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A cinque ... ma non da cinque
Il Coordinamento delle politiche dell'infanzia e della sua scuola ha organizzato nei giorni 13 e 14 maggio scorsi, a Bologna, il Convegno "A cinque ...ma non da cinque". Con questa iniziativa si è inteso mantenere fede a un impegno assunto al termine del Seminario di studio "Ragionare su Ascanio", promosso nell'ottobre del '96 dalle organizzazioni sindacali: Cgil-scuola, Cisl-scuola, Uil-scuola e Snals, e dalle associazioni professionali: Aimc, Andis, Cidi, Fnism e Mce, che avevano costituito fin dal ’93 un Osservatorio Nazionale. Nel ’96 il confronto sulle scelte e sulle pratiche concernenti nuovi modelli organizzativi relativi alla sperimentazione coordinata Ascanio aveva fatto emergere alcune direzioni di cambiamento significative per la piena applicazione degli Orientamenti del ‘91 e aveva fatto individuare alcuni elementi di un’autonomia didattica e organizzativa finalizzata alla qualità dell’offerta formativa e al successo scolastico di ciascun bambino e di ciascuna bambina, anticipando in qualche misura le prospettive di riforma successivamente definite nel Regolamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. A seguito del Seminario del '96, si convenne sull’opportunità di un luogo di riflessione e proposta per la scuola dell'infanzia, che mantenesse alta l’attenzione sulle problematiche specifiche di questa scuola e sulle possibili integrazioni con le ipotesi di trasformazione che si delineavano sempre più come radicali, complessive, di ampio respiro. La scuola dell’infanzia è scuola In quella fase, in cui andava prendendo forma un grande disegno di trasformazione dell’intero sistema scolastico, appariva infatti urgente che la scuola dell’infanzia venisse ricollocata all’interno del sistema scolastico con la sua specificità e nel pieno riconoscimento del suo essere scuola. Così l'Osservatorio fu trasformato in Coordinamento Nazionale delle politiche dell’infanzia e della sua scuola e contestualmente ne furono ridefiniti indirizzi e azioni. Obiettivo strategico fu considerato quindi: svolgere nei confronti dell’Amministrazione e delle forze politiche un’azione di stimolo, e un’azione di sensibilizzazione nei confronti dell’opinione pubblica, per riportare il tema dell’infanzia, dei suoi bisogni e dei suoi diritti al centro del dibattito sulla formazione che si stava avviando nel nostro Paese. Il Convegno del 14/15 maggio è stato un’occasione significativa per affrontare alcuni nodi e far sentire la voce della scuola. I membri del coordinamento e i docenti presenti si sono rivolti: Ci si è rivolti poi: Si è richiesto infine: Ad essi, in quanto tecnici, si è chiesto di far interagire la sapienza degli insegnanti, fatta di teorie e di pratiche, con le proposte di cambiamento, così che i soggetti che hanno la responsabilità delle decisioni politiche possano operare scelte efficaci. Nel corso degli interventi si è sottolineato come lo scenario della riforma in atto, con i provvedimenti già varati (il decreto sul Regolamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche; i Corsi di laurea in Scienze dell’educazione per i docenti della scuola dell’infanzia ed elementare, l’innalzamento dell’obbligo) e con i provvedimenti in corso di emanazione (la riforma dei cicli, il sistema nazionale di valutazione, la riforma degli Irrsae, del Cede, della Bdp e degli OO.CC.) ponga l'esigenza non solo e non tanto di una legge ordinamentale specifica, quanto di un pieno inserimento della scuola dell’infanzia nel sistema di istruzione nazionale, con la sua identità di prima scuola, segmento fondativo dell’intero sistema educativo, specifico, unitario, triennale. Sistema ridefinito dalla L.59/97 che all'art.21 conferisce autonomia funzionale alle istituzioni scolastiche. Significato dell’autonomia per la scuola dell’infanzia Non è un caso che il convegno abbia sottolineato già nel titolo il significato dell’autonomia come garanzia di qualità anche per la scuola dell’infanzia, come strumento per la qualità della scuola e il successo formativo di tutti e di tutte, di ciascuno e di ciascuna. Autonomia didattica e organizzativa che, all'interno di un quadro di riferimento nazionale che definisce standard e livelli di competenze da generalizzare, sappia valorizzare la creatività dei docenti, rivitalizzare il rapporto con il territorio e le famiglie - tradizione di questo livello di scuola - concedere a una collegialità condivisa e responsabile quegli spazi di libertà utili a definire contesti e ambienti di vita, di relazione e di apprendimento in risposta ai bisogni dei bambini e delle bambine dai 3 ai 6 anni. Autonomia didattica e organizzativa che legittimi la costruzione di un curricolo che parta dai saperi dei bambini e della comunità, che si caratterizzi per la flessibilità dell’organizzazione, per i tempi distesi, che assuma la forma di una aperta, negoziata, condivisa, documentata progettualità. Il dibattito sulla riforma dei cicli scolastici, poi, ha portato a ribadire l'inserimento, a pieno titolo della scuola dell’infanzia nel sistema scolastico, come appare dal testo di sintesi della VII Commissione della Camera, e a riproporre all’attenzione generale l’obbligo del terzo anno previsto nella proposta del governo e depennato nel testo di sintesi. In relazione a questo aspetto, anch’esso richiamato nel titolo del nostro convegno, è emersa una varietà di posizioni, la stessa che si esprime nel Paese, in seno al Parlamento e anche all’interno del Coordinamento e che rende incerto l’esito del dibattito che, comunque, nel corso del Convegno è stato non ideologico, ma attento e avvertito. Vantaggi (e rischi) di una proposta Il titolo " A cinque… ma non da cinque", pensato in occasione della presentazione della proposta governativa sul riordino dei cicli, accoglieva quella proposta che enfatizzava la rilevanza dell’ultimo anno, ma ne avvertiva alcuni rischi seri, più impliciti forse nelle possibili interpretazioni che nella proposta stessa, ma comunque da non sottovalutare: spezzare in due tronconi il percorso unitario, anticipare contenuti e metodi scolastici al 5° anno, impoverire lo spessore culturale e pedagogico dei primi due anni. Nel corso del dibattito si è ripetuto che avvertire un rischio non vuol dire non condividere una proposta, né negarne il significato e il valore, ma mantenere capacità critica e vigilare sulle distorsioni possibili nelle eventuali traduzioni operative in situazione. Si è da più parti sottolineato con forza l’unitarietà del percorso triennale della scuola dell’infanzia e si è riaffermato il valore delle scelte pedagogiche che ne definiscono il progetto culturale, e che attengono: Sono queste le scelte che fanno della scuola dell'infanzia una scuola di qualità; scelte da generalizzare a tutti i contesti educativi quale reale garanzia di esercizio del diritto alla formazione. Una maggiore visibilità della scuola dell’infanzia, la sua messa "a tema", il riconoscimento del suo ruolo e della sua funzione all’interno del sistema scolastico, l’affermazione della sua identità di scuola fondativa, specifica, unitaria, triennale era lo scopo che il Coordinamento ha inteso perseguire, ma anche l'intenzionalità che gli oltre 400 docenti e dirigenti presenti a Bologna hanno ripetutamente espresso. Scopo e intenzionalità da perseguire e concretizzare, con il contributo di tutti, per una reale garanzia dell’esercizio del diritto alla formazione dei bambini e delle bambine da 3 a 6 anni.
Qualche idea a favore dell'obbligatorietà dell'ultimo anno della scuola dell’infanzia e qualche perplessità sulle sue possibili, cattive applicazioni Alcune argomentazioni, portate a sostegno della non obbligatorietà dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia, sottolineano la scarsa rilevanza sul piano pratico di un’attribuzione dell'obbligo in presenza di una frequenza nell’ultimo anno pari al 98%; percentuale, peraltro, non piena non per scelta delle famiglie, ma per la non disponibilità di accoglienza da parte delle istituzioni scolastiche, come attestano le tante liste di attesa ancora esposte in molte scuole. Allo stesso tempo, vengono evidenziati i rischi che questa attribuzione potrebbe comportare se fosse interpretata come anticipo a livello dei cinque anni della scolarità successiva, se portasse, per esempio, alla istituzionalizzazione delle sezioni per livelli d’età, se segnasse una discontinuità all’interno del percorso scolastico che non può che essere continuo, unitario e triennale. Queste argomentazioni hanno una loro legittimità. Non possiamo nasconderci infatti che l’attribuzione dell’obbligo può creare attese di anticipazioni e forzature. È sicuramente legittimo temere, per esempio, che l’attività di letto-scrittura, attualmente attività seria, impegnata ma anche rispettosa dei tempi dei bambini e perciò significativa ed efficace, possa diventare un "risultato atteso" da conseguire entro un particolare periodo. Riteniamo, però, che non si possa sottovalutare il forte valore simbolico dell’attribuzione dell’obbligo anche solo all’ultimo anno della scuola dell’infanzia. Nell’immaginario collettivo, infatti, all’idea di obbligo scolastico si lega l’attribuzione di una identità di scuola, di un diritto da rivendicare ed esercitare, di un dovere dello Stato, chiamato a garantirne le condizioni per l’assolvimento. L’attribuzione dell’obbligo diventa perciò riconferma dell’essere scuola e riconoscimento certo di un diverso ruolo di una istituzione che, in virtù di questa attribuzione, è percepita e si percepisce, senza incertezze, come scuola. Allora sì all’obbligo, per dire con più forza di una funzione formativa, di un diritto da garantire, per sgombrare il campo da quei residui di assistenzialismo e di custodialismo sempre in agguato. |