il sommario
- l'archivio
- la redazione
- gli abbonamenti
Un lessico possibile per un nuovo Consiglio di classe di Maurizio Muraglia
Il nuovo esame di Stato
ha superato la sua seconda prova ma resta ancora in gran parte da affrontare
il problema – fondamentale – di un diverso modo di operare dei Consigli
di classe.
Esaurita la fase dedicata
al Pof, si è ritornati a parlare negli ultimi mesi dello scorso
anno scolastico di esame di Stato, anche sotto l’impulso della pubblicazione,
ancor più anticipata dell’anno precedente, delle materie di esame
affidate ai commissari esterni. Chi ha parlato di nuovo protagonismo del
Collegio dei docenti, in riferimento alle procedure necessarie per l’elaborazione
del Pof e per l’attribuzione delle funzioni-obiettivo, è dovuto
tornare a riflettere anche sul Consiglio di classe, dal cui funzionamento
dipendeva, per gli studenti, la possibilità che l’esame di Stato
costituisse un banco di prova realmente qualificato della loro crescita
cognitiva.
Tra le risultanze dell’esperienza
degli scorsi anni ce n’è una particolarmente ricorrente, che riguarda
le difficoltà incontrate dai docenti nel progettare insieme occasioni
di insegnamento/apprendimento e nel valutarle. Nella secondaria superiore
i Consigli di classe si riuniscono abbastanza sporadicamente e non sembra
che le poche volte in cui si riuniscono sia facile mediare quattro esigenze
fondamentali: l’intreccio dei saperi disciplinari, il controllo degli obiettivi
formativi, la condivisione delle esigenze dell’utenza e, infine, il rispetto
delle esigenze professionali (libertà di insegnamento). Poche volte,
peraltro, viene ricordato che membri di diritto del Consiglio di classe
sono anche i rappresentanti degli studenti e delle famiglie, con la conseguente
necessità che il lavoro del Consiglio si configuri in termini di
negoziato piuttosto che in termini di autoreferenzialità.
Urge, dunque, un ripensamento
delle modalità di lavoro del Consiglio di classe, se si vuole che
concetti quali pluridisciplinarità, progettualità condivisa,
collegialità, lavoro in team non occupino soltanto le pagine dei
manuali di pedagogia e di organizzazione scolastica. Tale ripensamento
dovrebbe avvenire a più livelli perché il tavolo di lavoro
di un Consiglio di classe rinnovato possa contare su tutte le sue gambe.
Tre istanze
Prendiamo in considerazione,
sia pur a grandi linee, con l’aiuto del seguente schema, due assi fondamentali
di intervento che possano garantire un certo grado di efficacia a quest’organo
collegiale.
COLLEGIALITÀ
|
LIVELLO DIDATTICO
|
LIVELLO ORGANIZZATIVO
|
LIVELLO RELAZIONALE
|
RISORSA
EPISTEMOLOGICA
|
PLURIDISCIPLINARITÀ
|
DIALOGO
CON I DIPARTIMENTI
|
“COMUNITÀ
ERMENEUTICA”
|
RISORSA
PEDAGOGICA
|
CURRICOLO
TRASVERSALE
|
PROGRAMMAZIONE
COLLEGIALE
|
NEGOZIAZIONE
|
RISORSA
OPERATIVA
|
INTER-IPER-TESTUALITÀ
|
COPRESENZE
COVALUTAZIONI
|
CONDIVISIONE
|
Se ci fermiano sull’asse
“orizzontale”, ci accorgiamo che un gruppo di docenti come quello del Consiglio
di classe, più o meno coscientemente, finisce per scontrarsi con
tre tipi di istanze: didattica, organizzativa, relazionale. In altri termini,
esso deve affrontare le questioni del come insegnare, del come organizzarsi
per insegnare, del come relazionarsi per organizzarsi. Per affrontare questi
tre livelli del problema, i docenti necessitano di tre tipi di risorse
professionali: la risorsa epistemologica, che attiene al rapporto di ciascuno
con il proprio sapere disciplinare; la risorsa pedagogica, che attiene
al rapporto di ciascuno con la propria idea di insegnamento; la risorsa
operativa, che attiene al rapporto di ciascuno con la propria capacità
di tradurre in azioni le proprie convinzioni.
La risorsa epistemologica
Il rapporto di ciascuno
con il proprio sapere disciplinare ha un’importanza cruciale perché
è alla base della possibilità che il gruppo di lavoro sappia
declinare la pluridisciplinarità. La pluridisciplinarità
attiene alla didattica, ma a livello pre-didattico deve essere già
accaduto qualcosa sul piano organizzativo, ovvero sul piano del vero negoziato
epistemologico che deve avvenire nei gruppi disciplinari. Sono i dipartimenti,
infatti, i luoghi della riflessione sui saperi. È una forte riflessione
disciplinare la vera premessa alla riflessione pluridisciplinare. Per questo
le scuole devono attrezzarsi, in regime di autonomia, perché i gruppi
disciplinari si incontrino periodicamente e vengano messi in condizione
di fare vera ricerca didattica disciplinare. Ma anche questo richiede,
a monte, una metanoia (mutamento) relazionale, una capacità di divenire
comunità ermeneutica, un desiderio di mettere in gioco la specificità
del proprio punto di vista disciplinare, di uscire dalla nicchia del proprio
individualismo.
La risorsa pedagogica
Il rapporto di ciascuno
con la propria idea di insegnamento gioca un ruolo importante a livello
didattico perché determina la possibilità di elaborare un
vero e proprio curricolo trasversale, ovvero la mappa delle abilità
e delle metodologie comuni alle discipline. Una volta individuati i nuclei
portanti delle discipline, bisogna porsi, in altri termini, il problema
della loro dialogicità, del loro intreccio, delle azioni cognitive
che gli studenti devono saper compiere perché il loro apprendere
non sia soltanto apprendere qualcosa ma anche apprendere ad apprendere:
azioni quali classificare, trattare informazioni, problematizzare, dedurre
conseguenze, modellizzare, concettualizzare accompagneranno gli studenti
per tutto il corso della loro vita e possono essere incentivate con forza
se tutte le discipline sapranno transitare dagli apprendimenti di primo
livello (conoscenze) a questi apprendimenti di secondo livello (competenze).
Ma questi a partire da quelli, mai viceversa. Si insegna la laguna come
ecosistema o la peste del XIV secolo, non si insegna a modellizzare. Imparando,
e bene, il funzionamento della laguna e la vicenda della peste nel XIV
secolo, si imparerà a modellizzare. A monte di tutto ciò
ci si deve convincere della necessità organizzativa di un programmare
insieme, di un “pensare le azioni possibili” condiviso; ma perché
tutto non venga affrontato sul piano delle carte, deve ricomparire la questione
relazionale, che si riassume con la parola negoziazione. È il desiderio
di cercare denominatori comuni nel rispetto degli specifici punti di vista
disciplinari. È il desiderio di mantenere l’equilibrio tra anonimato
disciplinare e imperialismo disciplinare. Una negoziazione efficace necessita
di un coordinamento autorevole e competente. Ma necessita soprattutto di
una conflittualità costruttiva.
La risorsa operativa
Come transitare dal tavolo
della riunione all’aula? Come essere Consiglio di classe anche in classe?
Come attivare una vera collegialità tra studenti e docenti?
Anche qui i tre livelli,
didattico, organizzativo, relazionale, devono trovare un riscontro nel
concreto dell’azione quotidiana. Un primo concetto da introdurre, sul versante
didattico, è quello di inter-iper-testualità. Terreno comune
al Consiglio di classe può essere quello dell’analisi e della produzione
di testi in una logica che non solo evidenzi le reti di concetti, le connessioni
e i rimandi ad altri ambiti disciplinari, ma che consenta agli studenti
di compiere quelle azioni cognitive trasversali di cui si diceva in precedenza.
Si tratta di progettare occasioni didattiche in cui, a partire da uno o
più testi-pretesti di specifica area disciplinare, ci si possa muovere
ingrandendo la prospettiva volta a volta su aspetti del testo in esame
che, in un’ottica disciplinare, risultano marginali ma in un’altra acquistano
rilevanza maggiore. La costruzione di ipertesti, prima cartacei poi multimediali,
può rappresentare un ottimo terreno applicativo per la pluridisciplinarità
e per l’elaborazione di un curricolo trasversale. Sul piano organizzativo,
conviene iniziare a progettare momenti di copresenza e covalutazione.
È importante dare
il senso dell’azione collegiale anche trovandosi insieme in classe, programmando
azioni didattiche coordinate, negoziando con gli studenti criteri di valutazione.
La negoziazione formativa è irrinunciabile e non può essere
soltanto affidata al dialogo gruppo-classe – singolo docente. Il documento
di metà maggio è il risultato di questa negoziazione, che
mostra come la prima vera collegialità da incentivare sia tra il
Consiglio di classe e il gruppo-classe.
Ma anche questo richiede,
sul piano relazionale, la coscienza della condivisione, intesa come interfaccia
psicologica della collegialità. Ciò che è diviso insieme
è il percorso formativo degli studenti. È l’universo di significati
che lo studente va costruendo progressivamente integrando le specifiche
prospettive disciplinari nel suo orizzonte di senso. È questo lavoro
di costruzione e di integrazione cognitiva che il Consiglio di classe deve
assecondare con gli strumenti più adeguati. La condivisione rende
operativo quanto elaborato sul piano epistemologico e pedagogico. Il livello
relazionale della collegialità possiede, come si è visto,
un suo iter interno, altamente professionale, che non dovrebbe essere trascurato
nella formazione universitaria dei futuri docenti.
La funzione di coordinamento
e le funzioni-obiettivo
Siamo coscienti di avere
tratteggiato soltanto un lessico possibile, di aver forse tracciato una
mappa di azioni formative (iniziali e in servizio) possibili per potenziare
la collegialità docente. E, visto che ci siamo addentrati nel problema
della formazione, crediamo vada spesa qualche parola per la funzione di
coordinamento di un gruppo così altamente responsabilizzato quale
quello del Consiglio di classe. Ogni gruppo di lavoro necessita di coordinamento.
Il Consiglio di classe peraltro è un gruppo di lavoro un po’ speciale,
dove confluiscono – come si è visto – istanze di vario genere, epistemologiche,
psicopedagogiche, didattiche. Chi coordina è un vero inter-mediatore
disciplinare e professionale e pertanto deve disporre di una professionalità
che, a partire dall’esperienza didattica vissuta a contatto con gli studenti
e mai al di fuori di quella, abbia maturato nel corso degli anni alcuni
requisiti quali:
• competenze didattico-disciplinari;
• competenze psicopedagogiche;
• capacità organizzative;
• leadership reale;
• capacità di comunicazione
e di mediazione.
Nella scuola esistono già
professionalità con simili requisiti o con attitudini valorizzabili
in questa direzione. La riflessione sulle funzioni-obiettivo potrebbe trovar
modo di esercitarsi sulla necessità di un organismo di coordinamento
tra i coordinatori dei Consigli di classe, magari a cura di un docente
dalle riconosciute competenze psicopedagogiche e didattiche che possa fungere
da traino per gli altri.
Tale super-coordinamento
potrebbe garantire un humus comune all’azione successiva di coordinamento
nei Consigli. L’attivazione di tutto ciò dipende dalla volontà
“politica” delle singole scuole e dal conseguente investimento finanziario
che si intende operare trascendendo le asfittiche quaranta ore contrattuali.
Si potrebbe così finalmente uscire dalla logica degli investimenti
sull’aggiuntivo e sull’integrativo per affrontare direttamente la questione
del lavoro ordinario dei docenti e della didattica ordinaria di classe.
La convinzione che sorregge queste argomentazioni è che la qualità
degli apprendimenti dei nostri studenti è direttamente proporzionale
alla qualità del lavoro collegiale dei docenti.
Come si è visto,
l’esame di Stato può avere – vuole avere – l’effetto retroattivo
di rendere il Consiglio di classe un’équipe di lavoro vera e propria,
formata da professionalità in grado di controllare i tre livelli
(didattico, organizzativo, relazionale) del loro lavorare insieme. La “professionalità
collegiale” non sorge spontaneamente. La formazione in servizio ha un grande
compito davanti a sé.
Quello di ricalibrare le
professionalità docenti della secondaria superiore in funzione delle
nuove esigenze della scuola. In definitiva, è necessario lavorare
sull’analisi disciplinare (asse epistemologico), sulle abilità progettuali
(asse pedagogico), sulle dinamiche del lavoro di microgruppo (asse applicativo).
Le migliori esperienze su questi terreni vanno utilizzate attraverso un
monitoraggio sistematico di quanto accade nelle scuole. La scuola, quella
buona naturalmente, rimane la migliore formatrice di se stessa. All’amministrazione
il compito di fornirle gli strumenti.
Bibliografia
• P. Romei, Autonomia e progettualità, La Nuova Italia, Firenze 1995 (soprattutto le pp.105-139).
• O. Scandella, Tutorship e apprendimento, La Nuova Italia, Firenze 1995 (soprattutto le pp.145-185).
• M. Muraglia, Il Consiglio di classe nella scuola dell’autonomia, in “Insegnare” 9/98, pp.25-26.
• A. Talamo (a cura di), Apprendere con le nuove tecnologie, La Nuova Italia, Firenze 1998.
• G. Petter, Lavorare insieme nella scuola, La Nuova Italia, Firenze 1998.
• G. De Vecchi, N. Carmona Magnaldi, Aiutare a costruire le conoscenze, La Nuova Italia, Firenze 1999.
• M. Muraglia, Il Consiglio di Classe: una nuova centralità, in Il Nuovo Esame di Stato a cura di R.Conserva, Loescher-Zanichelli 1999, pp.12-13.
• M. Muraglia, Collegialità e libertà di insegnamento, in “Insegnare” 5/99, pp.37-38.
• M. Muraglia, Autonomia e collegialità, in “Quaderni dell’autonomia” n.4 (1999), pp.58-69.
• M. Cangelosi, V. Di Pietra, Tra Collegio e Consiglio di classe, in Il Nuovo Esame di Stato a cura di R.Conserva, Loescher-Zanichelli 1999, pp.8-11.
• M. Muraglia, Collegialità da (ri)scoprire e pluridisciplinarità, in “Chichibìo” n.4 (1999), p.5.
• M. Muraglia, La collegialità come “dialogo” tra le discipline, in “Insegnare” n.11-12/99, pp.42-43.
numero 9/2000
|