il sommario - l'archivio - la redazione - gli abbonamenti

La prima formazione dei docenti: quale percorso?
Intervista a Nicola Tranfaglia - a cura di Loriana Pupolin

A Nicola Tranfaglia*, che ha presieduto la Commissione interministeriale Mpi-Murst incaricata di delineare il nuovo percorso di prima formazione dei docenti, in vista della riforma dei cicli, abbiamo rivolto alcune domande.

Può spiegarci i motivi per i quali la Commissione da lei presieduta ha scelto la formazione iniziale dei futuri docenti 3+2+1?
La Commissione è partita da alcune considerazioni di fondo. In questo momento ci troviamo di fronte a una situazione caratterizzata, per quanto riguarda gli insegnanti della scuola, da un declino del loro ruolo sociale, dalla mancanza di una vera carriera professionale, da una retribuzione più bassa di quella attribuita ai docenti in tutta l’Europa.
Siamo anche alla vigilia di una riforma universitaria che passa dall’esistenza di un solo titolo di studio, la laurea, alla creazione di tre livelli di studio, la laurea triennale, quella specialistica e il dottorato.
Nello stesso tempo abbiamo potuto verificare attraverso ricerche e inchieste svoltesi negli ultimi anni che il livello di preparazione dei nostri studenti universitari si è abbassato. Con la riforma della scuola, inoltre, i giovani arriveranno all’università dopo dodici e non più tredici anni di corso, a diciotto invece che a diciannove anni.
Se si tiene conto di questi elementi che sono obbiettivi, scaturisce la necessità di pensare a una formazione iniziale che dia luogo a un’alta professionalità dell’insegnante sul piano disciplinare (ed è dunque indispensabile che all’università si consegua la laurea specialistica, dopo quella triennale) e su quello didattico (di qui l’opportunità di un anno di tirocinio organizzato dalle Scuole di specializzazione in collaborazione con gli Istituti scolastici che serva a conseguire l’abilitazione all’insegnamento e divenga con il tempo il canale unico di accesso.
Naturalmente le università, sia nelle Facoltà disciplinari come Lettere e Scienze che nella Facoltà di Scienze della formazione, dovranno fissare curricola sia nella laurea triennale che in quella specialistica che siano indirizzati specificamente alla professionalità dell’insegnamento: sicché proponiamo che i crediti da acquisire siano complessivamente trecentosessanta, di cui almeno sessanta di Scienze dell’educazione, cioè di didattiche disciplinari e di pedagogia sperimentale e teorica.
Se pensiamo all’età dei futuri docenti, arrivati a diciotto anni all’università, potranno uscire con l’abilitazione all’insegnamento a ventiquattro anni, cioè prima di quanto escano attualmente.

Quali le differenze rispetto ad altre posizioni emerse nella Commissione?
La differenza fondamentale riguarda la decisione di attribuire all’Università attraverso i due anni della laurea specialistica l’approfondimento disciplinare che in tre anni non si può avere e che i sostenitori del 3+2 attribuiscono alle Scuole di specializzazione pur sapendo assai bene che oggi in queste Scuole ci sono soprattutto insegnamenti di Pedagogia o di Psicologia piuttosto che approfondimenti disciplinari.
A me pare che i sostenitori del 3+2 non abbiano dimostrato né che in tre anni sia possibile approfondire la preparazione disciplinare necessaria per insegnare né che le Scuole di specializzazione - per l’esperienza fatta finora - siano in grado di intervenire in questo campo e non siano al contrario istituzioni fragili, non di rado poco efficienti, e comunque volte all’insegnamento pedagogico piuttosto che ad altri insegnamenti.
Purtroppo le Scuole di specializzazione non dispongono di proprio organico e spesso neppure di spazi e di risorse. Le università guardano a esse molto di lontano e non sono obbligate da nessuna legge a intervenire con proprie risorse per far funzionare le Scuole. Se tutto questo non cambia, la situazione attuale, che è già poco soddisfacente, peggiorerà invece di migliorare.

Quali saranno i modi e i tempi di attuazione?
Sulla base dei risultati del lavoro della Commissione art.4, da me presieduta, i ministri della Pubblica Istruzione e dell’Università dovranno, in tempi che ci auguriamo brevi, emanare un decreto congiunto che riveda quello vigente del 1998 e determini la disciplina normativa sulle Scuole di specializzazione e sui Corsi di laurea in Scienze della formazione primaria.
Sia il Consiglio Nazionale Universitario che le Commissioni Cultura del Senato e della Camera dovranno dare un loro parere sul decreto.
L’iter potrebbe svolgersi nell’arco di cinque-sei mesi.

Qual è il rapporto ottimale tra presenza della scuola e presenza dell’Università?
Io penso che all’Università spetti fornire la preparazione disciplinare necessaria per la professionalità insegnante (che cosa insegnare) e che alla scuola spetti dare ai futuri docenti i risultati della propria esperienza sul “come insegnare”.
Penso anche che debba realizzarsi nella formazione iniziale - ma anche in quella continua e in servizio -degli insegnanti, una collaborazione paritaria e armonica nella quale gli universitari offrano i risultati delle loro ricerche e l’aggiornamento di una cultura che ha sempre bisogno di rinnovarsi di fronte alle sfide del tempo e in cui gli insegnanti, a loro volta, collaborino nel difficile compito di comunicare alle nuove generazioni i problemi legati all’evoluzione delle scienze.
Insegno ormai da trent’anni all’università di Torino, in una Facoltà di Lettere che vede affluire ogni anno migliaia di matricole che vengono dai Licei come dagli Istituti tecnici e professionali.
La mia esperienza mi dice che tre anni di corso sul piano disciplinare non bastano a formare un insegnante di qualsiasi livello, della scuola di base come di quella secondaria, e che due anni successivi di pedagogia non servono a colmare le lacune disciplinari né a insegnare a insegnare.
Ci vuole di più e meglio, tanto più se si vuole chiedere al governo uno sforzo effettivo per la creazione di una carriera e di uno status economico e sociale migliore dell’attuale.
Non si può rinunciare a una professionalità alta dell’insegnante, paragonabile a quella dell’avvocato o del magistrato che faranno 3+2+1, e poi chiedere - come fa la Cgil Scuola - aumenti di retribuzione e carriera. Bisogna essere almeno coerenti.

* Nicola Tranfaglia č docente di Storia contemporanea all'Universitŕ di Torino e presidente della Conferenza nazionale dei presidi di Lettere e Filosofia.

numero 10/2000


inizio pagina