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Far avanzare celermente il processo di riforma editoriale - di Alba Sasso
Qualche tempo fa qualcuno parlava
del processo di riforme, avviato con forza e determinazione – e di questo
dobbiamo essergli profondamente grati – dal ministro Berlinguer, come di
un cantiere aperto, e lo stesso Berlinguer – per sottolineare da una parte
la ricchezza e la molteplicità delle scelte di riforma
e dall’altra l’idea di un lavoro in progress – usava la metafora del mosaico.
Certo con il cambio di governo
e di ministro si può correre il rischio di produrre un rallentamento
proprio nel momento in cui si tratta di portare a compimento alcuni processi.
Ma vogliamo augurarci, nell’interesse della scuola, che tutte le forze
che hanno appoggiato, per profonda convinzione, il processo di riforme
intendano continuare a farlo, intendano sostenere e incalzare il ministro
De Mauro perché porti avanti il lavoro avviato.
Nel quadro ormai quasi completato
dell’architettura delle riforme occorrerà, allora, nei prossimi
mesi – i non moltissimi e precari mesi che ci separano dalla fine della
legislatura – consolidare giunture e connessioni, proporre piani di fattibilità
e di attuazione.
C’è in primo luogo
tutta aperta la partita per l’avvio dell’autonomia, e penso a provvedimenti
indispensabili per il suo funzionamento, come il dimensionamento non ancora
realizzato in alcune regioni, il decreto sull’autonomia amministrativa
e contabile, alcuni atti significativi rispetto all’attuazione della riforma
del ministero.
Penso ancora alla legge
di riforma degli Organi collegiali interni alla scuola, necessaria soprattutto
in presenza di un decreto sulla dirigenza scolastica che ridefinisce poteri
e responsabilità dei capi d’Istituto, mentre rimane invariata la
definizione di funzioni e competenze di tutti gli altri organi di
governo della scuola.
Ma c’è soprattutto
l’urgenza di avviare al più presto il piano di fattibilità
della riforma dei cicli, da presentare al Parlamento entro sei mesi dall’approvazione
della legge, per permettere poi alle Camere di dare il previsto parere
prima della definizione dei decreti attuativi.
Una procedura, come si vede,
non breve e, legata com’è a una situazione di instabilità
politica, irta di ostacoli.
Si tratta dunque di fare
presto. Il piano di fattibilità prevede che si ragioni in primo
luogo di tempi. E non sarà indifferente la scelta del tempo necessario
perché la riforma vada a regime. Si intrecciano a scelte da fare
rispetto a questo problema (5, 7 o 13 anni), problemi di collocazione
e ricollocazione del personale. E la definizione dell’asse culturale, l’organizzazione
curricolare, non si legano strettamente anche alla revisione delle classi
di concorso, il curricolo verticale ai problemi dell’assetto interno
dei due cicli, ancora tutto da definire? E l’assetto interno dei due cicli,
la costruzione del progetto culturale che dia corpo alle finalità
generali del sistema – un sistema in cui tutti imparino meglio e di più
– non diventa quell’orizzonte necessario perché la sperimentazione
avviata con l’autonomia trovi senso e motivazione? Occorrerà
fare in fretta proprio per permettere alla scuola di metabolizzare
il cambiamento, di riorientare il proprio lavoro.
Di molte altre questioni
si dovrà ragionare. E ne ricordo solo alcune. Come estendere e generalizzare
la scuola dell’infanzia statale e comunale, come ridefinire il rapporto
tra obbligo scolastico e obbligo formativo, come costruire una rete capillare
di educazione degli adulti, strumento fondamentale per modificare il profilo
culturale del Paese – come ha sottolineato la recente ricerca del Cede
–, come creare e consolidare un sistema permanente e ricorrente di formazione
in servizio degli insegnanti, condizione essenziale per il buon esito
delle riforme?
È tempo, allora,
di impegnare le forze, di porre tutta l’attenzione possibile, più
che a definire la meta, a costruire la strada da percorrere
per raggiungerla.
numero 6/2000
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