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Una partenza preoccupante di Sofia Toselli
Nel segno dell'attacco alla
scuola pubblica i primi provvedimenti del nuovo governo.
Al momento non sono ancora
note le linee programmatiche che il neoministro dell’Istruzione Letizia
Moratti intende presentare alle Commissioni parlamentari. Tuttavia, malgrado
la partenza in sordina, caratterizzata da pochissime “esternazioni”, il
ministro ha segnato alcuni affondo, deleteri per il sistema pubblico dell’istruzione,
dubbi sul piano dell’efficacia, ma molto chiari circa le direttrici su
cui intende camminare.
Mi riferisco ai primi provvedimenti:
il ritiro del regolamento attuativo del riordino dei cicli scolastici,
fermo alla Corte dei conti; la sospensione del progetto di espansione e
qualificazione della scuola dell’infanzia statale; il blocco della prevista
riduzione a 32 ore settimanali di lezione negli istituti tecnici
e professionali; la sospensione del ricorso presentato alla Corte Costituzionale
dal governo Amato contro la scelta della regione Lombardia di procedere
con il buono scuola. Oltre al decreto sul reclutamento e precariato che,
nella sostanza, mette sullo stesso piano, equiparandone il punteggio, il
servizio prestato nelle scuole paritarie con quello prestato nelle
scuole statali.
C’è, evidente, la
volontà di azzerare i cambiamenti introdotti dal precedente governo
e c’è un chiaro e diretto attacco al sistema pubblico dell’istruzione.
Le ragioni della scuola
Aver sospeso l’avvio del
riordino dei cicli, come da promesse elettorali, vuol dire guardare la
scuola con interessi di parte, che nulla hanno a che vedere con le ragioni
della scuola stessa.
Significa vanificare un
lavoro assai complesso, di riflessione e di elaborazione, maturato innanzitutto
dentro le scuole, che ha trovato, nel lavoro della Commissione De Mauro
- assai rappresentativa delle varie “culture” e dei diversi “soggetti”
sociali - una sistemazione coerente con i bisogni della scuola e del Paese.
Non c’è dubbio che
il lavoro compiuto dal precedente governo rafforzi le ragioni di una scuola
che, giorno dopo giorno, vuole accrescere, attraverso gli strumenti del
sapere, il diritto di cittadinanza di ogni ragazzo e ragazza; ponga le
condizioni perché la scuola sia effettivamente luogo di promozione
culturale e sociale; faccia emergere una precisa idea di scuola: quella,
per l’appunto, della Costituzione.
Ma forse il problema sta
proprio qui.
Vorrei allora ricordare
che queste ragioni e queste idee appartengono alla tradizione della nostra
scuola e a esse la maggior parte degli insegnanti intenderà rimanere
coerente. Ed è con queste ragioni e con queste idee che ogni progetto
di riforma si dovrà confrontare.
Per quanto riguarda, poi,
il decreto sul precariato, è già grave il fatto che metta
sullo stesso piano il servizio prestato nelle scuole private con quello
prestato nelle scuole dello Stato, ma diventa ancora più grave se
consideriamo che l’"equipollenza" di trattamento per gli insegnanti è
retroattiva, a partire dall’anno 2000-2001.
E qui, contrariamente a
quanto affermato, la parità scolastica non c’entra nulla. La parità
infatti, così come stabilito dalla Legge 62/2000, riguarda l’equipollenza
di trattamento scolastico degli alunni, non certo degli insegnanti: lo
Stato assume sempre sulla base di concorsi, sia per titoli sia per esami
(tant’è che anche le nomine dei supplenti avvengono su graduatorie
per titoli); le scuole private, invece, ancorché paritarie, assumono
con assoluta discrezionalità e senza alcuna graduatoria, in molti
casi anche in base a scelte ideologiche e confessionali.
Perché allora far
dalle scuole paritarie con criteri assolutamente diversi da quelli del
sistema pubblico?
Si tratta dunque di un provvedimento
inaccettabile perché farà transitare nel sistema dell’istruzione
pubblica docenti assunti, con criteri assolutamente diversi, nelle scuole
private.
Quanto alla mancata apertura
di 500 nuove sezioni di scuola dell’infanzia statale, c’è forse
da chiedersi chi se ne avvantaggerà.
La scuola dell’infanzia
è considerata, e non da ora, scuola a tutti gli effetti, anzi scuola
di fondamentale importanza: perché allora i genitori che vogliono
dare ai figli una formazione laica devono essere costretti a mandarli nelle
scuole private confessionali (visto che nel nostro Paese non c’è
una diffusione uniforme di scuole dell’infanzia statale)?
Infine, circa il ritiro
del ricorso presentato alla Corte Costituzionale dal governo Amato contro
la decisione della regione Lombardia relativamente al buono scuola,
l’atto in sé si configura particolarmente grave: non attendere infatti
la decisione della Corte Costituzionale, oltre a essere una azione contraria
a ogni prassi democratica, equivale ad affermare che ogni Regione potrà
legiferare in materia scolastica anche in palese contrasto con la Costituzione
e con le leggi dello Stato.
Nel merito, invece, il buono
scuola della regione Lombardia va ad esclusivo vantaggio di quegli studenti
che frequentano le scuole private. Il provvedimento perciò, rappresenta
più che l’esercizio di un diritto allo studio, un finanziamento
surrettizio alle scuole private e senza contropartita alcuna in fatto di
rispetto di norme e standard.
In cambio di che cosa si
sottraggono risorse alla scuola pubblica?
Questi, dunque, i primi
provvedimenti governativi, ora attendiamo il ministro alla prova delle
proposte che tra breve dovrà avanzare al Parlamento e al Paese.
numero 8-9/2001
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