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Un progetto che non condividiamo di Ermanno Testa
Non è assolutamente condivisibile
l’idea di scuola delineata nel Rapporto del Gruppo Ristretto di Lavoro
presieduto da Giuseppe Bertagna. Esso contrasta con alcuni principi fondamentali
della nostra Costituzione (e della convivenza civile): primo fra
tutti il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), che prevede la rimozione
degli ostacoli che impediscono agli individui di esercitare la loro cittadinanza;
secondariamente il valore che alla formazione culturale, alla scuola, la
Costituzione assegna (artt.33-34) a garanzia dello sviluppo civile e democratico
del Paese. Quella delineata nel documento Bertagna non è più
l’istituzione a cui la società, il Paese demandano il compito, nell’interesse
di tutti e di ciascuno, di garantire gli strumenti per divenire compiutamente
cittadini e sviluppare le proprie potenzialità; l’istituzione che
si assume il compito – per arduo che sia – di promuovere in tutti un processo
di crescita e di consapevolezza, il raggiungimento di traguardi formativi
oggi considerati irrinunciabili, ponendo al centro del proprio interesse
l’allievo, riconoscendone la personalità, gli stili e i tempi di
apprendimento, le diverse intelligenze ecc.
Una scuola, dunque, che
“include” e si preoccupa della crescita di tutti: è l’obiettivo
che ha guidato nei decenni passati tutta la migliore cultura scolastica
e il movimento riformatore, attraverso tappe significative a partire dalla
unificazione della scuola media del 1962, dalla scuola di Barbiana (1969),
alle Dieci tesi per un’educazione linguistica democratica (1974) e che,
malgrado la poco attenta rispondenza dei decisori politici nel dar luogo
ad azioni conseguenti, ha comunque accompagnato il grande processo di alfabetizzazione
avviato nel Paese dal dopoguerra in poi.
Il Rapporto Bertagna inneggia
invece alla "separazione" citando a sproposito un concetto espresso da
Don Milani secondo il quale nulla è più ingiusto che fare
parti uguali fra disuguali: che significa dare di più dove c’è
più bisogno, non dare di meno a chi ha già di meno. Il principio
che sottostà al piano delineato nel Rapporto, pur nella fumosità
del linguaggio del pedagogista, è chiaro: separazione! Che è
poi la traduzione di quanto dichiarato in Parlamento dal ministro Moratti
circa la “solidarietà” e l’“eccellenza”: per dirla con Don Milani,
un percorso e una scuola per i Sandro e i Gianni, un altro percorso e un’altra
scuola per i Pierini del dottore.
Percorsi curricolari diversi
sin dalle prime classi della scuola primaria; scelte precoci tra istruzione
e formazione, di fatto a partire già dalla seconda media, a 12 anni
(si torna ai tempi dell’avviamento); e poi, successivamente, a 14
anni con una rigida canalizzazione tra Licei da un lato e formazione professionale
o apprendistato dall’altro.
Una scuola, quella del Rapporto
Bertagna, che non produce un suo disegno di emancipazione e di cittadinanza,
ma è “al servizio della società e del progresso economico”
in quanto è al servizio del singolo, teso allo sviluppo di generiche
capacità: una scuola “servizio”, dunque, che, assicurato un minimo
di trattamento a tutti, un percorso di serie B, offre poi, a domanda, a
una parte degli utenti, altre possibilità, altri percorsi, di serie
A, già nella scuola di base fino a 300 ore annuali (e più,
se a pagamento), preludio di una separazione che inizia già
a 12-13 anni (un’idea aberrante) e di una definitiva uscita dal processo
di istruzione a 14. Una scuola classista che torna indietro anche sull’obbligo
di istruzione in nome di un generico e ambiguo diritto/dovere all’istruzione/formazione
obbligatoria. Una scuola che, in sostanza, riproduce e suggella le disuguaglianze
e le gerarchie sociali.
Si scorgono qui i tratti
oggettivi di un disegno reazionario.
Il problema è di
sapere quanto oggi nel nostro Paese, nella “società della conoscenza”,
c’è bisogno di istruzione prima e di formazione poi. Pensare di
eludere il problema dei ragazzi meno portati allo studio dirottandoli precocemente
alla formazione professionale risolve solo in apparenza il problema. La
scorciatoia di affidare, in un’età in cui non è ancora completato
il processo di istruzione, alla formazione professionale una funzione di
surroga che non le è propria, è destinata a pesare negativamente
su di essa contribuendo anzi a fare della formazione professionale non
il canale di avviamento al lavoro con finalità diverse, dunque,
e perciò complementare e alla pari con quello dell’istruzione –
premessa di un’utile integrazione tra i due – ma il canale di serie B,
dove radunare coloro che in sostanza sono stati espulsi precocemente dal
sistema dell’istruzione.
Molti altri aspetti del
progetto contenuto nel Rapporto Bertagna contrastano con quanto in questi
anni la ricerca didattica, pedagogica, psicologica, linguistica ecc. è
venuta elaborando. Non c’è traccia di un’idea di curricolo verticale,
si richiamano gli obiettivi e gli standard disciplinari ma privi di indicazioni
di contenuto (la scelta dei contenuti, come si sa, non è neutra);
si affievolisce l’idea di unità della cultura e si fa strada una
gerarchizzazione delle discipline; si torna nella elementare al maestro
unico o “costellato”, e si intravvede una forte gerarchizzazione del lavoro
scolastico, con figure professionali rigide; una formazione in servizio
e una carriera docente – intesa come “fuga dalla classe” – interamente
governata dall’Università. Senza contare l’introduzione di forti
criteri privatistici, per esempio nella prevista negoziazione tra famiglia
e scuola per quanto riguarda il curricolo ‘rafforzato’. Tutte cose che
rendono debole anche il tentativo che nel Rapporto si fa per dare una qualche
giustificazione giuridica e concettuale a una idea nazionale di sistema
educativo pur in presenza di soggetti diversi dotati di potere legislativo
in materia scolastica: Stato e Regioni in primo luogo.
Con l’attenzione alla scuola
molto c’è da cambiare, dunque, nel disegno contenuto nel Rapporto
Bertagna.
Auspichiamo che il dibattito
dei prossimi mesi permetta di approfondire e, se possibile, di cambiare
e migliorare molte cose, purché non si proceda come il Gruppo Ristretto
ha fatto finora: ha interpellato vari soggetti ma solo per ribadire le
proprie tesi iniziali. Anche se le distanze sono enormi, è ciò
che francamente non auspichiamo, per il bene della scuola e della società.
numero 1/2002
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