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Si parla della scuola, ma chi parla alla scuola e chi l'ascolta? editoriale - di Alba Sasso
Lo scorso tre novembre
il Consiglio dei ministri ha approvato il piano di attuazione della legge
sul riordino dei cicli e la relazione di fattibilità che l’accompagna.
L’iter prevede che il piano venga poi consegnato alle Camere per il previsto
parere, dopo il quale potranno essere emanati i decreti e i regolamenti
che consentano l’effettiva attuazione della riforma.
Prevedevamo - perché
è questo che avviene ogni volta che si parla di scuola - che gli
opinion makers, molti dei quali non sapevano che la riforma è già
stata votata, e da tempo, dal Parlamento, avrebbero, a partire dai
propri ricordi e dalle proprie nostalgie, raccontato con rimpianto della
loro scuola e avrebbero finito con il concludere che in questo Paese
non si può riformare la scuola perché gli insegnanti non
sono “all’altezza”. Panico da cambiamento? Anche, e così il cerchio
si chiude. Una discussione sorda a ogni discorso di merito, che rischiava
e rischia di far da sponda alle minacce della destra di “azzerare tutto”,
se vincerà le elezioni. Destra, peraltro, sempre più decisa
piuttosto che a riformare, a controllare e a censurare la scuola, come
testimoniano le recenti prese di posizione di alcune Regioni sui
libri di testo.
Un esempio di positivo
buon senso, che alle volte davvero può diventare virtù civile,
è invece stato fornito da Pippo Baudo, nella trasmissione Porta
a Porta andata in onda venerdì 10 novembre. Baudo alla fine della
trasmissione ha detto che una riforma della scuola, oggi necessaria, non
può essere occasione di scontro tra le parti, perché
è di tutti, perché serve a tutti.
A questa ragionevolezza
vorremmo allora aggiungere la convinzione che l’intero processo di riforma
viene da lontano, fa riferimento a un dibattito della scuola più
che ventennale, a esperienze significative e coraggiose che proprio gli
operatori della scuola hanno avviato da tempo e che negli ultimi anni hanno
avuto significativi punti di riferimento, anche normativo, nell'avvio della
sperimentazione dell'autonomia e nella costituzione degli Istituti comprensivi.
I cambiamenti reali, infatti, non avvengono quasi mai solo per modifiche
legislative e regolamentari, ma si mettono in moto quando le leggi
si inseriscono nel solco di processi già avviati e li consolidano
e ne avviano altri, quando si misurano con le varie realtà,
e sanno verificare compatibilità e sostenibilità delle scelte
fatte. Insomma, con tutte le difficoltà e i prezzi da pagare - e
uno è quello di non aver coinvolto fino in fondo la scuola nel processo
di riforma, nel non aver saputo ascoltare per tempo i segnali di difficoltà
e di disagio che da essa venivano - oggi si avvia un processo. Un processo
che dovrà partire dalle esperienze migliori della nostra scuola
e avere la ricca e molteplice fisionomia dell’esperienza concreta
e che si connoterà nel tempo attraverso un fare e un verificare
continuo. Provando e riprovando.
Perciò, prima
di tutto, è necessario non ritardare l’avvio della riforma (almeno
prima e seconda classe del ciclo di base). Per dare certezza alla scuola
e insieme per garantirle tempo per assorbire e interpretare il progetto
di riforma.
In secondo luogo, è
urgente, indilazionabile, riavviare il lavoro e il dibattito sui curricoli,
su un progetto culturale ricco, aperto al confronto e al dialogo, che dia
orizzonte di senso alla fase che stiamo attraversando. Perciò la
commissione di studio, che tanta parte ha avuto nell'elaborazione del piano
di attuazione, dovrà riprendere al più presto i suoi lavori,
a partire dell'ascolto e dalla consultazione continua della scuola, nella
consapevolezza che è poi lì che si costruisce ogni giorno
la cultura e il sapere dei soggetti che ci vivono.
numero 11-12/2000
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