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    mensile del centro di iniziativa democratica degli insegnanti

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      Il riordino dei cicli scolastici - di Alba Sasso - (Testo del disegno di legge)

      Un provvedimento indispensabile per ridisegnare con efficacia la fisionomia culturale e formativa della nuova scuola, che però richiede per questo scelte coerenti su alcune fondamentali questioni: autonomia, pubblico-privato, cultura scolastica, professione docente.

      Dopo quasi tre anni dalla sua presentazione al Parlamento è stata approvata, per ora alla Camera dei deputati, la legge-quadro sul riordino dei cicli scolastici.

      Si tratta, a nostro modo di vedere, del quadro di riferimento necessario e indispensabile per dare senso compiuto alle azioni di riforma intraprese e alle numerose operazioni amministrative in corso. L’autonomia, l’elevamento dell’obbligo, la riforma degli esami di Stato, la riforma dell’Amministrazione ecc. mostrano, infatti, con tutta evidenza la necessità di un rinnovato quadro normativo e di scelte culturali in grado di disegnare la fisionomia, l’asse formativo della nuova scuola.

      "È una legge senz’anima", ha già detto qualcuno alla lettura dei sei scarni articoli che compongono il disegno di legge sul riordino dei cicli. Sarebbe, però, ingeneroso non tener conto del complesso dibattito che ha portato alla stesura di quel testo.

      Proverei allora a ragionare diversamente. Le soluzioni proposte possono migliorare la qualità e l’efficacia del sistema: combattere concretamente selezione, dispersione, demotivazione, coniugare democrazia ed efficacia? Rappresentano scelte che permettono di costruire una scuola che riesca a garantire a ognuna e ognuno saperi di "responsabilità e cittadinanza", quel patrimonio culturale di base comune a tutti, fondamento indispensabile per ogni successivo apprendimento?

      A noi sembra di sì. Va in questa direzione l’aver riconosciuto, per esempio, il ruolo di scuola al ciclo dell’infanzia – è quello il luogo principale nel quale è possibile eliminare le diseguaglianze di partenza e colmare i gap culturali ; l’aver puntato sulla continuità – i due cicli – superando l’attuale frantumazione in ordini e gradi; l’aver proposto una scuola secondaria senza gerarchie di indirizzi; l’aver ragionato di una scuola collocata, nell’ottica dell’educazione permanente, all’interno di un sistema dell’istruzione e della formazione che dovrà prevedere una pluralità di percorsi sia dopo l’obbligo sia dopo il diploma.

      Occorrerà allora qualificare ed estendere la scuola dell’infanzia statale, costruire un ciclo primario che non sia la semplice somma dei due percorsi esistenti, evitare ogni resistenza conservatrice della scuola secondaria, quella apparentemente meno toccata dal riordino, riformare la formazione professionale rendendola offerta significativa e qualificata dopo l’obbligo, anche per evitare che diventi, all’interno del percorso scolastico, scorciatoia per i "meno capaci".

      Insomma, questo progetto di riordino, proprio perché si colloca in una logica di sistema, richiede non solo che si riformi contestualmente la formazione professionale, i percorsi universitari, che si avvii e si consolidi la formazione superiore post-diploma, ma che i vari tasselli del sistema riescano a interagire "virtuosamente" tra loro.

      Nodi da sciogliere

      Certo, possiamo avere ragionevoli dubbi sul fatto di poter operare scelte effettivamente radicali e che queste possano poi produrre gli effetti prima auspicati. Non solo perché la costruzione del percorso è tutta da realizzare, ma perché rimangono divergenze profonde su alcune questioni di fondo. Non è indifferente, per esempio, sia per l’estensione e la qualificazione della scuola dell’infanzia, sia per la definizione dell’ultimo anno di obbligo scolastico, l’idea che si ha del ruolo dello Stato nell’istruzione, del rapporto tra Stato e altri soggetti della formazione, del significato da attribuire alla formula "sistema formativo integrato".

      Non è indifferente per la costruzione di un sistema dell’autonomia scolastica l’idea che si ha del rapporto pubblico-privato e della stessa autonomia: se potenziamento delle responsabilità dei soggetti della vita della scuola in un progetto cooperativo o individuazione della competitività tra soggetto pubblico e privato e tra gli stessi soggetti pubblici, e quindi strumento salvifico per la qualità e l’efficacia del sistema.

      E non è indifferente, per la elaborazione e la definizione del sapere della nuova scuola, non solo tornare a ragionare delle finalità della scuola – dei compiti ridondanti e spesso in contraddizione tra loro che le vengono assegnati – ma confrontarsi sull’idea che si ha della cultura scolastica. Cultura minore per significato canonizzato dall’uso o cultura formativa , capace di dare a tutti gli elementi, i fondamenti di ogni sapere? E sarà necessario interrogarsi sui tratti di questa cultura, sciogliere le ambiguità e le contraddittorietà di un dibattito che sembra ancora, pretestuosamente, voler ribadire la supremazia di una cultura umanistica (cfr. il dibattito alla Camera sul riordino dei cicli). Ma cosa è o non è "umanistico"?

      Così come non sarà indifferente per l’impegno che il mondo della scuola, della ricerca e l’intellettualità diffusa dovranno spendere per definire fisionomia e identità della nuova scuola, il suo "asse formativo", capire come e dove – al centro, in periferia, in un curriculum nazionale o affidandosi a scelte locali e localistiche – si disegna e si dovrà ridisegnare continuamente il patrimonio di conoscenze e valori che ogni società ha il compito di consegnare alle generazioni successive e che costituisce l’identità culturale del Paese, della sua storia, delle sue prospettive di futuro.

      E proprio su questo terreno occorrerà un lavoro rispettoso delle diversità culturali e religiose presenti anche nella scuola, una grande capacità di elaborazione per poter ragionare di asse culturale e insieme di organizzazione e di didattica, di percorsi e di curricoli, di come conoscenze necessarie per tutti diventino sapere di approfondimento per alcuni o di come le conoscenze diventino, in situazioni concrete, competenze: per esempio, la competenza linguistica. Per questo sarà necessario sollecitare un contributo del mondo della ricerca, ma soprattutto del mondo della scuola, dei suoi operatori, per riuscire a valorizzare e a far contare in questo difficile e complesso processo la loro sapientia e la loro esperienza.

      Può essere questa la strada per riavvicinare e rendere partecipi al dibattito gli insegnanti, apparsi spesso in questi anni silenziosi e "resistenti" rispetto a questa riforma, preoccupati, e non sempre a torto, della propria futura collocazione e della evidente riduzione dei posti di lavoro.

      Certo se la riforma non mette in discussione la scuola dell’esclusiva lezione frontale e dell’orario rigido, la scuola che limita la sua potenzialità educativa all’interno dell’aula, ci saranno, è aritmetico, forse 50.000 insegnanti in meno. Se invece si comincia a legare la ricerca di nuovi profili della professione docente, di nuove condizioni dell’insegnare ( spazi e tempi, tecnologie, formazione, motivazioni) al progetto di scuola che si intende costruire, si potrà cominciare a ragionare di un sistema che ha bisogno di 50.000 risorse umane e professionali in più, indispensabili per far funzionare le scuole come luoghi di ricerca didattica e professionale, per rendere concretamente possibile il rapporto col territorio attraverso persone che abbiano voglia e capacità di svolgere determinate funzioni, per dislocare forze laddove sono più necessarie, per utilizzare competenze nei settori in espansione, come l’educazione degli adulti o la formazione superiore integrata.

      Solo in questo modo "la valorizzazione della professionalità degli operatori della scuola e della formazione" – ribadita nel documento di accompagnamento del febbraio 1997 al disegno di legge di riordino dei cicli – che è certo lo strumento fondamentale per la tenuta del processo di riforma, diventa, finalmente, un obiettivo della riforma stessa.

       

      Alcune osservazioni sull'articolato

      • L’uscita da scuola a diciotto anni – misura che ridefinisce l’intero percorso scolastico – rende indispensabile investire di più nella formazione post-secondaria, nell’educazione permanente, nello stesso tempo deve far riflettere sul concetto di terminalità e di finalità del triennio, sul profilo culturale dei vari indirizzi.

      • Appare sacrificata la scuola dell’infanzia perché non si parla più di obbligo, allontanando con ciò anche l’attesa di un vero investimento su questa fascia di scuola. Sarebbe stato allora più tranquillizzante scrivere esplicitamente al comma 2 dell’art. 2: "la Repubblica garantisce l’istituzione di scuole materne statali e comunali su tutto il territorio nazionale".

      • Convince l’idea di un ciclo primario lungo e unitario, purché non sia interpretato come la somma o la sottrazione di vecchie identità (scuola elementare/ scuola media). Appare perciò urgente e necessaria una ricerca a tutto campo sui curricoli, sui compiti formativi, sulle competenze, sulla questione della mobilità professionale.

      • Per quanto riguarda il ciclo secondario il rischio di una interpretazione conservativa esiste: La scuola secondaria si realizza negli attuali istituti di istruzione secondaria... (art. 4, comma 2). E non viene data indicazione sui criteri (tipologie, rapporti orari tra materie comuni e di indirizzo, finalità, contenuti ) che dovranno ispirare i successivi decreti con cui saranno stabiliti indirizzi, piani di studio, curricoli e programmi.

      E se effettivamente si intende disegnare una scuola senza gerarchie di indirizzi, come garantire l’effettiva equivalenza formativa dei curricoli del biennio, come conciliare l’esigenza di passare da un indirizzo all’altro con la necessità di dare rigore e serietà all’avvio degli indirizzi stessi, e infine – vecchio problema – come armonizzare la terminalità e la propedeuticità del biennio? Per questo appare in contraddizione con le funzioni di una scuola dell’obbligo il comma 4 dell’art. 4 "nel corso del secondo anno se richiesto dai genitori sono realizzate..." Se le iniziative formative volte a collegare gli apprendimenti curricolari con le diverse realtà sociali, culturali, produttive e professionali hanno valore formativo di per sé vanno svolte per il loro valore formativo e non perché qualche genitore lo richiede. A questo proposito dovrebbe essere chiarito che tutte le attività di integrazione dei percorsi formativi sono sotto la regia della scuola.

      numero 11-12/'99