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La scuola e le domande della società di Caterina Gammaldi
I primi atti e le prime dichiarazioni
del ministro dell’Istruzione contrastano con un’idea democratica di scuola.
L’eco dei primi provvedimenti
adottati dal governo in materia di istruzione e formazione e delle dichiarazioni
programmatiche del ministro Moratti è giunta, in piena pausa estiva,
nei luoghi di vacanza, attraverso i giornali e la tv.
Non sono mancate prese di
posizione e valutazioni, molto critiche quelle del Cidi (www.cidi.it)
e di quanti avevano sostenuto le ragioni di una riforma di sistema nei
cinque anni di governo del centro-sinistra.
Ad anno scolastico ormai
avviato, mentre la stampa si limita a registrare i riti del primo giorno
di scuola, ci si chiede quale sia il senso delle proposte del governo Berlusconi
in materia di istruzione.
Per una prima analisi vogliamo
approfondire alcune questioni, che non riteniamo marginali, a beneficio
di un dibattito, che ci auguriamo sarà, nei prossimi mesi, più
ampio.
Fra tutti gli argomenti
che si prestano alla riflessione ci sembra utile rimarcare che in Parlamento,
il 18 luglio scorso, il neo–ministro dell’Istruzione ha scelto di formulare
un giudizio severo, peraltro non documentato, sulla scuola del nostro Paese.
Bisognerebbe ricordare,
al riguardo, che non sono sufficienti le sole esigenze del mondo economico
e produttivo, gli interessi di una parte del Paese, l’enfasi sulla libertà
di scelta educativa delle famiglie a giustificare una riforma della scuola.
Non serve una riforma
purché sia.
In questo senso, le scelte
culturali e legislative del governo di centro–sinistra (autonomia, riordino
dei cicli, rinnovamento dei curricoli, elevamento dell’obbligo di istruzione
al quindicesimo anno di età, obbligo formativo ai 18 anni, educazione
degli adulti, riforma degli esami di Stato e dell’Università,
riforma dell’Amministrazione scolastica, generalizzazione e qualificazione
della scuola dell’infanzia…) nell’insieme rispondevano e rispondono all’esigenza
di garantire il dettato costituzionale, quei saperi di cittadinanza e di
responsabilità più volte richiamati, il diritto di tutti
alla cultura.
Siamo di fronte, nonostante
le dichiarazioni del ministro - peraltro contraddittorie e generiche -
a un blocco del processo riformatore.
Non c’è alcuna attenzione
alla formazione di base. Il problema non è se sia meglio separare
o unificare l’attuale scuola elementare e media. Inoltre, non aiuta nella
comprensione del modello prescelto dal ministro Moratti l’aver riconosciuto
la frequenza della scuola dell’infanzia come possibile «credito ai
fini del soddisfacimento di almeno un anno di istruzione obbligatoria»,
né quanto proposto sul versante della scuola secondaria superiore:
il vecchio e caro modello del Liceo classico, senza alcuna attenzione alla
cultura scientifica e tecnologica, nella prospettiva di una effettiva canalizzazione
precoce. Si sceglie una formazione professionale non meglio definita fra
i 14 e i 21 anni, un vero e proprio canale parallelo a quello di istruzione,
di dubbia qualità formativa.
Considerare importante l’obbligo
di istruzione nella scuola superiore, come previsto dalla legge 9/99 ha
il pregio di restituire a chi frequenta tale scuola pari dignità
formativa, senza gerarchie di indirizzo fra Istituti superiori (Tecnici,
Professionali e Licei).
Infine (e non da ultimo)
vogliamo sollecitare alcune riflessioni sul terreno del rapporto pubblico/privato.
Nelle dichiarazioni programmatiche
del ministro Moratti non mancano osservazioni sul ruolo dello Stato in
materia di istruzione, un ruolo ritenuto assai marginale, se lo Stato si
limita a essere puro erogatore di finanziamenti ai privati. Fra detto e
non detto, si lascia intendere di volere interrompere il «monopolio
statale della scuola pubblica», come poi dichiarato senza mezzi termini
a Rimini, al meeting di Comunione e Liberazione.
Non solo, dunque, libertà
di scelta (anche economica) fra scuola pubblica e privata, ma un’idea della
scuola pubblica, più complessivamente di società e di futuro,
che non sentiamo di poter condividere.
Riteniamo, invece, che ci
si possa e ci si debba confrontare con le domande della società,
senza rinunciare a un progetto di scuola democratica.
Dovremo confutare posizioni
schiave dei consumi e dei modelli ereditati dal mercato per garantire l’estensione
della cultura e attraverso essa l’acquisizione di strumenti tali da consentire
di interpretare la complessità del mondo, utilizzando la criticità
di pensiero.
numero 11/2001
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