella conoscenza l'elemento di inclusione/esclusione sociale fondamentale per lo sviluppo economico e democratico del Paese - oggi ancor più indispensabile per la costruzione della pace - è da irresponsabili diminuire la qualità della scuola pubblica, frequentata dal 95% degli studenti italiani. Questa scuola rappresenta tutt'ora il luogo privilegiato in cui si realizza la convivenza tra bambini di etnie, religioni, culture diverse, dove si iniziano a conoscere e ad apprezzare le diversità culturali e religiose, dove si può iniziare a costruire la pace, sempre gravemente in pericolo nel mondo. Abbiamo ancor più bisogno di una scuola che aiuti a colmare le differenze socio-culturali iniziali dei nostri studenti, che sappia insegnare ad apprendere per tutta la vita per far fronte ai rapidi cambiamenti della nostra società, e sia in grado di fornire a ciascuno una solida cultura di base indispensabile per vivere una cittadinanza reale, nella consapevolezza che la cultura di ogni cittadino è la ricchezza di tutto il Paese.
Vanno forse in questa direzione le proposte del Governo e le modifiche già realizzate di cui abbiamo più volte parlato?
Nella nostra scuola pubblica esistono ricchezze culturali e didattiche che andrebbero diffuse, perché la realtà in molti casi è più avanti rispetto a quella configurata nella proposta di riforma e di questo gli insegnanti, che in massa hanno scioperato il 16 aprile scorso, sono convinti. Per migliorare la qualità del nostro sistema formativo è indispensabile investire nella formazione e riqualificazione degli insegnanti alla luce dei nuovi compiti richiesti in una società complessa come la nostra, profondamente mutata rispetto ai tempi in cui la maggior parte di noi è entrata nell'insegnamento; è necessario rendere competitivo il lavoro nelle scuole nei confronti delle altre occupazioni e non le scuole tra loro, e motivare i docenti con un rinnovato riconoscimento sociale che non può essere disgiunto da quello economico, al fine di reclutare i migliori. Anche dal nuovo contratto di lavoro ci aspettiamo indicazioni che vadano in tal senso. La scuola non è delle famiglie - ha ribadito, al 30° Convegno nazionale del Cidi, Fernando Savater - ma è un bene che appartiene a tutta la comunità: per essa va impostata e ad essa deve rispondere. Per questo, saremo sempre dalla parte di chi vuole migliorare la scuola pubblica, laica e pluralista. Non possiamo, del resto, dimenticare che se all'indomani della II guerra mondiale il 60% degli italiani era analfabeta o semianalfabeta e se oggi il 75% dei giovani ha il diploma di scuola superiore, ciò è anche merito della scuola pubblica che, malgrado tutto, con l'impegno e la generosità di moltissimi insegnanti, ha contribuito in modo decisivo a unificare culturalmente il Paese, innalzando il livello culturale di tutti i cittadini.



numero 6-7/2002


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