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Editoriale - Il riordino dei cicli scolastici - di Ermanno Testa
La vicenda del "concorsone" ha fatto passare sotto silenzio l'approvazione il 2 febbraio scorso della legge-quadro di Riordino dei cicli scolastici (comunicato Cidi). Una riforma ordinamentale complessiva di portata storica (piaccia o no), giunta dopo 77 anni dalla riforma di Gentile e dopo decenni di provvedimenti - parlamentari o, più spesso, amministrativi - che hanno riguardato singoli "pezzi" del sistema scolastico (riforma elementare, nuovi programmi, sperimentazioni guidate e poi a regime ecc.), mai il sistema nel suo complesso. Infatti, per quanto migliorativi, quei provvedimenti, proprio perché parziali, non hanno mai risolto, né lo potevano, quelli che ancora oggi appaiono i nodi critici del sistema dove si concentrano con maggiore evidenza i fenomeni di insuccesso, di selezione, di emarginazione: la rigidità e insieme l'eccessiva frammentazione e discontinuità dei percorsi scolastici, la struttura gerarchica degli indirizzi e la "canalizzazione" rigida, l'ambigua collocazione istituzionale della scuola materna ("materna", appunto!), l'assoluta estraneità della scuola rispetto ad altre realtà formative ecc. Risolve la legge appena approvata tali nodi? L'inserimento a pieno titolo della scuola dell'infanzia nel sistema di istruzione, la scansione in soli due cicli del percorso scolastico - dove quello di base, di sette anni, non sia la mera somma delle attuali elementare e media, ma un nuovo "percorso educativo unitario" -, l'esplicito raccordo tra la scuola dell'infanzia e il ciclo di base e tra questo e il ciclo secondario, la possibilità nei primi due anni della secondaria di passare da un modulo all'altro anche di aree e di indirizzi diversi, le "iniziative formative per collegare gli apprendimenti curricolari con le diverse realtà sociali, culturali, produttive e professionali" e, nei trienni, la possibilità di brevi periodi di inserimento nelle "realtà culturali, produttive, professionali e dei servizi", sono tutti aspetti della legge che rappresentano cambiamenti sostanziali. Altre questioni, come l'estensione ovunque delle scuole pubbliche dell'infanzia e una radicale riforma delle formazione professionale attendono.
Ma soprattutto si tratterà di vedere di quali contenuti verrà riempita entro i prossimi sei mesi - come prescritto dalla legge stessa - quella che per ora è una architettura, sia pure ben delineata, di una riforma, che partirà gradualmente a settembre del 2001.
È la prima volta, dopo le riforme Casati (1859) e Gentile (1923), che una legge ordinamentale dell'intero sistema scolastico viene approvata in regime democratico: ciò ha consentito che nel corso dell'iter parlamentare, grazie anche al dibattito che l'ha accompagnato nella scuola e nel Paese, si siano apportate modifiche non marginali all'originario disegno di legge (su tutte, la scansione in cicli "sei anni più sei anni", mutata in "sette più cinque" onde evitare i rischi di scelte d'indirizzo troppo precoci). Ci sono perciò le condizioni - purché lo si voglia - per far crescere in questi mesi decisivi una cultura della riforma, per sviluppare il dibattito sui contenuti, sul sapere, sulla definizione dell'asse culturale necessario a delineare la fisionomia della nuova scuola. In questo contesto si tratta anche di valorizzare il ruolo e la professionalità degli insegnanti come risorsa (anche numerica), sapendo utilizzare quanto in passato nei vari ordini scolastici è stato prodotto come elaborazione culturale e comportamenti didattici. Sarà fondamentale, in ogni fase di attuazione della riforma - anche ai fini di una necessaria condivisione - una grande capacità di ascolto e attenzione ai fermenti e alle proposte del mondo della scuola: non si tratta tanto di propinare questionari ai docenti o altre forme di consultazioni un po' rituali quanto di stabilire con essi un reale livello (luoghi, sedi, modalità) di effettiva partecipazione; di realizzare, per dirla con Scalfari, "un'operazione con una dimensione inusitata, una sorta di stati generali della scuola italiana"; di offrire, a fronte dei disagi che ogni trasformazione inevitabilmente comporta per chi ne è investito direttamente, il corrispettivo di un gratificante (sotto ogni aspetto), consapevole, utile protagonismo.
numero 3/2000
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