Se gli Stati Generali della scuola sembravano celebrati a Varennes,
si direbbe che il disegno di legge che secondo la Destra dovrebbe introdurre
la riforma, e che per chi ha un po' di buon senso non riforma nulla,
sia stato scritto direttamente a Vienna, saltando Termidoro e primo
Impero. In effetti, le proposte variamente avanzate e smentite nel corso
dell'autunno costituiscono già materiali di lavoro per gli storici,
al pari del volume degli Annali pubblicato in occasione degli
Stati Generali, il cui filo ispiratore sembrava essere la damnatio
memoriae per quanto è stato detto e fatto negli anni trascorsi.
Sul piano degli ordinamenti siamo al punto in cui eravamo prima della
legge 30/2000, con il rischio che per qualche aspetto (per esempio,
la parte terminale della scuola media) si torni alla situazione del
1962. In altre parole, una riforma che meriti di essere definita tale
è rinviata sine die. Quel che c'è di nuovo nel
disegno di legge (anzi, d'antico, come vedremo) è il cambiamento
di prospettiva nell'evoluzione del sistema scolastico italiano. Negli
ultimi quarant'anni, anche se non sempre in modo lineare, ha prevalso
una logica di sviluppo, tesa a consentire a quote sempre più
consistenti di popolazione l'accesso all'istruzione secondaria. Dopo
la riforma della scuola media del 1962 ha avuto inizio l'imponente processo
di scolarizzazione che ha portato, prima, a dare effettiva attuazione
al principio costituzionale dell'istruzione per otto anni e, successivamente,
a fruire dell'istruzione secondaria superiore quote sempre più
consistenti di popolazione. L'incremento a nove anni della durata dell'istruzione
obbligatoria, insieme all'introduzione di un principio esteso di obbligo,
scolastico o formativo, fino ai diciotto anni sono stati gli ultimi
atti di un percorso di sviluppo che ha portato il sistema scolastico
italiano a raggiungere traguardi vicini a quelli già conseguiti
negli altri Paesi industrializzati.
La politica scolastica della Destra appare ora orientata a limitare
l'offerta di istruzione. Vanno in questa direzione sia l'introduzione
di un doppio canale dopo la scuola media (per chi ha un'idea di che
cosa sia la formazione professionale gestita a livello locale è
arduo considerarla un'opportunità alternativa alla scuola), sia
la riduzione quantitativa delle attività, conseguente alla limitazione
degli orari. Il doppio canale tende a ridurre la quota di popolazione
nel sistema scolastico, mentre la riduzione delle attività dà
nuova spinta (e non ce n'è bisogno) al condizionamento sociale,
perché amplifica il vantaggio degli allievi le cui famiglie possono
assumersi l'onere di un'offerta aggiuntiva. Torna ad affacciarsi nella
nostra scuola un'intenzione malthusiana, a distanza di ottant'anni da
quando un'analoga intenzione aveva animato la riforma Gentile (e quella
era effettivamente una riforma, nel senso che conferiva nuova "forma"
al sistema).
Il criterio che Gentile cercò di applicare al sistema scolastico
era riassumibile nello slogan "poche scuole, ma buone". L'implicazione,
neanche tanto nascosta, era che poche scuole potevano essere frequentate
da pochi allievi. In effetti, è quel che avvenne nei primi anni
di attuazione della riforma Gentile, ma è anche la ragione del
suo fallimento, già agli inizi degli anni trenta. Anche in quell'Italia
così lontana per condizioni politiche, culturali ed economiche
da Paesi come la Francia, la Germania o l'Inghilterra era insostenibile
un intento di contenimento della popolazione scolastica. Ne prese atto
Bottai, che nel 1938, varando la Carta della scuola, eliminava
un aspetto caratterizzante della fascistissima riforma Gentile,
costituito dalla presenza, per i vari tipi di scuola secondaria superiore,
di tratti inferiori corrispondenti. Per gli allievi destinati a seguire
un percorso lungo d'istruzione veniva creata la scuola media, alla quale
si accedeva attraverso un esame d'ammissione. Per gli altri c'era la
possibilità (rimasta in gran parte tale) di frequentare la scuola
di avviamento al lavoro.
Oggi le condizioni socioeconomiche e culturali del Paese sono sostanzialmente
diverse. La popolazione italiana appare nettamente differenziata tra
la parte più anziana, il cui livello culturale medio è
molto basso, e quella più giovane, nella quale è evidente
l'effetto dell'espansione scolastica successiva alla riforma della scuola
media. Che senso ha allora il ritorno malthusiano che si coglie nella
politica scolastica della Destra, in evidente controtendenza rispetto
alle linee prevalenti negli altri Paesi industrializzati?
La risposta non può che essere individuata nell'interpretazione
del profilo della popolazione più coerente con il programma politico
della Destra italiana (diversa, anche in questo, dalle forze conservatrici
esistenti in altri Paesi: si veda, per esempio, il programma di interventi
per il potenziamento dell'istruzione dell'amministrazione Bush). La
riduzione dell'offerta scolastica aumenta lo spazio per il diffondersi
di atteggiamenti consumistici manipolabili dai mezzi di comunicazione.
numero 3/2002