insegnare
    mensile del centro di iniziativa democratica degli insegnanti

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      Io sono... noi siamo... - di Lidia Gargiulo
      Io sono un intellettuale. Della vita amo l'esperienza dei sensi e la riflessione sull'esperienza, del danaro conosco e apprezzo l'utilità ma ho imparato a spendere e scambiare anche altri valori, come la salute, la presenza, la parola e il silenzio. Soprattutto mi piace, e mi compiaccio di averlo capito in tempo, pensare che una parte del tempo della vita è mia e solo mia, e posso impiegarla a pormi le eterne domande senza risposta che non mi porrei se non fossi un intellettuale ma che mi assalirebbero a tradimento se non mi facessero compagnia da sempre. Qualche volta riesco a pensare l'infinito, e sullo sfondo dell'infinito mi si aggiustano le proporzioni del quotidiano e le sue capricciose oscillazioni. Le competenze specifiche della mia professione non mi impediscono di interessarmi, sebbene più alla larga, di quello che succede in altri campi; l'appagamento per i luoghi e le persone che frequento non mi hanno tolto la curiosità di conoscere altri luoghi e altre persone. Come intellettuale ho il privilegio di ripensare a quanto mi accade, rigirarmelo nella mente e nella memoria, di vivere insomma una seconda volta, e sono convinto che quella seconda volta è la volta migliore, forse l'unica veramente significativa. Non rinuncerei mai a questo privilegio, né lo vorrei regalare a qualcuno che non lo avesse conquistato con lo stesso mio sforzo. Appartengo a quella minoranza orgogliosa e riservata che si dice creda nella "vita interiore", nella memoria e nell'esercizio dell'intelligenza, nell'eleganza come abitudine a costruirsi con la scelta metodica e consapevole di parole e comportamenti, nella tolleranza come ospitalità della mente alle possibilità e ai modi dell'esistere. Mi sento parte della Storia perché il lavoro che svolgo nella scuola mi permette di affidare all'amore e al giudizio dei giovani i meriti e i crimini del passato, di proporre loro gli impegni presenti e le speranze future.

      Come sarebbe bello poter dire questo di noi! Invece...

      Ecco a che mi serve la cultura: a vedere Sisifo che spinge in cima a un'erta un macigno, ma il macigno non è ancora arrivato che subito ritorna rotolando a valle; Sisifo ricomincia con sudori e sforzi e di nuovo li annienta l'impietosa legge di gravità... Io sono Sisifo. O forse nemmeno l'immagine di Sisifo serve, in questi tempi di imprendibili contatti, nei quali i miei interlocutori non sono più nemmeno macigni ma polvere, ectoplasmi, fuochi fatui, in una società che disprezza la cultura, che affida i suoi figli alla scuola solo perché non ha tempo e non ha voglia di occuparsene, che convoglia le energie dei giovani verso il consumo e la noia, la violenza e il vandalismo, la chiacchiera e l'improvvisazione; in una scuola di disorientati chiassosi, assordati e assordanti, che si aspettano tutto ma non chiedono niente, che passano dalla violenza gratuita a un'incantata indifferenza, pronti a ogni mobilitazione in branco ma privi di direzione; con un orario fatto più di extra che di lezioni, soffocato da formalità debilitanti, che richiede sempre più carte e riunioni e verbali e collegi e colloqui e... La scuola stretta fra problemi economici ed equilibrismi politici, fra teorie astratte ed empirismo spinto, illegibile mappa delle generazioni che cambiano, terra di nessuno affollata di sofferenze e disagi, nella quale nemmeno il dolore è cultura comune perché ognuno sta male per ragioni proprie e diverse; gli insegnanti ridotti a guardiani, o domatori, o imbonitori, o solitari oranti di culti trapassati..

      Questo pensiamo nei momenti di esasperata coscienza.

      Eppure, ammettere il punto b) non vuol dire rinnegare il punto a); anzi, proprio su questa divaricazione fra desiderio e percezione possiamo definire il nostro mestiere e costruirci un'identità non fittizia. Oggi che la cultura in confezione è dispensata da radio tivù stampa cinema teatro e canzoni, se noi pensassimo di insegnare in concorrenza a questi mezzi saremmo un patetico residuo storico, sostanzialmente superfluo e superato. Ma noi insegniamo a produrre piuttosto che a ricevere immagini, a scegliere piuttosto che a ripetere le parole. Insegniamo a costruire spazi interiori e a muovercisi, a "vedere" i tempi della memoria propria e altrui, a immaginare e a desiderare un futuro. Noi svolgiamo e insegniamo un lavoro mentale, che è mentale ma è lavoro, ha le sue regole, i suoi tempi, le sue quantificazioni e valutazioni. Insegnare ad usare il libro di testo, scorrere l'indice e scegliere i capitoli utili, distinguere un dato da un concetto, un'opinione da una teoria; produrre silenzio e nel silenzio far nascere l'attenzione, convogliarla su un argomento; riconoscere un pensiero proprio, imparare a tradurlo in parole, fargli strada, procurargli le parole giuste, conquistargli la comunicazione e l'ascolto degli altri, questo lo possiamo fare solo noi, noi che insegniamo. Allestire esercitazioni in classe e lavorarci assieme agli studenti per meglio misurare tempi e risultati; ascoltare i balbettii, e fare in modo che il balbettante si ascolti e desideri migliorare, riscoprire le parole e la loro storia, la lunga storia delle relazioni con le cose... Questo non si può fare che a scuola, non lo possiamo fare che noi. Il nostro, nelle scuole di ogni ordine e grado, è lavoro di duro artigianato, con tutta la fatica e tutta la dignità di questo termine: conoscere la materia con cui si ha a che fare, osservarne i comportamenti e sapere aggiustare il tiro, non perdere di vista il "che cosa sto facendo". L'organismo in crescita dei nostri bimbi-ragazzi-adolescenti-giovani ha questo di speciale, che a un certo punto cessa di essere materia refrattaria ed ecco che ci troviamo di fronte un interlocutore intelligente. Ma prima, ci tocca il duro artigianato del giorno per giorno, quotidiano, oscuro, lungo, al di sotto delle nostre ambizioni ma all'altezza della necessità. Questo lavoro di duro e oscuro artigianato lo possiamo sostenere solo se nel frattempo non dimentichiamo la nostra dimensione di intellettuali, e rivendichiamo il diritto di continuare ad apprendere, di cercare interlocutori interessanti, amicizie stimolanti; se riusciamo a lavorare in maniera economica e intelligente, snellendo le formalità, riducendo al minimo le incombenze burocratiche. Non lasciamoci saccheggiare le energie da corvé defatiganti e improduttive, riconquistiamoci un tempo nostro, nostro di noi e di nessun altro, almeno un'ora al giorno di otium, di libero pensare e riflettere, di cui non dover dar conto a nessuno. Da questa dimensione posso anche salire i gradoni senza arrancare, parlare di contingenza senza scambiarla per sostanza. Perché io sono un artigiano e conosco la pratica del fare; perché sono un intellettuale e frequento le sfere del pensare.